A tu per tu con il cantautore pugliese, protagonista della nuova trasmissione di Rai Uno “Ora o mai più”
Cercava l’occasione giusta per riproporre la sua arte Marco Armani, il pretesto per tornare a calcare la scena discografia e lanciare un nuovo album, in uscita a settembre, che aveva nel cassetto da diverso tempo. Cinque partecipazioni al Festival di Sanremo nel curriculum (nel 1983 con “E’ la vita“, nel 1984 con “Solo con l’anima mia“, nel 1985 con “Tu dimmi un cuore ce l’hai“, nel 1986 con “Uno sull’altro“ e nel 1994 con “Esser duri“), collaborazioni importanti con Luca Carboni, Ron, Pasquale Panella e Red Canzian, suo ex produttore che ritrova in questa avventura televisiva di “Ora o mai più“ in veste di Maestro.
Ciao Marco, benvenuto su RecensiamoMusica. Cosa ti ha spinto ad accettare la sfida di “Ora o mai più”?
«La voglia di rimettermi in gioco, ho sempre accettato le sfide e le sane competizioni, perché in qualche modo ti danno la giusta adrenalina necessaria per rimetterti in moto. I fotografi e i giornalisti alla conferenza stampa, gli elementi di un’orchestra così importante, sono tutti aspetti eccitanti che ti riportano indietro nel tempo, a quelle grandi platee sanremesi dove tutti noi siamo stati un po’ protagonisti. Dopo le nostre estenuanti giornate di prove, è bello ritrovare il proprio pubblico fuori dagli studi Rai, un qualcosa che mi ha quasi commosso, sopratutto perché erano lì ad aspettarci da ore ed ore. Un grazie di cuore a tutte queste persone che non hanno mai smesso di amare un certo tipo di musica e di cantautori».
Oltre che l’aspetto televisivo, questo è un programma che sottolinea l’importanza dell’aspetto umano. Una doppia opportunità per mettersi in gioco?
«Credo proprio di sì, il fatto di raccontarsi attraverso la musica è un modo come un altro per incuriosire il pubblico che non ha vissuto le nostre storie e, purtroppo, non è a conoscenza di tutte le cose belle che ognuno di noi ha realizzato negli anni, a causa della mancata esposizione mediatica. Nel mio piccolo ho fatto tanti spettacoli, anche dei live per pochissime persone, ma ti assicuro che l’emozione che provo mentre canto è sempre la stessa. Raccontare al pubblico le proprie ragioni credo sia importante, che possono esserci stati errori commessi in gioventù, gestionali e impulsivi, perché da ragazzi ci si sente alle volte invincibili, pur avendo magari ragione. Per esperienza ho imparato che nella vita prima di parlare bisogna contare fino a dieci, specie se stai per dare una risposta scomoda».
Un bel messaggio anche per i giovani? Non credi che per chi comincia oggi sia tutto un po’ più difficile?
«Assolutamente sì, il mio consiglio per loro è di non smettere mai di sognare, affrontare questo mestiere più come una passione, cercare di non abbattersi anche quando le cose sembrano complicarsi. Oggi intraprendere un discorso musicale è molto più di difficile, anche se apparentemente con i talent può sembrare il contrario, ma manca tutta quella parte fondamentale della gavetta, ai ragazzi manca proprio questo. Nell’ambito del pop è già stato fatto e detto tutto, a livello di talento i giovani di oggi sono più bravi tecnicamente di noi, ma mancano di originalità, perché si rifanno a modelli e riferimenti già esistenti. E’ giusto attingere dal passato, ma è necessario avere un proprio stile. La velocità nel raggiungere la popolarità, li rende paradossalmente molto vulnerabili e, in questa società molto frenetica, si finisce per diventare dei prodotti usa e getta, solo pochi di loro riescono a raggiungere il giusto equilibrio per continuare a tener testa a questo sistema e non finire in terapia analitica. Si passa dalle stelle alle stalle in un batter d’occhio, molto più di prima».
Da questo punto di vista, tu e i tuoi compagni siete stati più fortunati, anche perché siete ricordati, chi per un brano, chi per due, chi per tre…
«Esatto, questo dipende da un fatto importante: fino a vent’anni fa si scrivevano le canzoni per il pubblico, non per le radio o per piacere ai discografici. Oggi non si dà più la possibilità agli artisti di esprimersi liberamente, per questa ragione è tutto molto più difficile, perché se non ti si dà la possibilità di essere te stesso, il pubblico non si affeziona e non si può ricordare di te e, spesso e volentieri, non si arriva nemmeno a realizzare un secondo disco e questo è un peccato, perché un cantante ha bisogno di più lavori per crescere, nel suo primo album non può essere già a fuoco, è praticamente impossibile. E’ un macinacaffè, ogni anno ne devono sfornare altri piuttosto che puntare su quelli che già sono sul mercato e questi poveri ragazzi si ritrovano a vivere il loro quarto d’ora di successo senza avere nemmeno il tempo di rendersene conto».
I vostri brani inediti, di conseguenza potrebbero rappresentare una ventata di freschezza e di originalità nell’attuale scenario discografico diviso tra indie e trap?
