A tu per tu con Sara Fortini, per parlare dell’album “Eterogenika”. La nostra intervista alla cantautrice e musicista veronese
Si intitola “Eterogenetika” il nuovo album di Sara Fortini, fuori dallo scorso venerdì 15 novembre per Osteria Futurista / Maieutica Dischi.
Si tratta di un viaggio appassionato attraverso mondi sonori e influenze musicali che definiscono l’anima dell’artista e la sua scrittura. In un unico album prendono vita stili e generi diversi, figli di ascolti variegati e della convinzione che la musica sia il linguaggio ideale per esprimere pluralità e diversità. Ispirato al concetto di eterogenesi, che nella biologia e nella filosofia descrive cambiamenti inattesi e nuove direzioni, questo progetto si ribella alle convenzioni.
In un panorama che spesso chiede agli artisti di definirsi entro identità rigide, “Eterogenetika” si propone come manifesto della diversità: un richiamo a una creatività autentica, libera di fondersi, evolversi, e spingersi oltre schemi precostituiti, per esplorare la propria natura più profonda e generativa. Approfondiamo la conoscenza di Sara Fortini.
Il 15 novembre esce il tuo nuovo album *Eterogenetika*. Ci puoi raccontare come nasce l’idea di questo titolo?
«Allora la parola Eterogenetika arriva dall’unione di due parole che sono “eterogenesi” e “genetica”. L’eterogenesi che in biologia ci parla di diversità e in filosofia rappresenta la possibile discontinuità e l’arrivo di risultati inaspettati. Questo titolo cerca di spiegare appunto l’eterogeneità di stili, generi e sonorità che si possono ritrovare all’interno di questo disco dove le contaminazioni che caratterizzano la scrittura dei brani vogliono essere un punto di forza».
L’album esplora una grande varietà di sonorità, dal blues all’elettronica, passando per il pop e il soul. Che tipo di lavoro c’è stato a livello di sound?
«C’è stata una ricerca profonda per quanto riguarda i suoni e a questo proposito questo disco è stato realizzato con la collaborazione di due produttori che sono Alessandro Casagni e Andrea Ragnoli, con loro si è cercato di trovare il suono più adatto per valorizzare il testo e il senso di ogni brano. A me piace molto fondere parole e suoni e pescare dalle mie esperienze di ascolti, ad esempio l’idea dell’intreccio di voci e percussioni di “Sorridi Sempre” nasce da un viaggio in Mozambico e dall’influenza dei canti corali e percussivi che si possono trovare in quelle aree del mondo. Posso dire che qui dentro c’è tanto del mio vissuto musicale fino ad ora».
C’è un brano, la cosiddetta focus track, che secondo te rappresenta e sintetizza al meglio lo spirito del progetto?
«“Eterogenetika” per me è una sfida, un trampolino di lancio e sono affezionata a tutti i brani che ci sono dentro, come singolo per lanciare il disco ho scelto “Sorridi Sempre” perchè è molto diretta, breve ed intensa però se devo pensare al brano che rappresenta meglio il progetto forse ad oggi direi “Questa Musica” che è un brano che racconta sinceramente il mio rapporto con la musica e parla di coraggio e determinazione ma anche di momenti di sconforto e abbandono. I brani invece a cui sono più affezionata perchè più personali e intimi sono “Un Cinema” e “Puoi DImenticarmi”».
In che modo il pianoforte guida il tuo processo creativo e quali caratteristiche specifiche di questo strumento pensi che si riflettano nel tuo stile?
«Il pianoforte per me è sempre stato lo strumento con cui mettere in musica le parole e viceversa. Non c’è mai stato un processo definito, a volte parto dalle parole e altre volte parto dal testo altre da un riff, un’armonia o una melodia suonata al pianoforte. Una cosa per me però è fondamentale, se il pezzo mi emoziona pianoforte e voce allora posso pensare di iniziare ad arrangiare e continuare a “vestirlo” con i musicisti con cui lavoro o di tenerlo nella sua forma più pura; se l’emozione non arriva lascio andare. Sono sicuramente più numerosi i pezzi che ho abbandonato al tempo che quelli che ho tenuto».
C’è un incontro che reputi fondamentale nel tuo percorso? Se sì, ti va di raccontarci perché?
«Può sembrare banale ma, al di là degli insegnanti di canto o dei musicisti con cui ho lavorato, la persona che mi ha veramente fatto capire che potevo fare quello che amavo è stato il mio professore di filosofia al liceo. Da lì in poi ho lavorato con tante persone che sono state una grandissima fonte di ispirazione sia artisticamente, musicalmente sia umanamente, penso al concerto che ho fatto come corista per Pino D’Angiò o con Durga e Lorelei McBroom però se penso alla vera scintilla penso proprio alla me adolescente sperduta e al mio prof. del liceo».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«La musica è la più grande maestra che si possa avere e continuo ad imparare l’umiltà nel confrontarmi giornalmente con una cosa molto più grande di me e allo stesso tempo la determinazione che è necessaria a crescere e la dedizione che serve per amare anche i momenti più difficili che possono arrivare quando si sceglie di vivere per la musica. Sono felice però perché in questa scelta mi sono sempre trovata a condividere il percorso con persone meravigliose».
Nico Donvito
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