Sanremo Story: la rubrica che ripercorre le tappe fondamentali del Festival della canzone italiana, attraverso aneddoti e approfondimenti. A cura di Nico Donvito
Per molti il Festival di Sanremo è quell’evento televisivo che catalizza davanti allo schermo per una settimana all’anno, uno spettacolo colorato, uno psicodramma tragicomico collettivo, un carrozzone fiorito stracolmo di cantanti, presentatori e vallette. Negli anni, ne abbiamo lette e sentite parecchie di definizioni, tutte profondamente vere, ma nessuna realmente corretta. Sanremo Story anni ‘10
Per dare una risposta allo slogan “Perché Sanremo è Sanremo”, è necessario riscoprire la storia di questo grande contenitore che nel tempo si è evoluto, ma senza perdere il proprio spirito. La verità è che il Festival è un vero e proprio fenomeno di costume, la favola musicale più bella di sempre, lo specchio canterino del nostro Paese. Con la sua liturgia, la kermesse non è mai riuscita a mettere d’accordo ammiratori e detrattori, forse in questo alberga la vera fonte del suo duraturo consenso. La rubrica “Sanremo Story” si pone l’obiettivo di raccontare tutto questo e molto altro ancora.
“Sanremo Story”, la ripresa del Festival negli anni ‘10
L’Italia del televoto fu protagonista anche dell’edizione 2010, con un altro “moschettiere” dall’armata dello show di Maria De Filippi, ovvero Valerio Scanu, che vinse in rimonta con “Per tutte le volte che…”, celebre per il verso «a far l’amore in tutti i modi, in tutti i luoghi, in tutti i laghi». Tra le Nuove Proposte si impose un altro beniamino del piccolo schermo, questa volta proveniente dalla scuderia di X Factor, vale a dire Tony Maiello con “Il linguaggio della resa”.
La conduzione venne affidata ad Antonella Clerici, mentre Gianmarco Mazzi fu confermato per il secondo anno consecutivo come direttore musicale. Attirarono l’attenzione dei media: “Credimi ancora” di Marco Mengoni, “La cometa di Halley” di Irene Grandi, “Per tutta la vita” di Noemi, “Ricomincio da qui” di Malika Ayane e “Meno male” di Simone Cristicchi, con tanto di citazione ironica dell’allora première dame francese Carla Bruni.
Curiosa la trama fantascientifica trattata da Arisa in “Malamorenò”, il cui testo raccontava in chiave distopica di un mondo ambientato nel 2087, caratterizzato da un clima ostile in un periodo storico privo di certezze. Ripuntò ancora sul sociale Povia con “La verità”, liberamente ispirata alla storia di Eluana Englaro, ragazza rimasta in stato vegetativo per oltre diciassette anni a causa di un incidente stradale e deceduta in seguito alla sospensione della nutrizione artificiale. Un caso che divise l’opinione pubblica sul tema dell’eutanasia, aprendo il dibattito sul testamento biologico che fu introdotto nel nostro ordinamento otto anni più tardi.
A destare clamore, come non mai, fu un’altra canzone che finì per classificarsi al secondo posto, rischiando addirittura di vincere. Un brano definito banalmente e utilitaristicamente patriottico, dall’emblematico titolo “Italia amore mio”, interpretato dal singolare trio composto dal cantautore Pupo, dal tenore Luca Canonici e dal principe, senza più corona, Emanuele Filiberto. L’alto posizionamento in classifica, per certi versi inspiegabile, provocò fischi e contestazioni in sala, con i componenti dell’orchestra che inveirono lanciando gli spartiti in segno di protesta. Scene apocalittiche al Teatro Ariston.
Quella del 2011 fu un’edizione senza scandali e senza troppi colpi di scena, apprezzata per la sua sobrietà e per un meccanismo di voto che riuscì a riportare alla vittoria una grande canzone, come non accadeva abitualmente datempo. Alla conduzione debuttò Gianni Morandi, affiancato per l’occasione da Belén Rodríguez, Elisabetta Canalis e dal duo comico composto da Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu. Il cantante di Monghidoro tornò in Riviera a undici anni dalla sua ultima partecipazione, dopo aver presenziato per sei volte in concorso ed essersi aggiudicato un terzo, un secondo e un primo posto, vincendo nell’87 in trio con Tozzi e Ruggeri sulle note di “Si può dare di più”.
