venerdì 22 Novembre 2024

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Le carte da gioco nei testi musicali: semi, colori e simboli di un grande bluff?

Il tema del gioco nei testi delle canzoni

Sono il segno che saprai darmi, il tuo asso nella manica, un segreto da scoprire sai, e voglia solo il cielo che le nostre strade si incrocino! È questione anche di fortuna, come nel gioco a carte, dove una combinazione vincente può essere impossibile, se “i tuoi quattro assi bada bene di un colore solo“. Nel poker, infatti, i quattro assi hanno tutti seme diverso, e pure barando, non sortiscono l’effetto sperato, per dirla con Francesco De Gregori, così “li puoi nascondere o giocare come vuoi o farli rimanere buoni amici come noi“. Il simbolismo delle carte, e la loro immaginifica potenza, ci permettono di raccontare storie attraverso una metafora figurativa universale e le regole specifiche del gioco scelto. Sempre nel poker, è fondamentale anche la catena dei semi, quel “come quando fuori pioveva” di De Gregori, che ci informa di come non tutti gli assi abbiano lo stesso valore, ma valgano nell’ordine “Cuori, Quadri, Fiori e Picche“, così che anche i giocatori potrebbero ricorrere al ritornello per ricordare la giusta sequenza.

Regionali o straniere, destinate a giochi in solitaria, di gruppo o addirittura per consulti sul futuro, le carte da gioco entrano nei testi musicali per portare un messaggio collettivo, altamente specializzato, spesso legato proprio al seme: per l’amore e i sentimenti positivi si associano in genere le carte di cuori, per la fortuna/ricchezza quelle di denari, la subalternità/dipendenza tocca ai bastoni, mentre la solennità regale/potenza è rappresentata dalle carte di coppe e quelle di quadri.

Alcune carte, nello specifico, incarnano messaggi archetipici: il “due di picche“, per esempio, indica un rifiuto ricevuto e, in senso lato, un fatto, un dettaglio negativo o svalutativo. Ce lo cantano il Due di Picche (Neffa/J.Ax) nell’omonimo testo che descrive episodi di vita andati non secondo i piani, “primo giorno a scuola e ero già in disordine E lì ho preso il mio primo due di picche Terza media in fondo con i vuoti a perdere Prendevo ancora un due di picche Con la tentazione di un guadagno facile Di smazzare in giro due di picche Spalle al muro e il dubbio di sentirsi inutile Due di picche su due di picche“. I Gem Boy ci raccontano, invece, il più classico dei “due di picche“, quello d’amore; dal mancato appuntamento “passano sei giorni la chiami per uscire ti dice che sta male sembra che stia per morire ma la mattina dopo stranamente la vedi che va a scuola ride e corre tra la gente. Forse non lo sai ma questo è un 2 di picche!“, alla relazione funzionale in fase di conquista, come quando “le spedisci un completo intimo La Perla (…) pensi a quanto hai speso ti senti un pirla! (…) Lei ti chiama solo per venirti a dire: “vorrei cambiarlo hai lo scontrino per favore che al mio ragazzo non piace quel colore!“.

Sopra ogni carta, Re e Regine. I Litfiba dedicano alla loro “Regina di Cuori” un vero e proprio panegirico, “tra mille colori Sei tu la più bella e della notte la mia stella“; insieme a una promessa “ti giuro l’amore ma non eterna fedeltà“, l’irrisolta diatriba d’amore, che trova sintesi nell’allitterazione “m’ami, ma m’ami, ma m’ami“, e la certezza che, in futuro, “succede un finimondo Perché l’amore amaro è un mare meraviglioso e mentale E il cuore ha un agrodolce in gola Mi lasci e poi ti lasci andare per poi ritornare“. Se la Regina è domina, “stratega d’amore, felina con la certezza del tuo sesso“, com’è sarà il Re?

Intanto, pur essendo quello di Denari il più alto in grado per l’opulenza che incarna, Nadanon cerco un re di denari Io cerco un fante di cuori” perché a lei basta un amore fatto di romantica presenza più che di ricchezza materiale e “sai la mia reggia dov’è? Sotto le stelle con te A chi mi offre denari Io gli rispondo picche A chi mi offre dei fiori Tutto il mio cuore darò“. Quei fiori sono il simbolo delle attenzioni delicate, delle carezze più che degli averi, per cui “addio bel re di denari Amo il mio fante di cuori La tua ricchezza cos’è Quando l’amore non c’è“. Eppure, non si sa mai, fino in fondo, cos’è l’amore; anzi è sicuramente una partita non prevista, come canta Ivan Graziani, “lui è entrato nel bar con lei e si è seduto Io ero lì affascinato, la sua carica sessuale Si spandeva nel locale ed io di desiderio stavo male“, dopo la prima mossa “così mi sono avvicinato E a giocare a poker l’ho invitato“, il resto tocca anche alla fortuna “avevo un full e lui due coppie Cosa rilanci se non hai Più niente tranne lei?“.

Dov’è il limite del gioco? Vale la pena scommettere anche sulla propria donna? Perché, si sa che nel gioco le scommesse vanno mantenute sempre e può succedere che quel “se perdo tu l’avrai” fa della donna uno strumento di piacere, “le sue corde hanno vibrato In una notte io quel sogno l’ho bruciato” per farci ritrovare, la mattina dopo, come la descrizione dei romani Lovegang 126Ah, mi sveglio a quattro a bastoni (…) Birra de prima mattina in piazza ar sole che se scalla“. “E intanto dammi un bacio che il resto non conta“, scrive Galeffi, “che l’infinito è un attimo che non ritorna più“, e se “ho un labirinto nella testa Michelangelo nel cuore Un settebello sulle labbra“, resta un fatto “Ma quanto è bello immaginare“!?

Un testo dal doppio senso riuscitissimo, che ci fa pensare tanto a Michelangelo artista quanto alla persona amata e quella carta di denari può essere sia un suggerimento a guardare con ottimismo e disinteresse alla situazione, seguendo i propri desideri e investendo sui benefici a lungo termine, quanto un tipo di profilattico, che allude alla gioia del sesso. In fondo a questo gioco, resta ancora un grande dubbio: siamo come siamo? Oppure siamo quello che mostriamo? Di sicuro, siamo le azioni che compiamo, i risultati che sappiamo portare a casa, oltre ogni strategia, e perfino quelli mancati, certi che “le carte sono date Tu hai mano quel che hai”, d’accordo con Luciano Ligabue, che anche se “vien voglia di bluffare” non sarà impresa facile, perché siamo incastrati dentro rigidi ruoli sociali e possiamo provare pure a truccare le nostre mosse “ma non la berranno mai Per cui (…) va bene anche così (…) va bene anche per forza così (…) Fra pregi e limiti E queste facce qui“.

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Francesco Penta

Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.