Sanremo Story: la rubrica che ripercorre le tappe fondamentali del Festival della canzone italiana, attraverso aneddoti e approfondimenti. A cura di Nico Donvito
Per molti il Festival di Sanremo è quell’evento televisivo che catalizza davanti allo schermo per una settimana all’anno, uno spettacolo colorato, uno psicodramma tragicomico collettivo, un carrozzone fiorito stracolmo di cantanti, presentatori e vallette. Negli anni, ne abbiamo lette e sentite parecchie di definizioni, tutte profondamente vere, ma nessuna realmente corretta. Sanremo Story anni ‘00
Per dare una risposta allo slogan “Perché Sanremo è Sanremo”, è necessario riscoprire la storia di questo grande contenitore che nel tempo si è evoluto, ma senza perdere il proprio spirito. La verità è che il Festival è un vero e proprio fenomeno di costume, la favola musicale più bella di sempre, lo specchio canterino del nostro Paese. Con la sua liturgia, la kermesse non è mai riuscita a mettere d’accordo ammiratori e detrattori, forse in questo alberga la vera fonte del suo duraturo consenso. La rubrica “Sanremo Story” si pone l’obiettivo di raccontare tutto questo e molto altro ancora.
“Sanremo Story”: il Festival del nuovo millennio, gli anni ‘00
L’arrivo del Duemila non portò con sé grandissime novità, l’attenzione sui dati di ascolto superava in termini organizzativi l’interesse globale sulle canzoni in gara, relegate ad una specie di contorno. Il ruolo del direttore artistico si apprestava a diventare sempre più determinante, dalle sue scelte dipendevano la riuscita o il fallimento di un’intera edizione.
Si susseguirono così annate interessanti, altre meno eclatanti ed altre decisamente anonime. L’industria discografica cominciò ad avvertire i primi segnali di allarme, così Sanremo si ridusse per diverso tempo ad una vetrina destinata quasi esclusivamente agli artisti in cerca di ricollocazione. Rispetto a quanto accaduto nel decennio precedente, la sua funzione di trampolino di lancio per le nuove generazioni passò direttamente nelle mani dei talent show. In linea generale, più che di rimuginare sul passato, c’era una fortissima voglia di guardare al futuro.
Per la cinquantesima edizione del Festival della canzone italiana, infatti, non ci furono grandi celebrazioni, se non per i premi alla carriera assegnati a tre pilastri della storia della rassegna: Nilla Pizzi, Tony Renis e Mike Bongiorno. Per il resto fu una passerella decisamente poco nostalgica, quasi un passaggio di consegne tra i due secoli. Il confermato Fabio Fazio convocò all’appello il tenore Luciano Pavarotti, il comico Teo Teocoli e l’attrice spagnola Inés Sastre. Oltre che per la concomitanza con il Giubileo, Sanremo 2000 si distinse per il “ribaltone” della classifica finale ad opera della giuria di qualità, che espresse un verdetto in netto contrasto con il parere della giuria demoscopica.
Il favorito Gianni Morandi, in gara per la sesta volta con “Innamorato”, scivolò dal primo al terzo posto, mentre rimase stabile in seconda posizione Irene Grandi con “La tua ragazza sempre”. Da notare che entrambe le canzoni portavano duefirme d’eccezione, quella di Eros Ramazzotti per l’ugola di Monghidoro e quella di Vasco Rossi per la rocker toscana. Ad aggiudicarsi lo scettro furono a gran sorpresa gli Avion Travel con “Sentimento”, passando dall’undicesimo posto iniziale alla vittoria finale. Un premio per la notevole ricerca musicale del gruppo casertano e per la loro insindacabile performance, più che per la proposta musicale in sé, considerata un misto tra romanza e teatro-canzone, un tantino troppo elevata per ambire a restare nel tempo.