Per arricchire e diversificare le cinque serate, vennero reintrodotte le cover, in una formula già parzialmente sperimentata da Tony Renis nel 2004, riadattata in un vero e proprio torneo. Una competizione parallela di motivi presi in prestito dal vastissimo repertorio popolare del nostro Paese, tema suggerito dalle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Il contest fu vinto da Al Bano, con la sua personale rilettura del Va, pensiero di Giuseppe Verdi.
Ad impadronirsi meritatamente della vetta del podio, nel girone dei Campioni, fu Roberto Vecchioni con “Chiamami ancora amore”, alla sua seconda e ultima partecipazione, a ben trentotto anni di distanza dal debutto. Una canzone incentrata sul tema della speranza, la stessa che ci sprona ad aprirci con fiducia agli altri. Il tutto declinato in un linguaggio contemporaneo, vicino al nostro percepito e al nostro quotidiano, comprensibile a tutti per la sua autenticità.
Tra le Nuove Proposte, invece, si distinse Raphael Gualazzi con “Follia d’amore”. All’indomani della kermesse, ottennero un buon successo commerciale “Il mare immenso” di Giusy Ferreri e “Arriverà” dei Modà in coppia con Emma. Da segnalare la seconda e ultima partecipazione in gara, la prima da solista, di Max Pezzali con “Il mio secondo” tempo, oltre alla prestigiosa presenza di Franco Battiato in veste di accompagnatore d’eccezione di Luca Madonia. I due cantautori siciliani debuttarono con “L’alieno”.
La conduzione così familiare e rassicurante garantì a Morandi il bis. L’artista si limitò a replicare il format dell’anno precedente, senza spendersi per cercare ulteriori innesti o nuove soluzioni. Queste almeno erano le premesse, perché in pratica accadde di tutto: dalle polemiche per l’intervento di Celentano all’ormai celebre “farfallina” di Belen. L’attenzione del pubblico venne progressivamente dirottata e allontanata dalla musica.. Meritevole di menzione la seconda partecipazione in gara di Samuele Bersani, confermatosi habitué del prestigioso Premio della Critica con “Un pallone”. Tornò dopo quarant’anni anche Lucio Dalla in qualità di mentore e direttore d’orchestra di Pierdavide Carone, al suo esordio con “Nan”ì. Il cantautore bolognese ci lasciò prematuramente a distanza di poche settimane, dopo averci concesso quest’ultimo regalo.
Tra le canzoni in concorso, si fecero valere: “La tua bellezza” di Francesco Renga, “Respirare” dell’inedita e insolita coppia composta da Gigi D’Alessio e Loredana Bertè, “Ci vediamo a casa” di Dolcenera e “Per sempre” di Nina Zilli. Podio tutto al femminile, che vide sul gradino più basso Noemi con “Sono solo parole”, firmata per lei da Fabrizio Moro, mentre la medaglia d’argento finì tra le mani di Arisa con “La notte”.
Ad aggiudicarsi il titolo fu Emma con “Non è l’inferno”, un brano di grande impatto e attualità, ispirato dalla difficile situazione economica e sociale del nostro Paese. In seconda categoria, invece, la spuntò il giovane Alessandro Casillo con “È vero (che ci sei)”. Insomma, nell’ultimo Festival sotto la guida artistica di Gianmarco Mazzi si alternarono momenti di altezza musicale ad episodi qualitativamente discutibili. Anche lo spettacolo fu piuttosto altalenante, ma Gianni Morandi riuscì a concludere il biennio con un bilancio positivo, al grido del suo famigerato motto «stiamo uniti!».
