Il cinghiale bianco si chiede il senso di tutte queste parolacce nei testi
Ieri il Cinghiale Bianco ascoltava il nuovo singolo di Mahmood (qui il link alla recensione di “Inuyasha“) e rifletteva su quanto oggi sia stato sdoganato l’uso di parolacce nella musica. Attenzione, non si sta parlando di licenza poetica ma di linguaggio colloquiale dentro le canzoni, che è ben diverso. Che un giovane oggi scriva come parla è sacrosanto, anzi onesto. Quello che non si capisce è: davvero serve mettere “cazz0” o “fancul0” per condire un testo oppure se ne potrebbe fare a meno?
Ci sono canzoni e canzoni, urgenze ed urgenze. Prendiamo ad esempio Ho conosciuto il dolore, una bellissima canzone di Roberto Vecchioni (ascoltatela):
Vecchioni canta una poesia in musica, uno sfogo poetico che si trasforma in esperienza condivisa con chi ascolta. Durante i primi minuti non ci si aspetta che una bellissima canzone, finché ad un certo punto si ascoltano queste parole:
“Io sono vivo
E tu, mio dolore,
Non conti un cazz0 di niente
Ti ho conosciuto dolore in una notte di inverno
Una di quelle notti che assomigliano a un giorno
Ma in mezzo alle stelle invisibili e spente
Io sono un uomo… e tu non sei un cazz0 di niente”
Vecchioni sputa in faccia al dolore, si fa beffa di esso e della vittoria dell’uomo davanti alla sofferenza. Quando nella vita si sconfigge un mostro non c’è altro da fare se non dirlo con sincerità. La parolaccia si sarebbe potuta evitare? Adesso il cinghiale bianco la sostituisce con un sinonimo educato e vediamo che succede:
“Io sono vivo
E tu, mio dolore,
Non conti niente di niente”
“Se per te non vale un cazz0 chi siamo
oggi per me noi valiamo
La domanda è la stessa: “le brutte parole si potevano evitare?” Dunque le sostituiamo con dei sinonimi:
oggi per me noi valiamo
Quello che salta all’occhio è che nell’economia dell’insieme l’emotività non viene messa da parte, cioè a differenza del testo di Vecchioni qui non si rinuncia al pathos ma solo alla tipologia della comunicazione di un testo già stilisticamente più colloquiale che poetico. Quello che manca è l’essere catturati dalla parola scomoda che ti porta a voler andare avanti nell’ascolto per scoprire fin dove ci si vuole spingere. Ecco il motivo per cui Mahmood decide di non rinunciare a quelle parole. Nessuna censura, quindi va tutto bene. Parliamo come ci pare, diciamolo e divulghiamolo attraverso i nuovi idoli dei giovani di oggi.
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