A tu per tu con il talentoso cantautore all’indomani dal lancio del suo ultimo singolo “Rischiamo tutto”
Instancabile, questo l’aggettivo che calza a pennello per Virginio Simonelli, giovane cantautore che nel corso della sua carriera vanta numerosi riconoscimenti, tra cui la vittoria della decima edizione di “Amici” di Maria De Filippi. Animo gentile e una spiccata abilità di scrittura che lo hanno reso, nel giro di qualche anno, uno degli autori più apprezzati e richiesti dello scenario musicale nazionale, arrivando a scrivere pezzi per Laura Pausini, Francesca Michielin, Chiara, Raf, Lorenzo Fragola e Carmen Ferreri. Dopo averlo incontrato in occasione del lancio del precedente singolo “Semplifica” (qui la nostra videointervista), lo abbiamo raggiunto telefonicamente di rientro dal Sol Levante, dove è stato protagonista della rassegna “Italia, amore mio”, per parlare del suo nuovo inedito “Rischiamo tutto“, composto a quattro mani con Gianluigi Fazio. Lo ringraziamo per la disponibilità e per il suo sostanziale sforzo a reggere questa lunga ma piacevole chiacchierata, che non ha risentito minimamente del jet lag.
Ciao Virginio, partiamo da “Rischiamo tutto”, il tuo nuovo singolo, da quale idea sei partito e a quali conclusioni sei arrivato?
«In realtà una conclusione non c’è: sono partito dal voler raccontare la sensazione che ti spinge ad uscire fuori dagli schemi, rischiando il più possibile. Diciamo che ho lavorato molto su me stesso, mi sono autoconvinto per primo delle cose che canto, solo in questo modo posso risultare credibile verso chi mi ascolta».
La veste sonora segue l’impronta lanciata dal precedente “Semplifica”, due facce della stessa medaglia?
«In un certo senso sì, a me piace questo effetto notturno, inteso con un’accezione positiva, quella frenesia che a Roma chiamano “friccicore” e che rievoca le luci della città, un’atmosfera che mi affascina perché ti porta ad analizzare i rischi e le contraddizioni della notte. Con Gianluigi Fazio non abbiamo voluto giocare troppo con le sonorità, piuttosto proseguire il discorso del precedente singolo, mantenendo questo acceso contrasto tra elettronica e animo acustico che caratterizzerà anche le prossime produzioni».
A livello testuale, invece, cosa hai voluto raccontare?
«Sostanzialmente una storia d’amore, ma con se stessi, un invito a fuggire dalle abitudini quotidiane, mettersi in gioco con la consapevolezza di chi siamo e con la determinazione di sapere bene dove vogliamo andare. Non sentiamoci costretti a situazioni metodiche, liberiamoci dalle nostre paure e non proteggiamo ciò che ci rende profondamente insicuri, usciamo allo scoperto e godiamoci questo bel mondo».
Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip girato tra Liverpool e New York?
«Con il regista Alessandro Congiu, volevamo inserire due ambientazioni differenti, siamo partiti da Liverpool perché è un’ambientazione familiare, seppur internazionale, dove si respira a pieni polmoni la musica, basti pensare che lì sono nati i Beatles. Ci piaceva l’idea di contrapporre altre immagini notturne di una realtà diversa come quella di New York, dove il rischio e l’energia si fondono in un unico affascinante gioco di luci. Abbiamo cercato di mettere insieme queste due location in maniera abbastanza fluida, per dare la sensazione di due città di notte che potessero incarnare qualsiasi altra realtà».
Da qualche anno, alla carriera di cantante solista hai contrapposto quella di autore. Come nascono esattamente le tue canzoni? Scrivi per te o pensando ad un determinato collega?