«In effetti (ride, ndr), si avverte un po’ la mancanza di un certo tipo di canzone d’autore. Ma la vuoi sapere la cosa più divertente? Molti artisti di oggi, mi vengono in mente ad esempio i Thegiornalisti, si rifanno molto agli anni ’80, nelle sonorità e negli arrangiamenti, magari se lo facciamo noi passiamo per quelli vecchi e datati, perché abbiamo cinquant’anni, se lo fanno i giovani che cominciano adesso, allora va bene e sono considerati pure fighi. E’ un po’ un paradosso. Nell’inedito che ho scelto cercherò di essere contemporaneo, pur rispettando la mia storia e la mia identità. Sono contento del brano, perché ha un testo importante di un’attualità micidiale, che ho estrapolato da un’opera di un poeta brasiliano morto nel ’45. Il mio augurio è che venga compreso e che abbia più di un mese di vita. Ci sono canzoni che hanno bisogno di essere ascoltate più volte per essere capite realmente, per cogliere quelle sfumature che, molto spesso, a lungo termine fanno la differenza».
Il fatto che non ci siano eliminazioni vi mette tutti sullo stesso piano, arriverete tutti all’ultima puntata e avete tutti un po’ lo stesso spazio, un fattore importante?
«Certamente! Ho accettato anche per questo, l’eliminazione è sempre una cosa poco piacevole. Vedi quest’anno Baglioni a Sanremo, molti si aspettavano il calo degli ascolti, invece non c’è stato. Trovo che sia giusta e sana la competizione anche senza fare torti a nessuno e dando lo stesso spazio a tutti, questo è quello che conta, sarà il pubblico, con il tempo, a decidere chi merita di andare avanti o no, ma tutto questo fuori dalla gara. Poi, devo ammettere, che con i miei compagni mi trovo davvero benissimo, alcuni di loro non li vedevo da una vita, abbiamo condiviso tanti momenti belli in gioventù, altri li ho scoperti in queste settimane, sono tutti deliziosi».
Come riassumeresti in breve la tua storia?
«Una storia inizialmente molto fortunata, durata per diversi anni, poi c’è stato un arresto dovuto ad una serie di diverse situazioni, al famoso saper “contare fino a dieci”, oltre che ad un discorso naturale e fisiologico. Quelli che sono arrivati dopo hanno attinto molto da noi ma, evidentemente, risultavano più freschi. Mi reputo fortunato perché, negli anni, ho mantenuto comunque una parte di pubblico che mi segue e mi apprezza. Sono convinto che, finché ci sarà anche una sola persona che mi seguirà, varrà sempre la pena fare questo lavoro. Consapevole del fatto che quando suonerà la campana e mi accorgerò di risultare fuori contesto, perché no anche un po’ patetico, sarò il primo a defilarmi e a ritagliarmi uno spazio diverso nella musica, magari dietro le quinte, chissà, sono molto autocritico e finché reggo vado avanti».
A parte il “famoso” saper contare fino a dieci, c’è qualcosa che faresti diversamente?
«Guarda, rifarei tutto quello che ho fatto, magari con più diplomazia, con meno pancia e istinto, ma grossi errori non credo di averne fatti. E’ più una questione di atteggiamenti, tipo non sono mai stato accattivante, o per meglio dire leccaculo, per molti può essere considerato un difetto. Non sono mai sceso a compromessi e di questo ne vado fiero, non sono ricco ma credo di guadagnarmi quel poco che ho in maniera onesta. Mi alzo la mattina, mi guardo allo specchio e mi riconosco, magari con meno capelli, ma sono sempre io! (ride, ndr)».
Come descriveresti il tuo rapporto con i social network?
«Abbastanza buono, da qualche anno ho una una pagina Facebook che curo personalmente, non delegherei mai nessuno. Negli ultimi tempi, specie dopo l’annuncio della mia partecipazione a questa trasmissione, i like sono vertiginosamente aumentati, questo mi fa piacere perché è un modo per avvertire il consenso positivo del mio pubblico, che vuole rivedermi in tv. I miei addetti stampa mi hanno consigliato di aprire anche un account Instagram, tutto questo è segno dei tempi che cambiano e bisogna sicuramente adeguarsi. Ad esempio, nei prossimi giorni girerò il mio primo videoclip anche se sono sempre stato contrario, perché in passato ho sostenuto che la canzone debba essere immaginata e non vista, ma mi rendo conto che può rappresentare un mezzo più immediato per arrivare al grande pubblico, al giorno d’oggi».
Per concludere, qual è il messaggio che vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?
«Di non arrendersi mai, di prendere tutto con serietà ma anche con leggerezza, per non avere troppe aspettative e rimanere in seguito delusi. Personalmente, anche se non mi creo illusioni, mi auguro che il settore discografico non resti inerme davanti a questo programma, perché potrebbe rappresentare un esperimento musicale davvero importante, che ci fa capire quanto il pubblico sia variegato e abbia bisogno anche di altro rispetto a ciò che passa oggi. Nel mio piccolo, posso tranquillamente ammettete di aver realizzato sempre in buona fede, qualcosa di autentico, non preconfezionato e, di conseguenza, trasversale».
Nico Donvito
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