A tu per tu con la cantautrice, in uscita con il suo quarto progetto discografico intitolato “Mia“
Ci sono interviste speciali, figlie di incontri casuali, che arrivano quando meno te le aspetti sotto forma di parole in cui riesci a riconoscerti e che lasciano inevitabilmente un segno. Ne rappresenta un esempio calzante questa piacevole chiacchierata realizzata in compagnia di Valeria Vaglio, cantautrice pugliese e romana d’adozione, che ricordiamo per la sua partecipazione a Sanremo 2008 con il brano “Ore ed ore”. Dopo aver pubblicato gli album “Stato innaturale”, “Uscita di insicurezza” e “Il mio vizio migliore”, arriva questo suo quarto lavoro in studio intitolato “Mia”, caratterizzato da accurate sonorità elettroniche, un tappeto che si sposa alla perfezione con l’innovativo stile di scrittura che contraddistingue la sua cifra stilistica.
Ciao Valeria, partiamo da “Mia”, il tuo quarto progetto discografico, com’è nato e che significato ha per te?
«E’ nato per caso, nel senso che non avevo intenzione di fare un quarto disco, ero un po’ stanca, mi sentivo come se mi stessi autoplagiando, le atmosfere acustiche e cantautorali erano diventate delle vesti troppo pesanti da portare, cominciavo a non sentirmi più a mio agio, così ho cominciato a cercare nuovi stimoli».
Così ti sei avvicinata al video design, come è avvenuto esattamente il tutto?
«Il mio amico regista Lorenzo Corvino mi ha chiamato per realizzare la colonna sonora del film “Wax”, ma voleva una veste elettronica. Questa esperienza mi ha aperto gli occhi e catapultato in un mondo che non avevo mai approfondito, mi sono talmente appassionata al punto da iscrivermi allo IED e conseguire la laurea, per poi cominciare a lavorare con le immagini fino a diventare, di fatto, il mio reale mestiere.
Quando poi ho cominciato a sentire la sensazione di voler sperimentare cose nuove sono arrivati questi pezzi, che sono nati esattamente con queste sonorità, perché l’intenzione iniziale era chiara, non ho cucito un vestito su misura dopo, a tal proposito l’incontro con Vittorio Giannelli è stato importante perché abbiamo unito due mondi diversi, ci siamo scambiati anche i ruoli e ci siamo divertiti molto, quando hai un lavoro che ti dà da mangiare la musica la vivi davvero come una passione, come in realtà dovrebbe essere».
Quali sono le tematiche predominanti e che tipo di sonorità avete scelto per esprimerle al meglio?
«Questo è un disco che abbraccia un periodo particolare della mia vita, racconta di un rapporto a due in cui l’altra persona tende a tenerti in sospeso su di un filo, che prima c’è e dopo sparisce. Tutta questa incertezza crea insofferenza, perché viene a mancare la chiarezza, ti sembra di vivere su di un’altalena, fino al giorno in cui non ti rendi conto che ti stai facendo trattare in un modo che non meriti, probabilmente perché ti manca della stima di fondo, chi hai di fronte capisce questa cosa e se ne approfitta. Ci sono persone che si nutrono della dipendenza di qualcun altro, a quel punto è necessario uno scatto di reni, devi cominciare a volerti bene e realizzare che quel tipo di rapporto non è sano. Non è facile, ci stai malissimo e ti incazzi pure con te stesso, perché realizzi di aver perso del tempo dietro ad una persona di poco spessore e che, in fin dei conti, non era nemmeno niente di che. La musica per me è sempre stata una cura, scrivere crea sollievo e mi ha aiutato a capire le cose molto più velocemente di mille discorsi o ragionamenti».
In questo disco c’è tanta ricerca, tra credibilità e sperimentazione dove ti collochi?
«Onestamente non credo di essermi più di tanto spostata da quello che ho sempre scritto, a livello musicale assolutamente sì, ma dal punto di vista testuale no. Proprio perchè mi sento libera di dire quello che mi pare nel modo che mi pare, l’ho fatto in un modo elettronico? Può piacere o non piacere? Pazienza, in passato mi sono preoccupata troppo del giudizio delle altre persone da perdere di vista il mio, mi sono liberata delle zavorre e sono ripartita da me stessa».
“Mia” è stato anticipato dal singolo “Mi faccio un regalo”, cosa racconta?
«Racconta una storia non reale, immaginata, quello che sarebbe potuto accadere nel caso entrambe le parti fossero state d’accordo e, soprattutto, parla del fatto che le cose a volte cominciano nel modo sbagliato, per cui diventa necessario ricominciare da zero. Spesso ci si chiede come sarebbe potuta andare, comincia a fantasticare nella tua testa, quasi come se non volessi accettare l’evidenza».