Emersero due motivi anti-sanremesi per eccellenza, “Tutti i miei sbagli” dei Subsonica e “Replay” di Samuele Bersani, mentre in rappresentanza della tradizione si contrapposero i Matia Bazar con “Brivido caldo” e Gigi D’Alessio con “Non dirgli mai”, quest’ultima destinata ad un successo a lunga durata. Tra i giovani trionfò una delle canzoni meno memorabili in concorso, “Semplice sai” di Jenny B, mentre si fecero notare i Tiromancino e Riccardo Sinigallia con “Strade”.
Suscitò un bagaglio infinito di polemiche politiche l’ospitata di Jovanotti, che improvvisò un rap sulla cancellazione del debito estero nei confronti dei Paesi del “sud del mondo”, battaglia supportata anche da Bono Vox degli U2. A distanza di circa vent’anni, possiamo affermare che la situazione economica si sia progressivamente capovolta, a causa della crisi dell’Eurozona che ha spinto i Paesi del vecchio continente ad adottare un principio di austerità fiscale, aseguito dell’aumento vertiginoso del debito sovrano nelle cosiddette economie avanzate.
Insomma, il Festival di Sanremo festeggiava le sue nozze d’oro con il pubblico per mezzo di un’edizione all’insegna della consuetudine, molto eterogenea a livello di proposte, con la qualità e l’identità nazionale che furono premiate a discapito della commerciabilità e dell’esterofilia. Non a caso, con il tempo, la figura dell’ospite straniero acquisì sempre meno interesse, surclassata dagli stessi big italiani. Tuttavia, nel primo decennio del nuovo millennio si alterneranno sul palco dell’Ariston star internazionali del calibro di: Robbie Williams, Tina Turner, gli Oasis, Lene Marlin, Tom Jones, Enrique Iglesias, Anastacia, Eminem, i Placebo, Kylie Minogue, Shakira, Alicia Keys, le Destiny’s Child, Britney Spears, i Blue, Rod Stewart, Peter Gabriel, Lionel Richie, Dolores O’Riordan, i Black Eyed Peas, Michael Bublè, Norah Jones, John Legend, Mika e Katy Perry.
«L’inizio del Festival di Sanremo è un po’ come scartare un regalo, non sai ancora cosa c’è dentro, ma sei molto curioso. Le canzoni, gli abiti, lo spettacolo: tutto ciò si ripete, ma ogni anno è unico e, forse, anche per questo così emozionante» così Raffaella Carrà inaugurò nel 2001 quella che sarebbe dovuta essere a tutti gli effetti l’edizione della rinascita. Le premesse erano più che buone: una conduzione degna di nota, sinonimo di garanzia sia per la musica che per lo spettacolo, e brani all’altezza della situazione, molti dei quali si sarebbero piazzati piuttosto bene in classifica. Invece, qualcosa andò storto, le polemiche accompagnarono l’incessante pioggia che si accanì sulla Riviera per l’intera settimana, sia dal punto di vista critico che metereologico.
La showgirl emiliana dovette fare i conti con una serie infinita di incidenti di percorso: dalle uscite non sempre felici di Massimo Ceccherini ed Enrico Papi, passando per le accuse al regista Sergio Japino, reo con le sue inquadrature, di non valorizzare a pieno titolo i cantanti. L’esito dell’esperienza suscitò un grande rammarico in Raffaella che, all’indomani della serata finale, dichiarò: «Se ho sbagliato vi chiedo scusa, ma nessuno fa sempre centro. Abbiamo optato per delle scelte, alcune si sono rivelate errate. Sanremo è come un imponente dio greco a cui ci si avvicina con timore. Forse non sono riuscita ad entrare nell’anima del Festival».
Gli ascolti furono un disastro, ma la colpa poteva essere individuata nel repentino cambio di rotta del mezzo televisivo. Qualche mese prima, il pubblico italiano iniziò ad appassionarsi agli intrighi e alle vicende di dieci ragazzi rinchiusi in una casa spiata notte e giorno, da cento telecamere. Fu l’inizio dell’era del Grande Fratello e di trasmissioni similari, che raccontavano in modo nuovo i sentimenti umani, ai limiti del voyeurismo e del pietismo. Una scuola di pensiero diametralmente opposta a quella della Carrà, notoriamente una professionista dai modi garbati e propositivi.