«Guarda, non esiste una regola ben precisa, quando inizi a scrivere non sai mai in quale direzione andrà la canzone, almeno fino a che non è finita. Non c’è un vero e proprio metodo, almeno per quanto mi riguarda, ho sempre tutelato l’impulsività e l’istinto racchiuso in un momento di ispirazione, spesso con l’artista c’è un confronto, ma in generale i pezzi non nascono per me o per altri, viaggiano su binari similari, la destinazione si decide strada facendo».
Laura Pausini, Francesca Michielin, Chiara, Raf, Lorenzo Fragola e Carmen Ferreri. Un aggettivo o un termine per descrivere la personalità vocale di questi artisti con i quali hai collaborato?
«Uno solo? Ci provo! Laura: internazionale e completa; Francesca: indubbiamente a fuoco; Chiara: delicata; Raf: elettronico ma allo stesso tempo romantico; Lorenzo: viaggiatore; Carmen: intensa».
Domanda di rito, cercherò di rendertela meno banale possibile visto che ci avviciniamo al mese di dicembre: se dovessi scrivere una letterina a Babbo Natale, quali nuove collaborazioni vorresti ricevere in dono?
«Mi piacerebbe continuare a collaborare con artisti esteri, in Italia ci siamo e continueremo a farlo sempre di più, ma il mio desiderio è quello di poter continuare a farlo anche in giro per il mondo, perché è sempre motivo di arricchimento. Mi sono reso conto che c’è molta più libertà di scrittura, oltre che un mercato molto più ampio. Sono un amante del pop, il genere che in assoluto è soggetto a maggiori contaminazioni, mi piace giocare e sperimentare con altre atmosfere, non mi pongo limiti. Ecco, collaborare con artisti di culture diverse, questo è il regalo che chiederei a Babbo Natale (ride, ndr)».
A tal proposito, sei di ritorno da Osaka, dove hai preso parte al seguitassimo festival “Italia, amore mio”, che esperienza ha rappresentato per te e che idea ti sei fatto sul percepito della musica italiana all’estero?
«In linea generale ho avvertito tanto amore da parte del popolo giapponese nei confronti dell’arte italiana, sono rimasto piacevolmente sorpreso dai concerti che ho tenuto in occasione di questa rassegna, il pubblico ha apprezzato e questo mi ha onorato. Parlando con il mio manager Roberto Mancinelli, abbiamo notato proprio questo: spesso all’estero ci conoscono maggiormente per la musica classica, per l’Opera, ma ci sono tante altre cose interessanti. Nel momento in cui la nostra melodia riesce ad essere traslata in maniera nuova e fresca, arriva alle nuove generazioni e riesce a prendere qualunque tipo di fascia, ossia persone di età differenti».
Prima “Semplifica”, ora “Rischiamo tutto” e poi? Puoi darci qualche anticipazione su cosa dobbiamo aspettarci nell’imminente futuro?
«Questi primi due singoli rappresentano quello che sarà l’album attualmente in lavorazione, a breve annunceremo alcune date di un tour live nei club, nelle quali proporrò le miei canzoni in chiave elettro-acustica. Stiamo lavorando anche ad un progetto che dovrebbe uscire prima di Natale, incrociamo le dita, mentre l’album è previsto per il prossimo anno. Posso anticiparti che l’intero lavoro avrà una forte componente elettronica ma, come amo definirla io, sarà un’elettronica calda, avvolgente. Sai, la maggior parte delle persone che mi seguono sono entusiaste di questa svolta sonora, mentre alcuni fan più nostalgici preferiscono le mie classiche canzoni al pianoforte che ci saranno: prometto solennemente che avranno il loro rilevante spazio, perché non ho alcuna intenzione di abbandonare quel tipo di emozione. Alla fine l’arrangiamento non è altro che il vestito di una canzone, un modo differente per comunicare, anche la stessa “Limpido” era nata piano e voce, poi Laura Pausini e Paolo Carta sono riusciti a trasformarla rendendola decisamente più internazionale, poi è arrivata Kylie Minogue e il resto è storia (ride, ndr)».
