A tu per tu con il popolare cantautore in occasione dal lancio del suo nuovo singolo intitolato “Amarene”, che racconta di un amore proibito e clandestino
L’evoluzione naturale del precedente singolo “Notte nera“, così potremmo definire “Amarene”, il brano che segna il ritorno discografico di Virginio. In questo pezzo l’artista racconta di un amore che dovrebbe essere tenuto nascosto, perché giudicato diverso, non convenzionale, fuori dall’ordinario.
È la storia di due persone che si lasciano travolgere da un’attrazione fatale, consapevoli dell’impossibilità di poterla vivere appieno, un legame proibito, intrappolato tra il desiderio e la paura. Abbiamo raggiunto Virginio per ripercorrere in questa intervista direttamente con lui la genesi di questo brano e approfondirne il profondo significato.
“Amarene” vuole essere un invito a lasciarsi a andare e a non sottrarsi alle proprie emozioni?
«Questo è un po’ il sottotesto, anzi, più che altro il sopratesto della canzone. Nel senso che è un modo per accettare ciò che accade e non rifiutarlo. Il brano parla di come due persone che si cercano, che si vogliono e che si amano, debbano comunque nascondersi per cause di qualunque tipo. Per un motivo o per un altro, questo accade da sempre nella storia, da Shakespeare in poi, pensiamo ad esempio a Romeo e Giulietta. In realtà il tema centrale di “Amarene” è l’inclusione e vuole essere un invito a non nascondersi per paura di un determinato contesto o di un determinato giudizio».
L’amarena è un frutto dolce e al contempo amaro. Come nasce l’idea di questo titolo per raccontare un amore proibito?
«Ho scritto il testo di questa canzone insieme a Daniele Coro e Andrés Eduardo Zapata Crespo, e l’idea era proprio quella di trovare anche un po’ una metafora che rappresentasse un po’ questa sensazione del mordi e fuggi. Pensando all’incipit “ci siamo mangiati a morsi”, ci è venuta in mente l’amarena, proprio perché ha questa doppia valenza. Di fatto è una variante della ciliegia, così come questa storia che viene raccontata può essere considerata quasi una variante dell’amore. Mi piaceva il fatto che il nome contenesse in qualche modo il verbo amare. Ma se allo stesso tempo la parola “amare” se lo usiamo invece come aggettivo, diventa qualcosa di più complicato, di più difficile, che ricorda un sapore che non ci piace. Insomma, mi diverto molto a giocare con le parole, così che questa mi sembrava una metafora perfetta per raccontare una vicenda che ha un risvolto apparentemente dolce e al contempo aspro».
Il brano uscirà anche in versione spagnola il prossimo 18 ottobre , ma toglimi una curiosità: “amarene” si traduce letteralmente in “cerezas negras”, che per la metrica immagino sia stato un casino…
«Il titolo in spagnolo sarà “Amarenas” ed è stato motivo di una lunga disquisizione anche con il management latino americano, perché in realtà questa parola non esiste in spagnolo. Come hai sottolineato, le amarene si chiamano “cerezas negras” che sarebbe “ciliegie nere”, perché di fatto le amarene sono una qualità di ciliegie più scure e più aspre. Quindi “Amarenas” in realtà è una licenza poetica, spesso accade che nome in italiano viene riportato poi in spagnolo, quasi in una maniera similare, perché magari non esiste un corrispettivo. E questo è stato il caso».
Per concludere, considerando che il 27 settembre uscirà anche il nuovo singolo di Fiorella Mannoia, intitolato “Disobbedire” (musicato da te con Marco Colavecchio e Carlo Di Francesco, su testo di Fiorella e di Cheope), anche questo brano si ricollega un po’ alla morale di “Amarene”, che è quella di cercare di non seguire le regole comuni e ostinarsi a seguire il proprio intimo sentire. Che messaggio ti senti di rivolgere a chi, magari perchè è troppo giovane o magari perchè è troppo introverso, si chiude nella parola del giudizio e reprime il proprio istinto?
«Il messaggio che contiene “Amarene” è proprio questo, cioè quello di fregarsene del giudizio altrui. Il problema vero è che noi pensiamo sempre di essere immortali, ma questo è un limite dell’essere umano, pensiamo sempre che nulla possa scalfirci, nel senso che non ci rendiamo conto che l’eternità non ci appartiene… se non le idee e i sentimenti. Quindi per me non dovremmo perdere tempo, ed è vero anche che le cose che restano non vissute o vissute a metà forse a volte sono anche più intense e forti di quelle esplicitate, però io penso che la vita è così fugace che dovremmo viverla a pieno e intensamente. Il cosiddetto carpe diem di antica memoria. E per questo motivo dovremmo fregarcene del giudizio degli altri, perché in un mondo libero non si dovrebbe parlare di inclusione, tutto dovrebbe essere già assodato. Invece ci ritroviamo ancora a parlare di questi temi, a chiedere qualcosa che dovrebbe appartenerci di diritto, come appunto la possibilità di amare chi ci pare, quando alla fine non facciamo del male a nessuno. Questo è quello che mi che mi sento di dire, proprio perché in primis mi è capitato in prima persona di fare fatica e di non riuscire fregarmene di determinate situazioni, quando invece bisogna andare dritti per la propria strada».
Nico Donvito
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