Un vero peccato considerati i presupposti, ma soprattutto i molteplici momenti eccellenti contrapposti a qualche scivolone di troppo. Questa edizione passò alla storia più per i lati negativi che per quelli positivi ma, molto probabilmente, si trattò di un giudizio eccessivamente affrettato e sintetico. Troppo facile ricordare “Pronto, Raffaella?” per il gioco dei fagioli o “Carramba! Che sorpresa” per la frase «dopo trent’anni… dall’Argentina… è qui». La regina della televisione italiana è stata amata dal pubblico e continuerà ad esserlo per sempre, anche se è stata spesso osteggiata dai cronisti e da coloro i quali avrebbero dovuto esaltare la sua professionalità e non sottolineare le défaillance. Questa sua unica parentesi sanremese ne rappresenta un’amara conferma, nonostante il risultato meriterebbe di essere rivalutato nel tempo.
Vinse meritatamente Elisa, al suo debutto in italiano con “Luce (tramonti a nord est)”, in un agguerrito e sentito scontro tutto al femminile con “Di sole e d’azzurro” di Giorgia. Due canzoni di alto profilo, entrambe firmate anche da Zucchero. La prima classificata commentò così la sua partecipazione: «Sono molto legata a questo brano, di conseguenza volevo che si capisse ogni singola parola. Ho deciso di venire a Sanremo, anche se avevo detto che non l’avrei mai fatto, perché questo è l’unico pezzo d’amore che ho scritto. Cantarlo nella nostra lingua e farlo sentire a dieci milioni di persone contemporaneamente, era un’opportunità imperdibile».
Pur stabilendosi a metà classifica, il vincitore morale in termini commerciali fu Gigi D’Alessio con “Tu che ne sai”, brano che lo consacrò nell’Olimpo dei big della musica leggera italiana. Tra i giovani si impose la baby-band dei Gazosa con “Stai con me (forever)”.
L’edizione 2002 registrò un’eclatante inversione di marcia, restituendoci un cast all’insegna della nobile arte democristiana di rimodernare il passato, il tutto ben rappresentato dalla massiccia presenza di esponenti della vecchia guardia. Alla conduzione e alla direzione artistica riapparve Pippo Baudo, che dichiarò: «Sono felice di tornare a dirigere una manifestazione che è nel ricordo e nelle abitudini degli italiani. La musica popolare è tale quando può essere cantata da tutti, quando racconta in maniera semplice gli umori di un intero Paese. Nel mio ruolo di “pasticcere” ho confezionato una torta con tanti sapori, perciò tutti troveranno qualcosa di loro gusto. Non è un Festival della restaurazione, ma del restauro. Quello che desidero è restituire agli interpreti il ruolo di autentici protagonisti, ultimamente i cantanti venivano presentati come intervallo tra un ospite e un comico. Stavolta no».
Seppur meno originale delle annate precedenti, questa ventata di “baudismo” restituì alla kermesse un po’ di progettualità, una connotazione decisamente chiara e comprensibile. Super Pippo era la persona più indicata per riportare stabilità, ma anche per rassicurare in qualche modo il pubblico. Non dimentichiamo che questa fu la prima edizione andata in scena dopo la tragedia dell’attentato alle Torri Gemelle del World Trade Center di New York, in un clima di assoluta incertezza e con la paura di una nuova guerra all’orizzonte.
Venne rispolverata così la famosa sigla “Perché Sanremo è Sanremo”, accantonata per circa un lustro. Si tornò alle abitudini di un tempo, come se in mezzo non ci fosse stato alcun passaggio di secolo, ma forse era proprio quello di cui avevamo bisogno. Vinse “Messaggio d’amore” dei Matia Bazar, al loro terzo tentativo consecutivo, una bella canzone classicheggiante definita da alcuni come una versione riaggiornata di “Vacanze romane”.
