Il cantatore romano si racconta a 360 gradi, aprendosi al proprio pubblico in un incontro speciale tra musica e parole
A poche settimane dalla nostra precedente chiacchierata realizzata in occasione della sua partecipazione sanremese, ritroviamo con piacere Fabrizio Moro nello spazio messo a disposizione da Feltrinelli presso lo Spirit de Milan, in zona Bovisa a Milano. Quello che è andato in scena ieri, martedì 15 febbraio, è stato un racconto aperto e libero, impreziosito da un mini showcase e un talk moderato da Stefano Mannucci. L’occasione ideale per presentare dal vivo il suo nuovo EP, intitolato “La mia voce” (di cui qui la nostra recensione).
«Dentro questo progetto ci sono un sacco di fotografie, sfumature della mia esistenza, elementi che hanno influito sulla mia personalità». precisa il cantautore romano, che ha debuttato al primo posto della classifica dei vinili: «E’ stata una bella sorpresa. Ricordo che una volta, durante l’ultimo tour che abbiamo fatto prima della pandemia, abbiamo messo in vendita i 33 giri nel merchandising e molti ragazzi non sapevano nemmeno cosa fossero (sorride, ndr)».
Un periodo ricco di soddisfazioni anche per quanto riguarda l’uscita della sua prima opera cinematografica, il film “Ghiaccio” che ha letteralmente sbancato al botteghino durante la prima giornata di programmazione: «L’idea pensata insieme ad Alessio De Leonardis era quella di dipingere la parte più colorata del quartiere, in genere siamo abituati a vedere raffigurata la periferia nel modo peggiore possibile. Noi abbiamo voluto sottolineare i valori e la strada che porta al riscatto»
Una storia ispirata in qualche modo al suo passato: «Mio nonno era un pugile, mi diceva sempre “se torni a casa che ti hanno menato, ti do le altre!”. Lui era molto severo, ma con i suoi insegnamenti mi ha forgiato». Lezioni che devono essergli state molto utili anche durante l’ultimo Festival: «Non ho mai sopportato la pressione mediatica, in questo caso c’era un bel progetto alle spalle e ho deciso di fare Sanremo per dare visibilità al disco e al film».
«Mi reputo emotivo, tendo a farmi condizionare molto. Alcuni hanno detto che ero troppo serio, probabilmente perché ero molto concentrato, infatti ho cantato meglio rispetto ad altre volte». Infine, un pensiero rivolto al pubblico che da anni lo sostiene: «Le persone che vengono ai miei concerti sono le stesse che hanno fatto in modo che la mia vita cambiasse, tra noi c’è un legame importante. Io non avevo niente, volevo fare il cantautore, loro mi hanno permesso di realizzare questo sogno».
Nico Donvito
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