Il prossimo febbraio farai 13, non al totocalcio bensì al Festival di Sanremo, ricorrerà il tredicesimo anniversario dalla tua partecipazione tra le Nuove Proposte con “Davvero”. Che ricordo hai di quell’esperienza e, non posso non chiedertelo, ti piacerebbe ritornare a calcare il palco dell’Ariston?
«Guarda, ho un ricordo particolare nel senso che è stata la mia prima vera esibizione da cantautore professionista, ero molto piccolo, da un certo punto di vista è stato bellissimo dall’altro traumatico, perché mi sono ritrovato catapultato su uno dei palchi più importanti: dal suonare con i miei compagni di scuola sono passato direttamente all’orchestra di Sanremo, immagina l’emozione. E’ chiaro che stiamo valutando l’ipotesi di una mia candidatura, ma è necessario capire se ci sia o meno lo spazio giusto, perché si tratta di una congiunzione di vari fattori, non sempre il momento è adatto, bisogna anche saper aspettare, seguire l’istinto e il destino. Noi ci stiamo lavorando, vedremo se le nostre strade combaciano, non sono uno di quegli artisti che vogliono andare al Festival a tutti costi, sono convinto che la canzone debba rappresentarti al 100%, per rispetto sia del suo percorso artistico che di una manifestazione così prestigiosa. A livello musicale è l’istituzione italiana più importante, bisogna andarci a determinate condizioni, personalmente non sono disposto a scendere a compromessi o ad andarci giusto per partecipare. Adesso i tempi sono sicuramente più maturi, alle spalle c’è un progetto importante che sta crescendo e si sta evolvendo nella giusta direzione, poi chissà, bisogna vedere se i pezzi del puzzle si incastreranno nella maniera più consona sia per noi che per la commissione».
Sempre a proposito di destino, ricordi chi c’era come super ospite l’anno in cui hai partecipato al Festival?
«Beh sì, c’era Laura! Colei che possiamo considerare la fautrice della mia rinascita o, per meglio dire, dell’inizio di una nuova fase della mia carriera. Prima di conoscerla avevo casualmente collaborato solo con amici, ad esempio con Paola e Chiara per il brano “Milleluci”. Laura ha rappresentato per me il vero ponte verso la scrittura, tracciando la rotta verso un nuovo orizzonte. Come avrai potuto intuire da questa e dalla precedente intervista, ci tengo tantissimo a infondere coerenza tra quello che sono come persona e le mie velleità artistiche, i contenuti sono oltremodo importanti, se non fondamentali. Ho iniziato a fare questo mestiere perché volevo comunicare qualcosa alle altre persone, ancora oggi lo considero un aspetto indispensabile».
Dopo aver invitato ad una sorta di processo di semplificazione della realtà, in questo nuovo singolo sproni chi ti ascolta a mettersi in discussione, a rischiare. A dimostrazione che nella musica c’è ancora spazio per i messaggi di contenuto?
«Assolutamente sì e ti dirò di più, questo spazio c’è anche nel pop, un genere spesso considerato di scarso contenuto, invece è talmente universale da avere la possibilità di arrivare a tutti indistintamente, rispetto a qualsiasi altro stile musicale un po’ più ricercato. Il pop ha un potere enorme perché è comprensibile da chiunque, abbraccia qualunque tipo di età e non passerà mai di moda. Sai, credo che la musica sia una cura, nel senso più nobile del termine, attraverso le mie canzoni cerco di trasmettere qualcosa, senza voler impartire lezioni a nessuno, perché sono cose che dico in primis a me stesso. Il filosofo americano Ralph Waldo Emerson diceva: “Per imparare le lezioni importanti nella vita ogni giorno bisogna superare una paura”, se mettessimo realmente in atto questa regola saremmo molto più ricchi di coraggio. Smettiamola di pensare che rischiare sia un qualcosa di pericoloso, affrontiamo i nostri timori e se ci facciamo male pazienza, la prossima volta andrà meglio!».
Nico Donvito
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