La sessantatreesima edizione del Festival di Sanremo fu contraddistinta da un netto cambio di stile e di immagine. Alla guida della manifestazione tornò Fabio Fazio, spalleggiato dall’irriverente Luciana Littizzetto. Si ricompose, dunque, la fortunata coppia di “Che tempo che fa”, una delle trasmissioni più seguite e apprezzate di quegli anni. Il numero dei cantanti in concorso restò invariato, l’unica novità fu l’introduzione della doppia canzone: ciascun artista proponeva due brani, il pubblico e la sala stampa sceglievano quale far passare.
Un meccanismo interessante, che ricordava per certi versi la funzione del Lato A e del Lato B del vecchio 45 giri. Una formula che si rivelò funzionale per gli artisti che decisero di portare in gara due pezzi ugualmente forti, a discapito di chi presentò un solo brano di punta, sprecando l’opportunità di proporre due motivi altrettanto validi. Insomma, quella di Fazio si rivelò un’idea curiosa, ma che lasciava spazio a qualche criticità.
Fecero il loro ritorno in gara Elio e le Storie Tese, a diciassette anni dalle precedenti e celebri gesta in Riviera. Dall’universo dei talent show debuttarono Chiara Galiazzo e Annalisa Scarrone, mentre tornò alla ribalta il cantautorato romano ben rappresentato da Daniele Silvestri, Max Gazzè e Simone Cristicchi.
A furoreggiare in vetta alla classifica dei big fu Marco Mengoni con “L’essenziale”, mentre tra le Nuove Proposte si affermò Antonio Maggio con “Mi servirebbe sapere”. L’impronta di Fazio e l’ironia della Littizzetto convinsero su larga scala, portando la coppia alla riconferma nell’edizione successiva.
Quello del 2014 non venne ricordato come uno dei Festival più brillanti, qualcosa andò storto e gli ascolti non esaudirono le aspettative. Con il 39,26% di share, si trattò della terza edizione meno vista di sempre, dopo quelle del 2004 e del 2008. Vinse Arisa per il rotto della cuffia, riprendendosi il titolo sfuggitole di mano due anni prima. La cantante lucana si impose con “Controvento”, una proposta decisamente meno memorabile de “La notte“. Tra le novità dominò la gara Rocco Hunt con “Nu juorno buono”, il primo brano rap a sbancare l’Ariston.
Fecero la loro bella figura: “Prima di andare via” di Riccardo Sinigallia, “Così lontano” di Giuliano Palma, “Il cielo è vuoto” di Cristiano De André, “Ti porto a cena con me” di Giusy Ferreri e “Vivendo adesso” di Francesco Renga. Dal sipario che non si aprì alla minaccia di suicidio in diretta, questa edizione non partì col piede giusto e non si concluse nemmeno altrettanto brillantemente. Dopo due annate pressoché identiche per quanto riguardava la forma, era arrivato il tempo di voltare pagina per cercare una nuova sostanza.
A Sanremo 2015 fece il suo esordio Carlo Conti, contratto triennale per lui e una ventata di progettualità in più per la manifestazione, all’alba della terza età. Il popolare conduttore toscano rivitalizzò la rassegna a piccoli passi con delle punturine di acido ialuronico, evitando di entrare a gamba tesa proponendo il solito lifting, intervento fino a quel momento mai riuscito realmente a nessun suo predecessore. Venne ristabilita la classica formula di “baudiana memoria” con la doppia categoria e furono, per l’ennesima volta, reintrodotte le eliminazioni. Ciononostante, tornarono in concorso artisti assenti da diverso tempo, come Raf con “Come una favola” e Nek con “Fatti avanti amore”, rispettivamente dopo ventiquattro e diciotto anni.