Il nazionalpopolare fu ben rappresentato anche dai ritorni di Fausto Leali, Mino Reitano, Fiordaliso e Nino D’Angelo, mentre tra le proposte di qualità si lasciarono apprezzare “Un altro amore” di Gino Paoli e “Primavera a Sarajevo” di Enrico Ruggeri. Quest’ultima raccontava il ritorno ad una vita normale dopo la fine del conflitto civile in ex Jugoslavia, un messaggio di speranza in un momento storico in cui si temeva l’imminente inizio di una nuova lotta armata.
Debutto interessante per Alexia con “Dimmi come…”, anche se il suo passaggio alla lingua italiana non sortì l’effetto sperato, non riuscendo ad emulare il percorso di Elisa. La cantante spezzina si accontentò comunque di un soddisfacente secondo posto. Esordio tra i big, con “Tracce di te”, per Francesco Renga che ritrovò sul palco dell’Ariston la sua storica band dei Timoria, fanalino di coda con “Casa mia”. A trionfare nelle vendite, restando impressa nella memoria e nel tempo, fu “Salirò” di Daniele Silvestri, detentore del Premio della Critica, relegato dalle giurie ad un misero quattordicesimo posto. Tra i giovani si affermò la quindicenne ciociara Anna Tatangelo con “Doppiamente fragili”, in un’annata decisamente sottotono per le nuove leve.
Al timone della cinquantatreesima edizione del Festival restò Pippo Baudo, che aveva siglato un contratto di due anni con la Rai. La ricetta di Sanremo 2003 prevedeva gli stessi ingredienti adoperati dodici mesi prima, ma cucinati in maniera differente. Il risultato fu un podio all’insegna del blues, con Alexia che si prese la sua bella rivincita trionfando con “Per dire di no”, Alex Britti secondo classificato con “7000 caffè” e la medaglia di bronzo assegnata all’esordiente Sergio Cammariere con “Tutto quello che un uomo”.
Degna di nota “Nessuno tocchi Caino”, portata in gara dalla coppia formata da Enrico Ruggeri e Andrea Mirò, un dialogo tra il boia e un condannato a morte che spera fino alla fine in un gesto di clemenza. Toccante e struggente “Morirò d’amore”, che segnò l’ultima apparizione di Giuni Russo, pochi mesi prima della sua scomparsa. Debuttarono la dance degli Eiffel 65 e il rock dei Negrita, rispettivamente con “Quelli che non hanno età” e “Tonight”, mentre fecero il loro ritorno Iva Zanicchi con “Fossi un tango “e la coppia di “acerrimi amici” formata da Little Tony e Bobby Solo con “Non si cresce mai”.
Tra le Nuove Proposte primeggiò Dolcenera con “Siamo tutti là fuori”, in una gara dagli accesi, e forse anche un tantino esagerati, toni sentimentali. La stampa commentò freddamente il livello della rassegna, le critiche superarono i consensi. I pezzi si distinsero più per la qualità che per il loro valore radiofonico e commerciale.
Dopo i rifiuti di Renzo Arbore e di Lucio Dalla, per salvare la situazione fu designato come direttore artistico di Sanremo 2004 Tony Renis, un po’ distante dalle logiche di mercato italiane, poiché stabilitosi da tempo dall’altra parte dell’oceano. Come conduttrice venne scelta Simona Ventura, affiancata per l’occasione dalla stessa squadra di autori e di comici di “Quelli che il calcio”. Lo spettacolo fu ineccepibile, le presenze di Maurizio Crozza e Paola Cortellesi nobilitarono l’evento, seppur la parte musicale risentì delle molteplici polemiche della vigilia. Lo strappo con le major non fu ricucito, così venuta meno la presenza dei big, si corse ai ripari abolendo le due categorie e raggruppando i cantanti in un unico girone con pochi famosi e tanti esordienti.
