Recensione del nuovo album d’inediti della band romana
Nati come esponenti di nicchia nel marasma dell’indie italiano i Thegiornalisti devono, in realtà, la propria popolarità allo sdoganamento radiofonico e popolare di un genere non più osteggiato o, di controverso, alla loro scelta di scendere a patti con la musica ed i dettami nazionalpopolari. Love, il loro nuovo album d’inediti uscito a settembre 2018, è proprio il massimo esempio di tutto ciò, la prova del nove che dimostra come Tommaso Paradiso e compagni, in realtà, siano attualmente tutt’altro che artisti di nicchia.
Quello dei Thegiornalisti nelle 11 tracce totali di questo disco è un racconto incentrato sui temi tipicamente mainstream e pop come l’amore, le relazioni o il sentimentalismo unito, però, all’estremizzazione del quotidiano, all’esaltazione dell’esperienza, all’inumana abitudine di dar valore ad ogni singolo ed inutile gesto. Ed ecco allora che nel disco che celebra l’amore fin dal titolo non poteva non trovar spazio una bella ballata assolutamente pop come Questa nostra stupida canzone d’amore che racconta di un sentimento forte sotto una forma “originale” come quella dedica canora che, però, si contraddistingue per le metafore assolutamente quotidiane: insomma, Paradiso pensa alla Corea del Nord che “non potrà fermare tutto questo” mentre, invece, i grandi poeti dell’amore da sempre si sono concentrati nelle alte ed astratte liriche: “ti proteggerò dalle paure e dalle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai sulla tua via” cantava, tanto per citarne uno, Battiato. Un universo del tutto parallelo, insomma. Il punto vincente di Paradiso e compagni, però, sta proprio qui, in questa assoluta abilità di mischiare quotidianità indie e sentimentalismo pop adottando, poi, le tastiere, i sintetizzatori, le continue doppie voci.
Su questa scia melodical-pop s’inseriscono, poi, anche le altre tracce più “ballate” dell’album come New York, dove il romanticismo si riduce ad una giornata d’autunno passata a letto tra una bottiglia d’acqua ed il telefono, Controllo, probabilmente l’episodio più intimo e delicato con l’apertura su di una chitarra acustica ed una vocalità trattenuta e sinuosa prima di esplodere su di un ritornello tutto elettrico, e la stessa Love, che si concentra sulla sola lei che “mi puoi salvare quando la vita non gira bene, non ti fa volare” mentre si cerca “sulla strada di casa le farmacie aperte”.
Il resto dell’album, poi, corre nella direzione più spiccata della leggerezza, della frenetica ricerca della spensieratezza nelle situazioni di tutti i giorni partendo da quella Zero stare sereno che senza troppi dubbi si candida a nuovo tormentone primaverile/estivo per la nuova stagione dell’ombrellone. La ricetta è quella delle tastiere a non finire, del ritornello martellante grazie ad assonanze che si sprecano ed un motto facilmente condivisibile che gioca sui temi del mare, del relax e dei fin troppi impegni che ci assillano. Lo schema era già stato sperimentato con successo anche per Felicità puttana (e prima ancora per Riccione) che con la libertà che caratterizza il linguaggio senza schemi di Paradiso aveva sapientemente intersecato le giornate estive tra sole e aria di mare con il celebre “vocale di dieci minuti soltanto per dirti quanto sono felice” giocando con la fugacità della felicità.
Sulla scia di questa spensieratezza senza freni si collocano anche Una casa al mare, che a tratti ricorda fin troppo Luca Carboni per produzione e vocalità mentre inneggia al “fare solo quello che voglio fare” prima di inserire una variazione melodica sul finale spezzando, fortunatamente, una certa prevedibilità, Milano Roma, incentrata su di un ritmo tutto up per giocare tutto in levare sulla ritmica ed i sintetizzatori che qui trovano il loro miglior utilizzo, e L’ultimo giorno della Terra, che, invece, prova a ripristinare una certa intimità di temi (“crollano le stelle sopra i tetti di Milano, forse dovremmo fare l’amore in questa stanza del settimo piano”) pur viaggiando sopra un tappeto sintetico particolarmente azzeccato.
A chiudere è Dr.House che più di 5 minuti sfida palesemente i canoni della radiofonicità che, oramai, assai raramente superano i 3 minuti e mezzo di durata. I tre elettro-ragazzi paiono quasi inserirsi in una dimensione acustica ed orchestrale rivolgendosi direttamente al celebre medico televisivo per, poi, ricollegarsi, come su di un circolo senza capo né coda, alla traccia d’apertura, Overture, che musicalmente aveva dato avvio a questo percorso.
L’amore, o per meglio dire il Love, di Paradiso e compagni è esattamente ciò che il pubblico che era stato conquistato ed adocchiato con Completamente piuttosto che con Riccione si aspettava di sentire: un disco semplice, rivolto alla gente comune, alle situazioni di tutti i giorni con i riferimenti popolani che la band da sempre usa e condivide nelle proprie canzoni arricchite, questa volta, di un sound sempre particolarmente appiccicoso e memorabile. Nel bene e nel male. La differenza la fanno le rime, le assonanze azzeccate, i suoni studiati perfettamente, la saggia ed illuminata produzione ultra-contemporanea di Dario Faini e l’indole di Tomasso Paradiso che ha saputo indirizzare la propria musica in favore di ciò che la gente, piuttosto che il mercato, richiedeva per l’oggi. Domani si vedrà come cantava qualcuno che dalla musica cercava assolutamente un qualcosa di diverso da “un mezzo panino” da mangiare a Berlino. Ma non è detto che una cosa sia migliore dell’altra.
MIGLIORI TRACCE: Questa nostra stupida canzone d’amore – Felicità puttana – L’ultimo giorno della Terra
VOTO COMPLESSIVO: 7.5/10
Ilario Luisetto
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