A tu per tu con il cantautore campano, in uscita con il singolo che segna il debutto del suo alter ego
Si intitola “Non fa mai male” l’inedito con il quale irrompe sul mercato Majello, pseudonimo di Tony Maiello, artista che conosciamo e ricordiamo sia per la sua attività da cantante che da autore per numerosi altri colleghi. Dalla partecipazione alla prima storica edizione italiana di X Factor alla vittoria della sezione Nuove Proposte di Sanremo 2010, gran parte dei successi, scritti per sé o per gli altri, sono sempre stati caratterizzati dalla melodia e da un uso tradizionale degli strumenti, anche se in realtà aveva più volte sperimentato strade diverse, ad esempio con “Chi ha inventato i sentimenti” nel 2012, “S’incendia la testa” nel 2013 e “Il mio funky” nel 2017. Approfondiamone la conoscenza e i motivi di questa sua ulteriore evoluzione.
Ciao Tony, bentrovato. Partiamo dal tuo nuovo singolo “Non fa mai male”, come nasce e come si sviluppa in te l’esigenza di creare un percorso alternativo?
«Sono sempre stato un po’ una voce fuori dal coro, per carattere, ho sempre sperimentato tanto e scritto brani stranissimi, mi è sempre piaciuto ma non ho mai avuto modo di poterlo fare. E’ come comprare un nuovo vestito in realtà, Majello è stata la scusa per indossarlo e mostrare cosa ho scritto di diverso in questi anni. Ho scelto “Non fa mai male” come primo singolo perché, forse, è quella meno drastica, mi sembrava un giusto equilibrio tra il melodico e questa nuova sfumatura nel sound».
Quali caratteristiche hanno in comune Tony Maiello e Majello e quali sono, invece, le principali differenze?
«Fondamentalmente sono la stessa persona, per mia indole ho l’anima divisa in mille parti, mi piace sperimentare e ho un buon approccio al cambiamento. A livello di testo e di musica, c’è sempre la volontà di raccontare storie, forse quello che cambia è il linguaggio, ad esempio non avevo mai utilizzato il termine “pistole” in una mia canzone, sicuramente mi sento di poter osare di più».
Venendo all’attualità, alla nostra quotidianità che è stata stravolta dalla pandemia, se dovessimo trovare dei lati positivi in tutta questa situazione, in cosa li individueresti?
«La quarantena ci ha fatto riscoprire il valore degli affetti, a livello personale ho sempre passato poco tempo in famiglia, mettersi a fare il pane in casa o giocare a carte sono state quelle piccole cose che, fino a poco tempo prima, davamo un po’ tutti per scontato. Ho riscoperto l’esigenza interiore di riempirci di sguardi, di circondarci di persone che ci vogliono bene, dovremmo tornare a cibarci un po’ più delle presenze».
A livello discografico, sono stati fatti un sacco di appelli in favore di tutta la categoria, alcune parole sono state anche travisate. Come pensi ne potrà uscire l’industria musicale da tutto questo?
«La vedo dura, anche per quanto riguarda noi autori che viviamo di Siae, oggi come oggi i ricavi arrivano principalmente con i concerti, ormai con lo streaming con i dischi si guadagna poco. Pensare che ci sarà un anno senza live, significa immaginare un 2021 senza proventi, questo significa che un po’ tutti gli addetti ai lavori non percepiranno nulla. Per quanto mi riguarda, tendo sempre a pensare a chi sta peggio di me, per questo motivo non mi sono mai pianto addosso. Non la vedo proprio nera, sicuramente difficile, nel senso che ci vorranno tanti sacrifici, la speranza è che tutto si possa risolvere presto».
Per concludere, che ruolo possono avere la musica e l’arte in generale in questa fase di ripartenza?
«Quello che fondamentale hanno sempre avuto, l’arte è la testimonianza che qualcosa di buono siamo riusciti a fare fino ad ora. Tolta la musica si rimane in silenzio, le parole restano nel vuoto. Uno dei lati positivi di questa condizione in cui ci siamo ritrovati, secondo me, è rendersi conto del grande potenziale che l’essere umano possiede. L’arte e la musica ci riconciliano col mondo».
Nico Donvito
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