Unica vera novità da sottolineare fu l’introduzione del televoto, grazie al quale il pubblico ebbe la possibilità di esprimere le proprie preferenze inviando un semplice sms. Inoltre, venne ideata la serata delle cover, pensata in termini sia celebrativi che riempitivi poiché, con soli ventidue artisti in concorso, bisognava in qualche modo allungare il brodo delle cinque serate. Dopo ben trentatré anni, tornò in Riviera a gran sorpresa Adriano Celentano, che improvvisò maccheronicamente un rock and roll d’epoca. Naturalmente, fu il momento che registrò il maggior picco di ascolti. In termini di Auditel, possiamo considerarla un’annata da dimenticare, anche a causa di una serrata e agguerrita controprogrammazione delle reti Mediaset. Da segnalare lo storico sorpasso, in termini di ascolti, del Grande Fratello nel corso della terza serata.
In gara c’erano pochi volti conosciuti o che avevano almeno una volta già messo piede sul palco dell’Ariston, tra questi Andrea Mingardi, Bungaro, Paolo Meneguzzi, Massimo Modugno e Daniele Groff. Per il resto si trattava di autentici emergenti, compreso Adriano Pappalardo che da quelle parti non si era ancora mai visto. Spiccarono le proposte e i nomi di Neffa, Mario Venuti, Omar Pedrini e Pacifico.
In prima posizione si affermò “L’uomo volante” di Marco Masini, già vincitore delle Nuove Proposte nel 1990. Il cantautore toscano aveva annunciato qualche anno prima il suo ritiro dalle scene, a seguito del forte accanimento riscontrato da parte della critica e della censura. Il suo successivo ripensamento fu premiato con questa bella e meritata vittoria, che lo stesso artista dedicò a sua madre e a Mia Martini, anche lei vittima di insensati pregiudizi. Insomma, un bel lieto fine per un’edizione da prendere con le pinze, ai limiti della debacle, con il futuro del Festival messo in seria discussione e totalmente da riscrivere.
Il viaggio proseguì nel segno del rinnovamento; quella del 2005 fu l’edizione del rilancio, affidata per la prima volta a Paolo Bonolis, al quale fu assegnato il compito di risollevare una rassegna ormai esanime. Il risultato fu brillante e moderno, con tante innovazioni e pochi accurati riferimenti alla tradizione. I cantanti vennero suddivisi in più categorie: Uomini, Donne, Gruppi e Classic, oltre alla sezione Nuove Proposte che venne ripristinata dopo l’annata sabbatica. I cinque vincitori di ciascun girone si affrontarono, l’uno contro l’altro, per la vittoria finale. L’idea era quella di prendere spunto dalla suddivisione delle candidature dei Grammy americani, introducendo nuovamente nel regolamento le eliminazioni anche per i veterani, dopo ben dodici anni di assenza. D’altronde, si sa, un po’ di sale e un po’ di pepe non guastano mai.
Favorito della vigilia fu Gigi D’Alessio, reduce da un periodo di grande popolarità e da numerosissimi successi. Il cantautore napoletano tornò in gara per la terza volta con “L’amore che non c’è”. La sua partecipazione fu dovuta principalmente all’amicizia che lo legava al conduttore romano, più che a ragioni commerciali, considerato che in quel periodo le vendite erano decisamente dalla sua parte. Per essere chiari, era il Festival ad aver bisogno di lui e non il contrario. Un po’ come accadde anche per Le Vibrazioni, al debutto in gara con “Ovunque andrò”.
