giovedì 21 Novembre 2024

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C’è vita dopo la trap? – PUNTATA 1

Viaggio all’interno di un mondo diventato ormai una solida realtà dello scenario musicale italiano

Approfondire la conoscenza di ciò che non concepiamo ha, da sempre, caratterizzato l’evoluzione dell’uomo. A quesiti esistenziali quali “Chi siamo?”, “Da dove veniamo?” e “Dove stiamo andando?”, si aggiunge oggi un inquietante interrogativo: “Cos’è la trap?”. Per rispondere a questa domanda, ho deciso di immolarmi per la causa e sottopormi ad un inedito esperimento sociale: ascoltare solo musica trap per un mese. No, non sto scherzando, ho già cominciato da sette giorni, al quarto “scu scu” mi sono sentito male ma, tranquilli, ora mi sento meglio. Dalle analisi è risultato che sono allergico all’autotune, ma ho deciso di sacrificarmi per il bene della scienza.

Prima di cominciare questo test, mi sono chiesto: “cosa penso realmente della trap?”: per me, ad oggi, la trap è la versione ignorante del rap, un fenomeno per certi versi allarmante, oltre che di dubbio gusto. E’ musica da branco, se non l’ascolti diventi un emarginato, questo rischia di fomentare una preoccupante piaga sociale come il bullismo. Viviamo in un’epoca in cui vengono idolatrati personaggi come i protagonisti di “Gomorra”, considerati come dei nuovi miti, al punto da spingere i giovani ad emulare soggetti poco raccomandabili o, talvolta, veri e propri disagiati sociali. Una responsabilità che non compete i ragazzi, ma chi propina loro questo genere di modelli, spesso, anche attraverso videogiochi che inneggiano alla violenza e spingono al suicidio, come il drammatico fenomeno “blue whale”. Sono fermamente convinto che la musica possieda una forte valenza sociale e una grande responsabilità, per questa ragione reputo importante soffermarci ad analizzare per bene quello che sta succedendo oggi in Italia e nel mondo, al di là delle classifiche e dei gusti personali.

LA NARRATIVA TRAP

Iniziamo col dire che, a differenza della mamma, di musica trap non ce n’è una sola: si passa dal variopinto non-sense di Young Signorino al valido cantautorato urbano di Ghali, mondi paralleli che non si sfiorano nemmeno per sbaglio. Uno stile tutto sommato rivoluzionario, bisogna ammetterlo, che possiamo considerare un’evoluzione dell’hip hop, ricco di sonorità interessanti e innovative che, alla lunga, accusano una certa ripetitività. Il vero problema è rappresentato dai testi, nel migliore dei casi privi di senso compiuto, mentre nella peggiore delle ipotesi vengono lanciati messaggi negativi e dannosi. Diciamocelo, se fermo per strada dei ragazzini e  racconto loro la favola che cambio una tipa ogni sera, che giro sgasando in Lamborghini e che ho un armadio pieno di vestiti griffati, divento il loro mito assoluto in meno di dieci minuti, per non parlare del continuo sponsorizzare ed inneggiare a qualsivoglia tipo di stupefacente. Parliamoci chiaro, non è come la famosa “Coca cola” di Vasco Rossi (intesa come sostanza e non come bevanda), ci troviamo lontani anni luce di distanza da questo tipo di licenza poetica. Seppur discutibile in entrambi i casi, è la comunicazione che stravolge totalmente il messaggio finale. Oggi è tutto molto più spicciolo, blando, arrogante, psichedelico e volgare, roba che nemmeno nei peggiori bar di Caracas.

Ideali che stento a comprendere, così ho deciso di trovare rifugio negli affetti miei più cari, rivolgendomi alla mia cuginetta Anthea, sedicenne consumatrice seriale di musica trap. Per cercare di introdurmi al meglio nel mood, le ho chiesto cosa trova di interessante in questo filone musicale: «A me piace soprattutto per la musica sotto, i testi alla fine sono orecchiabili, li impari facilmente. Anche se non hanno sto gran senso, alla fine sono belli da cantare, ti entrano in testa. Anche perché le conoscono tutti e quindi beh». Ecco, era la risposta che mi aspettavo e che, in qualche modo, rappresenta il trap-pensiero della stragrande maggioranza dei teenager di oggi.: si ascolta perché “fa figo”, una moda partita dal web e diventata sempre più virale.

IL SUCCESSO COMMERCIALE

Come accade per tutto ciò che smuove ingenti somme di denaro, il business ha preso il sopravvento, così le discografiche e i network hanno deciso di cavalcare l’onda di un genere in netta ascesa. Dal 2015, abbiamo assistito ad una graduale invasione di trapper, supportati dai misteriosi algoritmi di YouTube e Spotify, che ti piazzano in automatico un pezzo di Sfera Ebbasta anche dopo aver ascoltato Fabrizio De Andrè. Vi giuro che mi è capitato davvero. Ma io non mi arrendo, voglio vederci chiaro e approfondire la mia conoscenza di questo genere che, nel bene e nel male, si impone come uno dei più significativi fenomeni di costume degli ultimi anni, anche se rappresentato da gente che finge di parlare al cellulare mettendosi una scarpa da ginnastica all’orecchio. Se sopravvivo a questo esperimento… ci sentiamo la prossima settimana!

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.