Alla conduzione furono arruolate le ultime due vincitrici Emma e Arisa, più l’attrice spagnola Rocío Muñoz Morales. Tra le rentrée più interessanti, riapparvero in gara: Alex Britti, Irene Grandi, Gianluca Grignani, Marco Masin, Anna Tatangelo e Malika Ayane, titolare del Premio della Critica. Fecero il loro esordio: Lorenzo Fragola, Bianca Atzei, Nesli e Lara Fabian, oltre naturalmente a Gianluca Ginoble, Ignazio Boschetto e Piero Barone, ovvero i tre trionfatori assoluti de Il Volo con “Grande amore”, canzone che li consacrò definitivamente sia in Italia che all’estero. Più in sottotono la gara dei giovani, da cui emerse Giovanni Caccamo con “Ritornerò da te”. Dal punto di vista televisivo, gli ascolti premiarono le scelte del direttore artistico, inaugurando una bella serie di positivi riscontri.
La sessantaseiesima edizione del Festival proseguì nel segno della continuità, con il regolamento rimasto praticamente immutato. Al contrario della precedente annata, le proposte della categoria cadetta si rivelarono più originali dell’intera quota Campioni. Debuttarono così: Irama, Ermal Meta e Mahmood, mentre si aggiudicò i favori delle giurie Francesco Gabbani con “Amen”.
Tra i big eccelsero gli Stadio con “Un giorno mi dirai”, quasi un premio alla carriera per il gruppo capitanato da Gaetano Curreri. Si piazzarono altrettanto bene altri due veterani: Patty Pravo con “Cieli immensi” ed Enrico Ruggeri con “Il primo amore non si scorda mai”. La cornice restituì interesse allo spettacolo, senza concentrare l’attenzione soltanto sulla musica, che ne uscì da co-protagonista.
Di tutt’altro respiro fu l’edizione 2017, l’ultima sotto la regia di Carlo Conti, affiancato alla conduzione in questo rush finale nientepopodimeno che da Maria De Filippi, la regina dei talent show presa in prestito senza obbligo di riscatto da Mediaset. Anche in questo caso i ritorni furono prestigiosi, a partire da Fiorella Mannoia, assente da ben ventinove anni, al suo quinto Festival con “Che sia benedetta”. Si riaffacciarono in Riviera anche Paola Turci, Michele Zarrillo, Gigi D’Alessio e Al Bano, mentre debuttarono con discreti consensi Michele Bravi ed Elodie. A conquistare la vittoria fu, senza alcuna previsione, Francesco Gabbani con “Occidentali’s Karma“, mentre tra i giovani salì alla ribalta Lele con “Ora mai”.
Dopo il positivo triennio ben amministrato da Carlo Conti, per la direzione artistica venne scelto un mostro sacro della canzone italiana: Claudio Baglioni, uno dei pochi cantanti a non aver mai ceduto alle lusinghe del “carnevale” sanremese. Queste le sue prime parole all’indomani dell’annuncio: «Più che conduttore mi sento un conducente, nel senso che mi occuperò di portare questo veicolo fino a destinazione, poi dipenderà dalla squadra. Diciamo che il mio lavoro è già tantissimo, perché significa decidere molti degli aspetti del Festival, dalla scenografia alla linea editoriale, per non parlare dei contenuti e del significato generale di questa edizione. Dopo ben tre miei rifiuti, alla lunga, ho mollato il colpo. Hanno insistito e voluto fermamente un musicista alla guida di questa macchina organizzativa, di conseguenza, la musica non potrà che posizionarsi al centro dell’intero progetto».
Sul meccanismo della competizione aggiunse: «L’elimina- zione è stata eliminata! Nel senso che non ci sarà. Quella pratica un po’ violenta del dover mandare a tutti i costi a casa qualcuno, non verrà ripetuta. Qualunque partecipante, sia tra le Nuove Proposte che tra i Campioni, comincerà e finirà questo Sanremo, nessuno dovrà fare le valigie prima del tempo, anche se ci saranno comunque un concorso e una classifica finale. Questo renderà la manifestazione simile a qualsiasi rassegna cinematografica o letteraria».