Tra i giovanissimi si affermò Laura Bono con “Non credo nei miracoli”, mentre si fecero notare due gruppi di tutto rispetto: i Modà che debuttarono in sordina con “Riesci a innamorarmi” e i Negramaro al loro esordio con “Mentre tutto scorre”, canzone che spopolò all’indomani della kermesse. A onor del vero, l’intera categoria fu penalizzata dall’exploit di Povia, che partecipò fuori concorso con “I bambini fanno oh“, motivo già presentato pubblicamente e non ritenuto di fatto un inedito. La canzone, abbinata alla campagna solidale volta a costruire un ospedale in Darfur, fu proposta di continuo e in orari decisamente più favorevoli. Iniziativa lodevole ma, di fatto, i brani degli altri emergenti vennero oscurati da un pezzo che diventò il singolo di maggior successo dell’intera annata.
Si lasciò apprezzare il ritorno di Nicola Arigliano che, quarantuno anni dopo la sua precedente partecipazione, portò in gara un pregevole swing intitolato “Colpevole”. Altra illustre rentrée fu quella di Franco Califano, alla sua ultima presenza in Riviera con “Non escludo il ritorno. Tra le donne, invece, spiccò per eleganza Echi di infinito di Antonella Ruggiero”, mentre tornò alla ribalta Anna Tatangelo con “Ragazza di periferia”, che diventò a stretto giro uno dei suoi principali evergreen.
Ad aggiudicarsi il titolo fu Francesco Renga con l’evocativa “Angelo”, una preghiera ispirata e intensa. La proclamazione seguì l’edizione straordinaria del telegiornale in cui vennero trasmesse le immagini del ritorno in Italia delle spoglie di Nicola Calipari, agente assassinato a Bagdad dopo la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Il pubblico dell’Ariston accolse la richiesta di Bonolis di far comunque interpretare il brano al vincitore, come da tradizione, visto il significato e l’intensità espressi nel testo. Ancora una volta, il Festival portò in scena l’attualità, invitandoci ad una riflessione intima e profonda, sulle note di una dolce canzone.
Gli ascolti premiarono le scelte del patron che, come Paganini, non concesse alcun bis, almeno non nell’immediato. L’edizione 2006 fu la prima e unica targata Giorgio Panariello, affiancato da Ilary Blasi e Victoria Cabello. Alla direzione artistica venne riconfermato per il secondo anno Gianmarco Mazzi, che replicò lo stesso modello di spettacolo, con la sola estinzione della categoria Classic. Il risultato non fu memorabile, anche a causa dalla scenografia ritenuta a tratti cupa e troppo minimale.
Quasi tutte le canzoni parlavano d’amore, eccezion fatta per il rock d’autore dei Nomadi, al loro ritorno dopo trentacinque anni con “Dove si va”. Indimenticabile il “tuturuturututtu” degli Zero Assoluto che, con “Svegliarsi la mattina”, sbancarono le classifiche annuali. Da segnalare l’evoluzione di Anna Tatangelo che, nel giro di dodici mesi, da ragazza di periferia cambiò look e sposò una nuova filosofia di vita con “Essere una donna”, firmata per lei da Mogol e Gigi D’Alessio. Decisamente più sofisticate le proposte di Carlo Fava, Noa e i Solis String Quartet con “Un discorso in generale” e Anna Oxa con “Processo a me stessa”, canzone ancora oggi rimasta in parte incompresa. Non passarono inosservati “L’alfabeto degli amanti” di Michele Zarrillo e “Com’è straordinaria la vita” di Dolcenera, reduce dal rilancio ottenuto con la vittoria di Music Farm.
A sbaragliare la concorrenza fu Povia con l’onomatopeica “Vorrei avere il becco”, mentre tra i giovani non andò meglio: il favorito Simone Cristicchi dovette accontentarsi del secondo posto con “Che bella gente”, in favore di “Sole negli occhi” di tale Riccardo Maffoni, artista il cui nome fu iscritto sia nell’albo d’oro dei vincitori che in quello delle meteore. A parte il massaggio ai piedi della Cabello ad opera di John Travolta, non ci furono grandi momenti di spettacolo degni di memoria.
