giovedì 21 Novembre 2024

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Letteratura a 45 giri: Lettere a una giovane amica – Antoine de Saint-Exupéry e Ron

Un libro, una canzone: insieme

Ogni tanto, se ti piace leggere, accade che ti chiedano qual è il libro che avresti voluto scrivere. Per anni ho pensato fosse la storia infinita, e non era una risposta snob, era una cosa sincera. Da poco tempo invece mi sono convinto che il massimo per uno scrittore è questo: scrivere “Lettere a una giovane amica”.

E dire che non è neanche un libro, ma va. È un piccolo capolavoro nascosto dentro una mente geniale che sarebbe andato sicuramente perso se qualcuno non avesse avuto la briga di spulciare dentro la vita privata di uno dei più grandi scrittori del secolo scorso.

Da come si può intuire, è una raccolta di lettere che Antoine de Saint-Exupery (sì, quello del piccolo principe) ha scritto nell’arco di nove anni ad una sua amica dal nome che ricorda un cimitero maledetto: Renée de Saussine.
Sono venticinque lettere in tutto, scritte tra il 1923 e il 1931 in ogni posto laddove l’aereo di Exupery andava ad intrufolarsi e a perdersi tra pensieri, solitudine e voglia di tornare.

Chi sia Rinette, sta al lettore deciderlo. Potrebbe essere una delle tante donne che lo scrittore ha conosciuto, potremmo essere noi quando perdiamo la bussola della nostra vita, potremmo essere le persone che amiamo quando invece fuggono dalla nostra. Sta di fatto che Rinette, per una mezzora bella e buona, siamo noi, improvvisamente intrusi nella casa abbandonata ma intatta di Antoine. E allora che fai? Curiosi in giro, cerchi dettagli, guardi come sono posizionate le sedie, i libri sullo scaffale, le matite sul tavolo. E con esse la punteggiatura, la stanchezza nell’arrivare al punto, la sinuosità e la fantasia dei suoi ragionamenti. Non è che ti porti dietro chissà quale lezione di vita. Non rubi niente da quella casa, sia chiaro.

Però esci con la netta sensazione che avresti voglia di rubargli la vita. Ecco, quello sì. Rubare la sua capacità di nominare la tristezza. Di parlare di nostalgia senza nascondersi. Di scrivere venticinque lettere per dire “mi sento solo e mi manchi”, ma con una dolcezza che ti spezza il cuore.

Se avessi conosciuto Rinette probabilmente non l’avrei sopportata: perché uomini così si amano e punto. Si vogliono bene e punto. E se proprio non lo capiva, le avrei fatto sentire la canzone di RonAlmeno pensami” così da toglierle ogni dubbio.

“Ma come si fa
A tenere un cuore
Se ho le mani sempre sporche di carbone?
Son già passati mille anni
Tanto è il tempo che ti guardo e non mi parli
Senza lei io morirei
Ma chiudo gli occhi e so sempre dove sei
Sempre più lontano
O dentro questa goccia che mi è caduta sulla mano

Almeno pensami
Senza pensarci pensami
Se vai lontano, scrivimi
Anche senza mani scrivimi”

Antoine amava follemente due cose: scrivere e volare. Volò molti anni della sua breve vita e fece viaggi molto lunghi. Una cosa che ho letto e che ho imparato sul volo è questa. Non centra con il volo in aereo ma con il volo dello spazio. Quando gli astronauti partono hanno migliaia di preoccupazioni, ovviamente. Sia per il volo in sé ma anche perché insomma, non è un proprio un gioco da ragazzi andare nello spazio e lasciarsi sulla Terra, famiglia, figli e amici. Poi il volo non è neanche semplice. Ci sono molti problemi, tante responsabilità. Ma alla fine, se Houston non da problemi, arrivano sù e quando guardano in basso, quando guardano noi, vivono questo effetto chiamato effetto della veduta d’insieme.

È la prima volta che si vede in prima persona la realtà della Terra nello spazio, la quale viene percepita come una piccola, fragile sfera della vita “appesa nel vuoto”. Non ci sono più confini, guerre, pensieri su storie amorose finite male. C’è solo una piccola e fragile vita, così vulnerabile e così sola.

Antoine non è mai andato nello spazio, ma nei suoi lunghi viaggi, pensieri come questi lo hanno di certo persuaso. Bisogna immaginarselo lì, da solo, su un aereo qualunque, nei suoi infiniti viaggi. Quello che lui riporta qua, in queste lettere, è frutto di quei viaggi lì, di quel mondo fragile che avvertiva molto sotto i suoi piedi.

Quello che si intuisce da tutte le lettere che abbiamo letto, è da tutta la paura e la solitudine di Antoine è questo: quando siamo soli, nel cielo o quaggiù in terra, nel punto più lontano, più solo e più puro della nostra vita, quello che davvero conta, l’unica cosa che si vorrebbe avere e desiderare con tutto il cuore, è un posto dove tornare.

Poi certo, durante il cammino ci innamoriamo, viviamo e ci disperiamo continuamente. Ma usciamo di casa solo con lo scopo di ritornarci. Facciamo casino con l’unico desiderio di rimettere poi a posto il mondo. Scriviamo e raccontiamo storie per ricucire quella ferita, per colmare quel dolore. Uno poi, può farlo più o meno coerentemente. Antoine lo faceva da Dio.

E nel suo ultimo viaggio, non è più tornato. Perso tra le nuvole, senza aver ancora visto il suo Petit Prince pubblicato e senza sapere che fine avrebbero fatto le sue lettere, è scomparso nel cielo e nel mistero. Forse trovando un modo tutto suo, folle e geniale di tornare a casa.

“Non so proprio perché scrivo, ho un gran bisogno di un’amica a cui confidare le piccole cose che mi capitano. Con cui condividere. Non so più perché ho scelto proprio lei. Lei è così estranea. Il foglio mi rimanda indietro le mie frasi. Non posso più immaginare il volto chinato a leggere, non riesco a donare con generosità il mio sole, i miei piccoli successi e i miei sogni. Scrivo una lettera piano piano, per risvegliare qualcosa, senza crederci troppo… Forse scrivo solo per me stesso “

E così ripeto: scrivere “lettere a una giovane amica” credo sia davvero il massimo per uno scrittore. Per ora mi accontento di averle quantomeno lette. Sentendomi lontano, vivo, a pezzi, e chissà dove.

Aspettando che Rinette mi risponda.