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«E’ nata in maniera strana, mio padre mi ha fatto suonare chitarra all’età di otto anni, caratterialmente non sono mai stata particolarmente avvezza alle regole, anche da bambina, l’idea di studiare e di seguire delle lezioni con una certa regolarità mi ha fatto mollare il colpo fino a che, un bel giorno, ho cominciato a riprendere quello strumento in mano e da lì è stata un’evoluzione continua, non c’è stato un momento in particolare».
Nel 2008 hai partecipato tra le Nuove Proposte del Festival di Sanremo con il brano “Ore ed ore”, che ricordo hai di questa esperienza?
«Un ricordo meraviglioso, credo che qualsiasi artista nella vita debba provare quel tipo di esperienza, anche coloro i quali sono soliti snobbare il Festival di Sanremo. E’ stata una settimana molto bella, l’ho vissuta serenamente senza l’ansia del pezzo difficile, perché “Ore ed ore” l’ho sempre considerata una canzone fondamentalmente semplice e proprio questa è stata la sua forza. Certo, la tematica era importante ma, alla fine della fiera, non ha fatto tutto questo rumore perché l’intenzione era onesta, quando un brano è ruffiano lo si sente benissimo. Col senno di poi forse avrei potuto marciarci di più, ma non è la mia indole».
Ti senti rappresentata dall’attuale mercato e da ciò che si sente oggi in giro?
«No. Io ascolto di tutto, ultimamente sto approfondendo la mia conoscenza della trap, avvicinandomi anche a cose in cui alle volte non mi riconosco. Personalmente cerco di non canalizzare mai la musica in macro categorie, anche perché non saprei onestamente dove collocarmi, non mi sento affine ad un altro cantante o autore, non mi ispiro a qualcuno in particolare, cerco di tirare fuori semplicemente me stessa. Ci sono tante cose che mi piacciono di oggi, mi viene in mente ad esempio Willie Peyote, trovo che il suo modo di scrivere sia nuovo ma, al tempo stesso, bello».
Sei un’attiva sostenitrice di Amnesty International e di varie campagne sociali, contro l’omofobia e contro la Violenza sulle Donne, vere e autentiche piaghe della nostra società. Credi che attraverso la musica e l’arte in generale si possano ancora influenzare le coscienze?
«Sì, ma le intenzioni devono essere reali, è brutto da dire e non voglio accusare nessuno, però la visibilità è diventato l’obiettivo per la maggior parte degli artisti, spesso e volentieri si sposano cause di questo tipo per far parlare di sé, più che per la tematica stessa. In questo caso, secondo me, si ottiene esattamente l’effetto contrario, perché il pubblico capisce quando entrano in gioco determinate tematiche. La Mannoia è una che quando parla ci crede in quello che dice, lo percepisci, perché se sbaglia ti chiede anche scusa, ma esprime la propria opinione in totale libertà».
© foto di Silvia Buccino
Mi piace il tuo spirito e ce ne fossero di persone che affrontano la vita e la propria professione in questo modo. Detto ciò, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica?
«Essere se stessi, non avere paura di deludere qualcuno e non cercare di compiacere nessuno, altrimenti diventa una recita. Dal mio punto di vista, le energie andrebbero canalizzate per trovare se stessi, non per emulare o assomigliare agli altri, la consapevolezza è un bene prezioso che ti aiuta ad adattarti anche ai vari cambiamenti che la vita ti impone. In questo periodo ho la fortuna di essere circondata da persone meravigliose, questo è importante, perché l’energia che emani attira a sua volta energie affini, nel momento in cui stai bene con te stesso tutto il resto diventa una conseguenza. E’ difficile, faticoso e anche molto doloroso, ma ne vale davvero la pena».
Buoni propositi e/o sogni nel cassetto?
«Ho davvero voglia di suonare questo disco, mi voglio davvero divertire e regalare un po’ di freschezza anche agli altri, togliermi un po’ di dosso quell’alone di tristezza della cantautrice impegnata, perché anche donare leggerezza può essere inteso come un impegno. Sogni nel cassetto? Sai, in questo momento non ne ho di particolari, non mi vengono in mente cose irrealizzabili, forse mi piacerebbe sviluppare l’aspetto autorale e scrivere per qualcuno, sentire qualcosa di mio cantato da un altro collega, sarebbe interessante».
Per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?
«Mi piacerebbe rendere l’ascoltatore un protagonista, mi affascina l’idea che qualcuno possa ritrovarsi in quello che ho vissuto e scritto io, le canzoni possono essere il veicolo attraverso il quale qualcosa di estremamente personale può trasformarsi in un concetto più universale. Questo tipo di condivisione è sana e preziosa, perché ci aiuta a sentirci tutti meno soli».
Nico Donvito
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