A tu per tu con il poliedrico e ispirato artista, per parlare dei suoi numerosi e visionari progetti
Andrà in scena il primo luglio al Carroponte di Sesto San Giovanni (MI) si terrà la prima edizione di “Evanland – Festival Internazionale del Mondo Interiore“, rassegna ideata e voluta da Gio Evan (qui la nostra precedente intervista), che consiste in un raduno di persone brillanti interessate alla crescita spirituale, emotiva e intellettuale. Abbiamo incontrato su Zoom l’artista per parlare anche del suo nuovo singolo “Hopper” e del suo ultimo romanzo “Vivere a squarciagola”.
Ciao Gio, bentrovato. Partirei da “Evanland – Festival Internazionale del Mondo Interiore”, questa tua nuova avventura che si preannuncia come una fantastica giornata all’insegna della condivisione. Com’è nata questa idea?
«L’idea è nata durante una lunga cena con il mio manager sul terrazzo di casa mia. La riflessione ruotava attorno alle capacità organizzative delle persone cattive, mentre i buoni sono soliti aprire fattorie didattiche e tendono a chiudersi in se stessi. Mi sono detto che sarebbe stato bello radunare belle persone in una sorta di rivoluzione gentile, di educazione spudorata. Io sono contro le manifestazioni, ma sono a favore delle emanazioni. Il Carroponte era il luogo ideale dove iniziare ad emanare tutti insieme creando questo Festival in cui arte, gioco e spiritualità si accorgono all’unisono di essere identici».
Sarà l’occasione per presentare dal vivo “Hopper”, brano che mi ha dato modo di riflettere su quello che è forse il rapporto più complicato che possiamo instaurare nella vita: quello con noi stessi. Questo cadere e rialzarsi che sei riuscito a fotografare in maniera estremamente positiva…
«Tendo a vivere con una propositività allucinante, mi ritengo fortunato ad aver avuto sempre una prospettiva felice. Questo ultimo anno è stato un anno di disagi, ho avuto incidenti con il corpo, una serie di malanni. Sai, quando stiamo male abbiamo una predisposizione a vedere quanto vale veramente la vita. Non è mai bello stare male, ma è importante per riscoprire ogni volta la bellezza che abbiamo intorno. Da tempo mi esercito a pensarla così anche in salute, quindi “Hopper” è questo omaggio all’artista che mi ha insegnato molto, a questa sua necessità di solitudine per vedere la luce che emanava nei suoi dipinti».
E poi, per non farci mancare nulla, hai da poco rilasciato un nuovo romanzo dal titolo “Vivere a squarciagola”, opera che hai presentato in giro per l’Italia in camper. Che tipo di esperienza è stata?
«Bella, al dodicesimo libro posso dirti che è sempre bello indagare nelle dinamiche del sovrumano. Questa volta, però, mi sono lanciato in una vera e propria avventura autobiografica, in questa opera c’è l’esperienza della carne e non solo quella dello spirito. Mi gasava l’idea perché non è da molto che mi sono avvicinato al corpo, l’ho sempre lasciato andare. Ho ripreso a correre, a fare yoga e devo dire che anche questi aspetti hanno il loro fascino».
Per concludere, in un’intervista che avevamo realizzato in precedenza mi avevi detto che nella vita e nella musica ti reputi un sovversivo. Quali sono le cosiddette regole del gioco che desideri rovesciare attraverso il tuo impegno quotidiano?
«Io ho bisogno di sorprendere gli attimi minuscoli del quotidiano, perchè nel dettaglio ci metto sempre una mia unicità. Mi reputo sovversivo ed è l’unico aggettivo che mi attribuisco, perché cerco di cambiare determinati meccanismi che abbiamo inglobato nel nostro inconscio. Per farlo, basta partire dalle piccole cose, tipo lavarsi i denti con la mano sinistra, per cercare di cambiare la micro-vita, oppure pranzare sul tavolo in posizione fetale indiana. Queste sono cose che non puoi esercitare nel sistema, perché certi comportamenti destabilizzano gli altri. Mi spiace vedere che le persone siano così tanto affezionale alla consuetudine e non ribaltano mai le dinamiche del gioco. La vita è fatta di piccolezze e sovvertire anche le più minuscole delle regole non può che farci bene».
Nico Donvito
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