A tu per tu con il noto cantautore, in uscita in tutti gli store con l’album “Il fabbricante di ricordi”
Songwriter o hitmaker sono due inglesismi che mal si addicono all’estro creativo e 100% italiano di Roberto Casalino, cantautore ispirato e prolifico che nel corso dell’ultimo decennio ha firmato alcuni degli episodi più belli della nostra amata musica leggera. “Il fabbricante di ricordi“ non è solamente il titolo del suo quarto progetto discografico, bensì l’appellativo che meglio descrive il proprio trasversale talento. Tredici pezzi che non necessitano di alcuna presentazione, a partire da “Diamante lei e luce lui“, passando per “Sul ciglio senza far rumore“, “Novembre“, “Per sempre“, “Cercavo amore“, “L’essenziale“, “Magnifico“, “A un isolato da te“, “Non ti scordar mai di me“, “Mi parli piano“, “Trova un modo“, “Distratto“ e “Ti porto a cena con me“; il tutto impreziosito dalla presenza di quattro prestigiosi ospiti: Alessandra Amoroso, Emma, Giusy Ferreri e Fedez. In occasione di questa interessante uscita, abbiamo incontrato l’artista per scoprire le sue sensazioni della vigilia e vivere con lui questo momento così importante.
Ciao Roberto, partiamo da “Il fabbricante di ricordi”, con quale criterio hai selezionato le tredici tracce?
«Mi sono basato sia sulla loro notorietà, sull’impatto che hanno avuto sul pubblico, ma anche su pezzi che sono cresciuti nel tempo, quelli che magari sono entrati nel cuore di persone a scoppio ritardato e che, al contempo, fanno tanto parte del mio vissuto. Ho cercato di calibrare il tutto e penso che ne sia uscito un lavoro abbastanza uniforme».
Riproporre canzoni già note al grande pubblico era un rischio, ma credo tu sia riuscito a donare loro una nuova veste. Non so come dire, cioè, in alcuni casi sembrano quasi degli inediti…
«Sì, l’idea iniziale era proprio quella. Le versioni originali interpretate dai vari artisti sono al 90% molto vicine ai provini da me presentati al tempo, gli arrangiatori non hanno fatto altro che vestire in bella copia quello che avevo suggerito loro con la mia bozza. Il mio background musicale è molto anni ’90, un sound molto sporco che sa di palco e di band, sono cresciuto nelle cantine e nelle sale prova dei seminterrati, provengo da quel mondo ed è chiaro che tutto ciò viene fuori, soprattutto in un disco autoprodotto come questo che ho fortemente voluto. Non ci sono state imposizioni dall’alto, così mi sono sentito libero di esprimere ciò che sono.
L’obiettivo era di riprendere queste canzoni per dare loro una nuova anima, chiaramente l’intento non era quello di suonarle allo stesso modo, bensì quello di donargli un’altra veste. Non mi aspetto che chiunque possa cogliere positivamente ogni nuova versione, perché magari si è legati alla vocalità dell’interprete o all’arrangiamento originale, il mio intento era quello di riuscire a dare un taglio diverso. L’aspetto inedito è proprio questo, oltre al fatto che per la prima volta un autore canta insieme agli artisti che hanno portato al successo quelle determinate canzoni».
Un disco che arriva dopo tre album di inediti, che ti hanno dato la possibilità di farti conoscere anche come cantante. In questo lavoro hai racchiuso tredici pezzi da te composti, qual è secondo te il filo conduttore che li lega?
«Sicuramente il fatto che siano stati interpretati tra il 2008 e il 2018, anche se alcuni erano stati composti prima, come “Non ti scordar mai di me” che ho scritto nel 2005 o “Diamante lei e luce lui” nel 2007. Ho voluto raccogliere questi dieci anni della mia attività di autore, mettere un punto e fare una sorta di bilancio, anche se personalmente non sono bravo a riconoscermi dei meriti, piuttosto tendo a focalizzarmi sugli errori o sulle cose sbagliate. Guardarsi indietro, a volte, ti fa vedere anche le cose belle e, per fortuna, ce ne sono state parecchie.