La cinquantasettesima edizione della kermesse canora fu segnata dall’ennesimo ritorno di Pippo Baudo, considerato ormai all’unisono l’uomo simbolo della manifestazione. Il conduttore convocò al suo fianco una sola presenza femminile, la brava e simpatica Michelle Hunziker. Dopo un biennio di novità, la kermesse tornò a respirare a pieni polmoni un po’ di sana classicità. Vennero abolite le microcategorie e fu ristabilita la consueta ripartizione tra Campioni e Nuove Proposte. Sparirono anche le eliminazioni per i big e, della classifica finale, vennero divulgate soltanto le prime dieci posizioni, mentre i restanti piazzamenti furono considerati tutti ad ex aequo.
Fu l’anno dell’impegno sociale: “Oltre il giardino” di Fabio Concato raccontava la storia di un cinquantenne intento a trovare un lavoro; “Canzone fra le guerre” di Antonella Ruggiero descriveva l’angoscia di una madre sotto le bombe; “The show must go on” di Milva, scritta per lei da Giorgio Faletti, rifletteva sulla vita degli artisti falliti; “In Italia si sta male (si sta bene anziché no)”, portata in scena da Paolo Rossi, era un inedito di Rino Gaetano rimasto nel cassetto per circa trent’anni, un brano che evidenziava i pregi e i difetti del nostro Paese immutati nel tempo.
In questa atmosfera di riflessione e di profonda teatralità primeggiarono, in entrambi i gironi, due canzoni dal forte valore sociale ed evocativo. Simone Cristicchi si impose fra i Campioni con “Ti regalerò una rosa”, una lettera d’addio da parte di un malato di mente alla sua amata. Dunque, in Riviera si tornò a parlare di suicidio, a quarant’anni esatti dalla tragedia di Luigi Tenco. Altra vittoria meritata fu quella di Fabrizio Moro, che si distinse tra i cadetti con “Pensa”, un omaggio privo di retorica alla memoria e al sacrificio di uomini di giustizia, quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ancora una volta si rivelò geniale Daniele Silvestri: “La paranza” era tutto fuorché una proposta banale, dietro queiversi scanzonati da filastrocca si nascondeva un’audace e sagace allegoria sociopolitica, il tutto abilmente camuffato in un finto nonsense da osteria. Scelte temerarie per Baudo, che si confermò conservatore nella formula, ma coraggioso nei contenuti. Nonostante la nutrita presenza di vecchie glorie e l’età media non proprio giovanissima, il risultato fu soddisfacente, le canzoni trovarono rispondenza tra i variegati ed esigenti gusti del pubblico.
Il deus ex machina di Militello, al suo tredicesimo e ultimo mandato in Riviera, non riuscì a replicare il precedente successo, di conseguenza l’edizione 2008 si rivelò ripetitiva e un filino noiosa. Un mese prima dall’inizio dei giochi cadde il Governo Prodi e il clima pre-elettorale non giovò di certo alla rassegna. Nel cinquantesimo anniversario della vittoria di “Nel blu dipinto di blu”, in pratica volò ben poco. Favorito della vigilia era “Il mio amico” di Anna Tatangelo, al suo quinto Festival in sette anni. Il brano, composto dal suo compagno dell’epoca Gigi D’Alessio, era incentrato sulle sofferenze di un giovane omosessuale in una piccola realtà di provincia.
Vinse “Colpo di fulmine” di Giò Di Tonno e Lola Ponce, quella che non era certo la proposta più quotata, seppur vantasse la pregevole firma di Gianna Nannini. I due protagonistidel celebre musical Notre Dame de Paris non avevano alle loro spalle una corposa discografia, né tantomeno riuscirono a costruirsela dopo questo trionfo. Tra le poche valide intuizioni, spiccarono “Il solito sesso” di Max Gazzè, “Vita tranquilla” di Tricarico, “Eppure mi hai cambiato la vita” di Fabrizio Moro e “Cammina nel sole” di Gianluca Grignani.