L’edizione 2018, dunque, vide Baglioni ricoprire il ruolo di “dittatore” artistico, come lui stesso amava definirsi, affiancato alla conduzione da Michelle Hunziker e da Pierfrancesco Favino. Di fatto non ci fu alcuna grande rivoluzione che, forse, non era nemmeno così tanto necessaria. In fondo, bastava semplicemente prestare attenzione ad ogni singolo dettaglio, prendersi cura dello spettacolo e della musica a 360 gradi. Nessuna clamorosa innovazione, dunque, tant’è che la vittoria andò a due recenti habitué: Fabrizio Moro ed Ermal Meta, il primo “figlio” dei Festival di Pippo Baudo e il secondo di quelli di Carlo Conti, due assoluti modelli di riferimento per l’autore di “Questo piccolo grande amore”.
La vera scommessa di questa edizione fu rappresentata da Ultimo, primo della classe tra le nuove leve con “Il ballo delle incertezze”. Un talento sbocciato nella città dei fiori, ma che aveva già avuto modo di mostrare le proprie velleità artistiche con il suo album d’esordio Pianeti. Menzione d’onore per Ornella Vanoni, che impreziosì la gara con la sua personalità, accompagnata per l’occasione da Bungaro e Pacifico, entrambi autori di “Imparare ad amarsi”, una poesia d’altri tempi. Bel ritorno per Ron con “Almeno pensami”, inedito firmato dal compianto Lucio Dalla.
All’indomani della kermesse funzionarono bene anche “Una vita in vacanza” de Lo Stato Sociale, “Il mondo prima di te” di Annalisa, “Adesso” di Diodato e Roy Paci, “Frida (mai, mai, mai)” dei The Kolors e “Così sbagliato” de Le Vibrazioni. Toccò sentimentalmente il cuore di molti Stiamo tutti bene di Mirkoeilcane, brano che smosse le coscienze affrontando un tema di scottante attualità, raccontando una triste pagina di storia attraverso gli occhi di un bambino migrante. Allo stesso modo suscitò riflessioni anche la canzone vincitrice: “Non mi avete fatto niente” fu un grido di pace in un momento storico di profondo disorientamento, qualcosa più di un brano di denuncia contro il terrorismo, una vera e propria presa di coscienza dopo i numerosi attentati che, negli ultimi anni, avevano sconvolto l’Occidente.
Per la sessantanovesima edizione del Festival, il confermato Claudio Baglioni si ritrovò ad avere più tempo a disposizione per apportare le dovute modifiche al regolamento e lasciare la propria impronta. Per prima cosa, il direttore artistico abolì la sezione Nuove Proposte, proprio come era accaduto nel 2004, riducendo la competizione ad un unico torneo. Ai ventidue big scelti dalla commissione artistica, si aggiunsero i due talenti saliti alla ribalta da Sanremo Giovani, spin off dal quale emersero Einar e Mahmood.
Suscitarono particolare interesse: “Rolls Royce” di Achille Lauro, “Nonno Hollywood” di Enrico Nigiotti, “Argentovivo” di Daniele Silvestri con Rancore, “Dov’è l’Italia” di Motta, “Abbi cura di me” di Simone Cristicchi e “La ragazza con il cuore” di latta di Irama. Ingiustamente sfiorò solo il podio Loredana Bertè con l’intensa “Cosa ti aspetti da me”, mentre al terzo posto si distinsero i tre ragazzi de Il Volo con “Musica che resta”. Medaglia d’argento per Ultimo, campione in carica tra i cadetti e grande favorito della vigilia, di ritorno con “I tuoi particolari”. Nell’incredulità generale, si aggiudicò il titolo Mahmood con “Soldi”, un motivo privo di sovrastrutture sanremesi, insolito al primo ascolto, ma in grado di conquistare e superare innumerevoli record.
Nulla da eccepire sullo show, se non per la presenza di troppi ospiti e la lunghezza interminabile delle serate. Molte le canzoni che non finirono nel dimenticatoio, a differenza di quanto accaduto nella precedente annata, premiata più negli ascolti che nelle vendite dei dischi. A far la differenza furono i brani in concorso, mai come quell’anno altamente rappresentativi dei gusti del pubblico più trasversale. In questa seconda prova da “dirottatore artistico”, Baglioni riuscì ad interpretare al meglio gli interessi degli abituali fruitori di musica, intercettando la bellezza anche tra le proposte più attuali.