Poi, il filo conduttore chiaramente sono io, la mia scrittura, la riconoscibilità, la mia voce, il sound che ho raggiunto grazie ad una band molto affiatata che ha registrato il disco e che mi accompagna dal vivo da qualche tempo. Nondimeno, è stata fondamentale la supervisione di Marta Venturini, autrice e produttrice che ha curato anche il mio precedente disco. Il desiderio era quello di riprodurre suoni veri, l’elettronica è ridotta ai minimi termini».
Hai lasciato fuori brani come “Senza riserva”, “L’amore altrove”, “Stai fermo lì, “I miei rimedi”, “Cullami”, “L’ultimo giorno rubato” e molti altri, ci sarà un volume due? Anche in vista delle canzoni che hai ancora nel cassetto e di quelle che non hai ancora scritto…
«Ho dovuto necessariamente lasciare qualcosa fuori, pensa che il disco doveva originariamente contenere dieci brani, sono arrivato a tredici proprio perché non riuscivo a fare un ulteriore scrematura. Magari ci sarà un volume due che raccoglierà sia le canzoni tenute fuori sia quelle che, forse, nei prossimi anni continuerò a scrivere e pubblicare, io me lo auguro. Vediamo come va questo, ma comunque ci ho preso gusto, è stato divertente (sorride, ndr)».
Come sono nate le quattro collaborazioni presenti nel disco e, soprattutto, l’idea di realizzare un doppio featuring con la maggior parte di loro?
«Guarda, le collaborazioni sono nate in modo piuttosto semplice, mi sono armato di coraggio e ho scritto personalmente a tutti gli artisti con cui ho collaborato in questi anni, per spiegare esattamente il tipo di progetto che avevo in mente. Da parte loro c’è stato un entusiasmo per me inaspettato, tralasciando il fatto che siamo amici e ci sentiamo anche al di fuori della musica, possono entrare in gioco mille fattori e problematiche discografiche, noi abbiamo bypassato tutto questo e ci siamo ritrovati in studio per incidere un brano a testa.
Escluso Fedez che aveva un solo pezzo, per quanto riguarda le ragazze è arrivato tutto in maniera spontanea, la prima con cui ho registrato è stata Emma, insieme dovevamo incidere solo “Mi parli piano”, poi le ho fatto sentire “Cercavo amore” e mi è venuto spontaneo chiederle di fare anche in quel caso un duetto, lei ha accettato subito senza battere ciglio, la stessa identica cosa è accaduta pure con Alessandra e Giusy».
Facciamo un salto indietro nel tempo, a quando risale il tuo incontro con la musica e come hai capito che eravate fatti l’uno per l’altra?
«Effettivamente sono nato con la musica, ma il primo incontro reale e concreto c’è stato all’età di dieci anni, quando vivevo in Germania con la mia famiglia, lì sono entrato a far parte di una compagnia teatrale italiana, con loro ho calcato per la prima volta il palco, vincendo la mia emotività, un’esperienza che mi ha formato moltissimo. Tornato in Italia, durante l’adolescenza, sono arrivate le prime band, le prime serate nei locali, le prime conferme ma anche le prime porte in faccia. Non avrei mai pensato potesse diventare una professione, certo, ci sperato e ho lavorato sodo per fare in modo che lo diventasse, però ci sono stati momenti duri dove ho meditato l’ipotesi di mollare tutto».
Ci sono due canzoni da te firmate precedenti al 2008, vale a dire “Entro il 23” per gli Mp2 ed “E va bè” per Syria, entrambe composte insieme a Tiziano Ferro. Le citi di rado, come mai?
«In realtà sono legato a questi due pezzi, “Entro il 23” ha partecipato anche al Festivalbar, mentre il pezzo di Syria era contenuto nel suo album “Non è peccato”, dove c’erano autori molto importanti. Sono due episodi che non nomino non perché io non ne vada fiero, bensì perché hanno rappresentato per me una sorta di casualità, non avevo ancora trovato una mia identità. Da “Non ti scordar mai di me” in poi qualcosa è cambiato, lo considero un pezzo che ha dato un’identità alla mia scrittura, l’ho tenuto nel cassetto per un po’ di tempo, fino a che non mi sono innamorato della vocalità di Giusy, l’ho sentita per caso in televisione durante la sua partecipazione alla prima edizione di X Factor, per questo motivo mi sono sentito di darle il pezzo più importante che avevo tra le mani in quel momento, anche perché il mio intento era quello di fare il cantante e non l’autore, non volevo dare in giro i miei pezzi. Da lì è cambiato tutto, in tanti hanno cominciato a chiedermi canzoni, in un primo momento ero un po’ restio, poi sono arrivate Alessandra, Emma e piano piano tutti gli altri».
