Recensione dell’album del ritorno del cantautore partenopeo
Spettacolo, la terza prova discografica di Tony Maiello, arriva a 8 anni di distanza dalla vittoria del Festival di Sanremo con Il linguaggio della resa e dall’omonimo album che aveva, in qualche modo, anche segnato l’ultimo passo artistico (esclusi i pochi spaiati singoli rilasciati nel durante) del giovane partenopeo prima della ripartenza autorale nel 2015. Spettacolo, edito per Selection, vuole essere soprattutto il disco della vita, o meglio, di una vita. Un album capace e desideroso di raccontare il percorso di vita che ha caratterizzato questi ultimi 8 anni del cantautore di Castellammare di Stabia attraverso una narrazione personale ed extra-personale. Un album di fatto di parole, tante belle parole, che con semplicità sanno dare un senso, una spiegazione a posteriori a quanto accade nel corso della vita di ciascuno o di qualcuno soltanto.
E come ogni vita anche quella di Spettacolo lascia spazio a momenti più liberi, entusiasti e positivi e ad altri più cupi, profondi ed intensi. È in questi ultimi che Maiello tira fuori il meglio di sé, delle sue parole e della sua musica. In questo senso la doppietta di gioiellini imperdibili è quella formata da Terremoto e dalla title track Spettacolo, entrambe dedicate alle cadute e alle ripartenze, a quanto sia difficile rialzarsi ma anche a quanto sia necessario e bello farlo per sé stessi, il proprio sogno, la propria vita. Se la seconda parte quasi sussurrata per raccontare il momento in cui a “18 anni senti il peso di cambiare già la pelle e ti diranno che non serve fare sogni inutilmente” per poi crescere e lasciarsi andare al racconto di una vita che si vuol vivere da sopra un palco scenico, la prima, invece, si concentra nei ricordi personali di un crollo inevitabile finendo “tra le rovine di me stesso” da cui si ha la forza di risollevarsi grazie ad un ipotetico “te” che, poi, forse non è nessun altro che il proprio io.
Un peso specifico importante lo porta con sé Ti difenderò che all’amore e alla vita si rivolge in quanto difensore e protettore dal tempo, dalla solitudine e dalle parole di chi non sa comprendere l’inesistenza di una diversità che nel cuore non ha senso d’esistere. Amy Lee concretizza l’intento massimo dell’intero progetto: quello di raccontare una reale storia d’amore che della ricerca sensibile dell’altro, del gioco e del ricordo fa la propria ricchezza anche se lontani.
Tra il terzetto di L’amore che conosco, Davvero e Possibile si consuma ed esaurisce quella parte più intima e profonda del racconto. Se in L’amore che conosco tutto è orientato alla descrizione dello strano modo di vivere oggi l’amore in Davvero, invece, s’intersecano in una dimensione incantata e sospesa i sentimenti del cuore e i sogni. Possibile è la ballata d’eccellenza dell’album, la più italiana e la più tradizionalmente sanremese grazie all’apertura ariosa degli archi nell’inciso ed il graffiato della voce che si rivela positiva e consumata allo stesso tempo nel raccontare l’immensità di un amore imprevedibile. Uno di quei brani che non poche ugole italiane avrebbero cantato con non poco piacere e sicuri riscontri positivi.
Sul versante opposto dell’album si staglia la visione più propriamente positiva, fiduciosa e anche musicalmente solare nei confronti della vita in quanto tale. Non casualmente apre In alto che ripropone con saggezza il tema della ripartenza e della fiducia nel futuro così per come lo stesso Tony l’ha vissuto, assimilato e compreso arrivando ad adottare un beat sostenuto e fortemente condizionato dalle tendenze elettroniche. La stessa ricetta sonora viene adottata dalla fresca ed estiva In un battito che ha il piglio giusto per farsi ballare e fischiettare senza troppe pretese esattamente come Il mio funky cantata quasi tutta in falsetto su di una bella base di fiati e citando anche Grease. A chiudere questo percorso sono i due featuring del progetto: quello con Raige su di Giungla, che su di una canticchiabile “base country” fonde con maestria le barre del cantautore torinese con il pop del “la la la” di Tony, e quello con Giulia Penna su di Non mi fermerò, che suona più come un monito verso se stesso per ricordarsi da dove si viene e dove non si vuole più tornare.
Lo Spettacolo che Tony Maiello propone a sé stesso, prima ancora che al proprio pubblico, è quello di una meravigliosa vallata incontaminata in cui i versanti di due diversi complessi montuosi, quello soleggiato, rigoglioso e ricco e quello in ombra, depauperato e tenue, si aprono verso la bellezza e l’immensità della valle del futuro. La vita passata pare così quasi abbracciare per l’ultima volta, con le sue gioie e i suoi dolori, Tony prima di lasciarlo andare verso un qualcosa di nuovo, sconosciuto ma certamente stimolante. Il ritorno discografico di un giovane ragazzo che ha affrontato ogni aspetto della vita è ciò di cui si aveva bisogno per poter ascoltare un progetto che, biografico o no, sapesse di verità sotto entrambi i diversi riflettori. Alla potenza evocativa delle parole, vero e unico mezzo di un racconto reale, si accompagna una voce matura e sicura capace di catturare ogni intenzione della propria anima. Un disco che suona come un inno alla vita, tanto al passato quanto al futuro. Un disco che sa giustamente di vittoria per un ragazzo che non ha smesso di sognare e che ora può legittimamente continuare a farlo. Anzi no, deve continuare a farlo. Un disco che merita di essere ascoltato ricordando l’artigiano del pop che nasconde dietro di sé ma che, soprattutto, merita di essere vissuto.
MIGLIORI TRACCE:Spettacolo – Terremoto – Possibile
VOTO COMPLESSIVO: 7,5/10
Ilario Luisetto
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