Tra i giovani dominarono la gara i Sonohra con “L’amore”, tema che caratterizzò il mood dell’intero arco narrativo. Rispetto alla precedente annata, infatti, ci fu meno impegno sociale, eccezion fatta per “Basta!” di L’Aura, un vero e proprio inno contro la guerra, e per “Il rubacuori” dei Tiromancino, brano che andava a sviscerare e analizzare i lati oscuri della discografia, preannunciando la gigantesca crisi del settore che sarebbe esplosa di lì a poco. Il testo raccontava di un direttore d’azienda costretto a licenziare il personale per abbattere i costi, con il ritornello che recitava: «Tanto a me della musica non mi frega più niente, seguo un’altra politica, sono dirigente».
In linea generale, fu un’edizione che non lasciò il segno nel cuore e nella memoria del pubblico, gli ascolti precipitarono così come le vendite dei dischi. Era necessaria una vigorosa sterzata, il Festival non poteva continuare ad ignorare un fenomeno come quello dei talent show, con i ragazzi che provenivano da questi contest particolarmente avvezzi a fare incetta di ottimi piazzamenti in classifica.
In tal senso, nel 2009 si assistette ad un punto di rottura, alla guida tornò Paolo Bonolis affiancato per l’occasione dall’inseparabile Luca Laurenti, più diversi co-conduttori presenti di serata in serata, tra cui Maria De Filippi in veste di madrina della finalissima. Rispetto al suo precedente mandato, il presentatore romano snellì il meccanismo e il numero dei cantanti in gara, ristabilendo le eliminazioni per i big e abolendole stranamente per i giovani. L’obiettivo numero uno era quello di risollevare lo share che, nella precedente annata, aveva toccato i minimi storici. Fabrizio Del Noce, all’epoca direttore di rete, dichiarò alla vigilia: «Per Sanremo è una questione di vita o di morte, se gli ascolti non sarannoincoraggianti, dovremo fare una seria riflessione sul futuro di questo evento, poiché tutte le cose hanno un ciclo epossono anche finire». Un aut aut che, per fortuna, si risolse nel migliore dei modi.
Ad aprire le danze fu Mina, naturalmente e rigorosamente solo in video. La Tigre di Cremona interpretò come sigla la celebre “Nessun dorma” di Giacomo Puccini. Non mancò la stoccata di Patty Pravo, tornata in Riviera ancora una volta in presenza e in gara, che definì la collega «un ectoplasma che non aveva avuto il coraggio di presentarsi in carne ed ossa». Si presentò all’appello un’altra signora della canzone: Iva Zanicchi con “Ti voglio senza amore”, storia di una donna matura disposta a concedersi all’altro sesso senza implicazioni sentimentali. Ad alimentare lo scandalo fu l’intervento di Roberto Benigni che incentrò il suomonologo ironizzando sul testo della canzone, definendo la cantante “vecchia sporcacciona”, pochi minuti primadella sua esibizione. Ne seguirono dispute infinite e l’amara eliminazione dell’Aquila di Ligonchio. Le polemiche non risparmiarono neanche Povia e la sua “Luca era gay”, che attirò le ire della comunità LGBT.
Un cast omogeneo, ben rappresentato da vari generi, compreso il rap con “Vivi per un miracolo” dei Gemelli DiVersi e l’indie rock con “Il Paese è reale” degli Afterhours di Manuel Agnelli. Il televoto premiò “La forza mia” di Marco Carta, proveniente dalla scuola di “Amici”, mentre tra i giovani brillò il talento di Arisa con “Sincerità”. Destarono interesse anche gli esordi di Malika Ayane con “Come foglie” e di Simona Molinari con “Egocentrica”. Riacquisiti i benefici dell’Auditel, lo spirito del Festival si rincuorò, avviando un processo di rinascita alla vigilia del suo sessantesimo compleanno. Cominciò l’era dei talent e le proposte tornarono a soddisfare le richieste del mercato…