Qual è il Casalino-pensiero sull’attuale situazione musicale del nostro Paese?
«Ci sono sicuramente cose che fanno ben sperare, il mio augurio è che ci sia sempre un occhio di riguardo verso la melodia e i contenuti, perché a volte ascolto pezzi che mi fanno alzare le mani, pur rendendomi conto che il target si è notevolmente abbassato e che lo streaming tende a focalizzare l’attenzione sul pubblico giovanissimo. Bisogna tener conto dei tempi che cambiano, senza tralasciare però l’aspetto qualitativo, perché le mode tendono ad uniformare le varie proposte, non bisogna far passare il messaggio che per funzionare devi ricordare qualcosa che funziona già, perché il passato ci insegna che non è così e chi ha copiato qualcun altro non è rimasto nel tempo. Portare avanti la propria identità è sicuramente più dispendioso, ma a lungo termine è sempre la mossa più saggia. Ci sono artisti come Calcutta o i Thegiornalisti che hanno fatto della loro personalità un marchio di fabbrica, tutto ciò che è arrivato dopo sembrano delle riproduzioni più o meno riuscite».
Quale aspetto ti affascina maggiormente nella fase di composizione di una canzone? Proprio nel momento in cui ti metti lì e cerchi l’ispirazione…
«Guarda, mi affascina proprio il fatto che non mi metto lì e cerco l’ispirazione (sorride, ndr), è una roba che mi viene all’improvviso, in qualsiasi momento. Raramente succede quando sono in studio, spesso accade quando mi trovo in macchina, a far la spesa o in fila alle poste. La cosa che più mi affascina è l’imprevedibilità, l’essere sempre pronto a tradurre in musica e parole un barlume di luce che ti arriva, che devi saper cogliere e coltivare. Non sempre ci riesci perché non è così facile, soprattutto se ti capita la giornata storta dove non sei dell’umore giusto, l’importante è imprimerla e riuscire a fissarla, poi magari ci torni sù più avanti, ho tante idee appuntate che magari un giorno diventeranno canzoni».
A cosa si deve la scelta di “Sul ciglio senza far rumore” come secondo singolo?
«E’ un brano che ci ha entusiasmato sin dalla prima ora, in più volevo far uscire una ballad e ci tenevo tanto che uscisse qualcosa di mio e di Alessandra per ringraziarla, in questo ultimo anno mi ha permesso di aprire alcune date del suo tour e poi è sempre stata molto presente nella mia vita, le devo veramente tanto e sono felice che questo secondo singolo sia un nostro pezzo».
Hai sempre affermato di essere particolarmente affezionato a “Ti porto a cena con me”, una volta inciso il disco sei rimasto della stessa idea o ci sono anche altri pezzi che ti hanno colpito per la loro resa finale?
«In realtà per quanto riguarda “Ti porto a cena con me” non sono legato per la sua resa finale, bensì per la storia del brano, perché non ha avuto un successo eclatante subito, ma è un pezzo che si è fatto spazio piano piano, che sia Giusy e i suoi fan amano molto, oltre che le parole e il tema che mi tocca particolarmente ogni volta che la canto. Essendo un disco curato nei minimi dettagli, non c’è una canzone che penso sia venuta in modo migliore di altre, perché abbiamo lavorato a lungo e mi sono preso tutto il tempo necessario per realizzarlo, tant’è che avrei voluto farlo uscire lo scorso anno in occasione del reale decennale, ma non ce l’abbiamo fatta. Questo per me è irrilevante, l’importante è aver realizzato un disco che mi piace ascoltare e che spero possa piacere anche al pubblico».
