C’era una volta il CD, oggi però il suo futuro sembra incerto: questo influirà sul modo di produrre musica?
CD: Compact Disk. Fino a ieri una certezza, oggi un grande punto interrogativo che probabilmente si trasformerà a brevissimo in un “nulla”. La musica è per sua natura libera e viaggia da un posto all’altro senza limiti, ma necessita da sempre, per forza di cose, di dispositivi capaci di trasportarla in giro per il mondo permettendo a chiunque di poterne usufruire. Dagli storici giradischi, passando per le celebri “cassettine” e gli mp3: le previsioni sul futuro indicano che con tutta probabilità a breve (si parla di pochi anni) il CD andrà completamente in pensione a causa della sua drastica caduta nel mercato.
Solo l’ultimo dei grandi cambiamenti dell’industria musicale si potrebbe dire, ma il fatto è che stavolta la rivoluzione rappresenta un cambiamento ancora più drastico, un cambiamento che per altro la situazione Covid non ha fatto altro che accelerare. Spotify, Amazon Music, Apple Music e tutte le altre piattaforme digitali, che sono pronte a prendere il posto del “vecchio” CD a 360°, non sono solamente un nuovo modo di ascoltare la musica, ma rappresentano anche una nuova idea di intreccio produttore-consumatore.
Non cambia solo l’idea di base, ovvero quella di non avere più la necessità di inserire un CD fisico in un tipo di supporto per poterlo ascoltare e di poter usufruire in maniera illimitata della musica, eliminando di fatto i concetti di spazio e tempo, ma anche tutto quello che concerne la narrazione musicale. C’erano una volta i lunghi CD da ascoltare dall’inizio alla fine, con un sottotesto (o concept) chiaro che veniva snocciolato piano piano tra le varie tracce. Oggi c’è solo un contenitore che l’ascoltatore modifica, taglia e cuce a suo piacimento.
Tanti lo hanno già capito e si sono mossi in anticipo, chiaro che i grandi scontenti di questa situazione siano proprio tutti gli artisti “vecchio stampo”, che difficilmente anche impegnandosi hanno possibilità di arrivare ad un target vicino a questi nuovi mezzi di comunicazione, e anche per questo forse questi anni possono rappresentare, nel bene e nel male, un vero cambio generazionale nel mondo della musica, in cui il “nuovo” non coincide solamente con un nuovo genere, ma anche con una vera e propria rivoluzione dei mezzi.
Ovvio, poi, verrebbe quasi da chiedersi che senso abbia per un artista oggi impegnare risorse ed energie per produrre un album che sul mercato dura sempre meno e che poi verrà completamente stravolto, dal punto di vista narrativo, da chi lo ascolta. Forse non sarà così per tutti ma oggi l’idea che va per la maggiore è che una canzone non faccia più parte di progetto completo, ma rappresenti un “mattoncino” da prelevare e ricontestualizzare in un nuovo contenitore, come può essere la playlist. Sempre più singoli quindi e sempre meno “concept”, questa sembra la via, canzoni brevi e che sappiano “acchiappare” già dal primo ascolto. Fino a quando si può tirare questa corda senza perdere la magia? Sono davvero già così delineate le linee guida della musica del “futuro”?
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