L’omaggio all’eclettico artista piemontese, abile a mostrare le sue anime come un perfetto trasformista
“Minchia signor tenente”! Chi non si è commosso almeno una volta ascoltando questo indiscusso capolavoro presentato in concorso a Sanremo 1994, brano classificatosi al secondo posto che ha dato prova delle versatili e poliedriche doti di Giorgio Faletti: un comico, un attore, uno scrittore e un cantante. Con qualsiasi forma d’arte si sia interfacciato, è sempre riuscito a raggiungere l’eccellenza, sin dai suoi esordi come cabarettista.
Nato ad Asti il 25 novembre del 1950, cresce in una famiglia modesta, il padre è un commerciante ambulante mentre la madre fa la sarta. Si dimostra intraprendente sin da giovanissimo, abbandonando gli studi di giurisprudenza per seguire la propria vocazione per il mondo dello spettacolo. Si trasferisce a Milano dove frequenta la scuola teatrale di Maurizio Nichetti, per poi cominciare a lavorare al celebre Derby insieme ad artisti del calibro di Diego Abattantuono, Massimo Boldi, Teo Teocoli, Paolo Rossi, Francesco Salvi ed Enzo Jannacci.
Scocca un vero e proprio colpo di fulmine tra Faletti e il palcoscenico, fino a portarlo sul piccolo schermo, prima sulle emittenti locali lombarde, per poi esordire a livello nazionale con Drive In, un vero e proprio programma cult degli anni ’80, che lo ha consacrato al grande pubblico grazie ai suoi più celebri personaggi, tra cui ricordiamo Carlino, Suor Daliso e il mitico Vito Catozzo.
Il successo lo porta a mettersi alla prova con una delle sue più grandi passioni: la musica, così nell’88 incide la colonna sonora del telefilm “Colletti bianchi”, interpretato con Franco Oppini. Tre anni più tardi arriva il suo secondo album, intitolato “Disperato ma non serio”, trascinato dal positivo riscontro commerciale di “Ulula”, con la quale partecipa a numerose tappe del Festivalbar.
Scrive “Traditore” per Mina, brano che viene incluso nel disco “Caterpillar” della Tigre di Cremona, mentre l’anno successivo fa il suo esordio sanremese in coppia con Orietta Berti, sulle note del brano “Rumba di tango“, che anticipa l’uscita del suo terzo lavoro “Condannato a ridere”. Come dicevamo all’inizio, è nel 1994 che avviene la svolta, quando torna da solo sul palco dell’Ariston con “Signor tenente“, aggiudicandosi il prestigioso e ambito Premio della Critica.
Un brano di forte impatto, ispirato alle stragi di stampo mafioso di Capaci e di Via D’Amelio, nelle quali hanno perso la vita Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte, proprio a questi ultimi è dedicata questa canzone, una delle pagine più belle e nobili della storia della kermesse canora.
Passano dodici mesi e Pippo Baudo lo richiama in Riviera, partecipa nuovamente in gara con “L’assurdo mestiere”, pezzo riflessivo e toccante, firmando contemporaneamente un altro brano, affidato all’esperienza e all’eleganza di Gigliola Cinquetti, intitolato “Giovane vecchio cuore”.
Negli anni collabora anche con i Dik Dik, Dario Baldan Bembo, Drupi, Fiordaliso, Angelo Branduardi, Marco Masini e Milva, per la quale firma la straordinaria “The show must go on“, proposta a Sanremo 2007. Con l’inizio del nuovo millennio si dedica prevalentemente all’attività di scrittore, affinando le proprie eclettiche doti da giallista pubblicando autentici bestseller.
Nel corso della sua esistenza Giorgio Faletti è riuscito a raggiungere l’apice del successo in diversi campi, con l’umiltà tipica dei grandi artisti desiderosi di mettersi sempre in gioco, alla prova più con se stessi che con gli altri. Ha sempre giocato un campionato in solitaria, il suo unico obiettivo è stato quello di riuscire a risultare credibile agli occhi del pubblico e ci è riuscito.
Di stimoli ne ha avuti e ne ha dati tanti, ci ha fatto emozionare, ridere a crepapelle, riflettere e commuovere fino a farci piangere, soprattutto quel triste 4 luglio 2014, quando se ne è andato portando con sè la sua valigia piena di mille maschere, personaggi che sono entrati a far parte della vita di tutti noi, dal professor Martinelli di “Notte prima degli esami” al testimone di Bagnacavallo, lasciandoci in eredità più di un sorriso e qualche piccola lacrima.
Nico Donvito
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