Al contrario, se potessi “rubare” una canzone ad un tuo collega quale sceglieresti?
«Beh, tantissime. In questo ultimo periodo sto ascoltando tantissimo “Giudizi universali” di Samuele Bersani, una canzone che avrei voluto scrivere io e che considero emotivamente un evergreen».
In un’epoca in cui siamo inondati di musica, tutto và velocemente e l’attenzione del pubblico è diminuita, quali caratteristiche deve possedere una canzone per non essere “skippata”?
«Purtroppo è come dici, oggi come oggi deve avere un titolo accattivante, breve e deve parlare un linguaggio abbastanza giovanile. Io forse sono la persona meno adatta per rispondere a questa domanda, fondamentalmente perché non mi faccio il problema di ciò che piò essere skippato, piuttosto mi pongo il problema di cercare di realizzare, nel mio piccolo, qualcosa che possa rimanere veramente nel tempo. In questi dieci anni ho puntato tutto su questo e voglio continuare a farlo, nonostante i tempi in dieci anni siano molto cambiati, non mi interessa scrivere canzoni per finire primo in classifica per un paio di settimane».
A questo punto il domandone è: lo scriverai mai un tormentone estivo?
«Sai che non lo so, in passato ho scritto dei pezzi destinati al mercato estivo, ma senza basarmi sui soliti cliché del sole, del mare e delle feste in spiaggia. Ad oggi ti dico che non incarna la mia indole, i miei pezzi usciti in estate sono sempre stati comunque malinconici, vedi “Cercavo amore” o “Non ti scordar mai di me”. Per il futuro non saprei, la vita è davvero imprevedibile, sicuramente non mi sentirai mai cantare “il mare è blu e tu non ci sei più”, perché non è proprio il mio linguaggio. O magari se vedrai la mia firma in un pezzo di questo tipo ti accorgerai che non ho curato il testo bensì solo la musica (sorride, ndr). Senza nulla togliere a chi scrive questo genere di cose, anzi, bisogna aver talento nel fare canzoni orecchiabili e super spensierate, personalmente mi sento proiettato più sull’introspezione, tutto qua».
Che significato attribuisci alla parola “artista”? Un termine al giorno d’oggi, forse, troppo abusato e che viene utilizzato spesso come sinonimo di “cantante”…
«Per me l’artista è colui che fondamentalmente ha un contenuto, sia di vita che di sensibilità, il talento sta nell’esternare e mettere in pratica ciò che ognuno di noi possiede al suo interno, che tu sia un pittore, un cantante o un attore. Nell’ambito musicale, un bravo artista deve essere bravo a tradurre parole e note rendendo il più universale possibile il proprio linguaggio, cercando di parlare a tutti anche se in realtà stai raccontando qualcosa che è capitato a te in prima persona».
Hai vinto Sanremo nel 2013 come autore de “L’essenziale”, ti piacerebbe esordire in gara anche come cantante? Magari spinto dall’esposizione di questo disco e dal successo che ti auguro…
«Mi piacerebbe, chiaramente puntando alla categoria big perché ormai ho quarant’anni e non potrei passare tra le Nuove Proposte. Ci proverò, ma sappiamo tutti quanto è complicato, visto soprattutto il numero di proposte che ogni anno arrivano alla commissione, alla fine il numero dei posti è sempre quello. Un tentativo va fatto, perché no, sicuramente non mi aspetto nulla, non vivo in funzione di Sanremo, semmai dovessi riuscire a rientrarci sarebbe una gran bella cosa. E’ chiaro che giustificare la mia presenza da solo non è molto facile, avrei bisogno di andare in duetto con qualcuno che possa sposare il mio progetto. Vedremo cosa succede, incrociamo le dita!».
Per concludere, dove e a chi desideri arrivare con la tua musica?
«Può sembrare banale, ma in realtà vorrei arrivare alla quotidianità delle persone, mi aspetto che questo disco possa accompagnare chi lo ascolta nelle loro giornate, anche in sottofondo mentre fanno altro. Mi piacerebbe che queste canzoni possano suscitare nel pubblico nuovi ricordi, proprio come è stato per le versioni originali».
Nico Donvito
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