Intervista al pianista e compositore che presenta il nuovo lavoro discografico
Alessandro Martire, pianista e compositore italiano di fama internazionale, ci racconta in questa nostra intervista il suo nuovo album d’inediti strumentale “Wind of Gea” disponibile a partire dallo scorso 25 novembre 2022 e basato sul racconto dei luoghi del mondo partendo dalla scoperta della propria interiorità più profonda.
Ciao Alessandro, benvenuto su RecensiamoMusica. Partiamo da “Wind of Gea”, il tuo ultimo nuovo album. Che tipo di lavoro è?
«E’ un progetto che nasce durante il periodo del Covid e quindi un periodo particolarmente complesso. E’ un disco riflessivo ed introspettivo ma allo stesso tempo vuole anche raccontare le bellezze del mondo partendo dall’interiorità dell’uomo. L’idea è stata quella di portare un senso di bellezza partendo da un sentimento interno e finendo per raccontare un luogo reale diverso del mondo».
È un disco che, come raccontavi, nasce dall’esperienza del lockdown e dai viaggi fatti nel corso di questi ultimi due anni. Immobilità obbligata e libertà movimento come hanno condizionato la tua scrittura in questo disco?
«La libertà di movimento è stata, almeno inizialmente, nell’interiorità: un viaggio nell’animo che ho voluto compiere per cercare di immaginarmi tanti luoghi in cui poter andare collegandomi al mondo pur rimanendo chiuso in una stanza con un pianoforte. Il portare, poi, la mia musica in questi luoghi è stata un’esperienza magnifica. In alcuni di questi c’ero già stato e mi hanno ispirato nello scrivere. In altri ci sono stato appositamente come al Polo Nord o in Kazakistan. L’idea di ‘Wind of Gea’ era proprio quella di riportare la musica nei luoghi laddove tutto è iniziato».
Esiste, in qualche modo, una sorta di ricetta che segui per realizzare le tue composizioni oppure ogni momento di scrittura segue un percorso del tutto particolare e diverso dagli altri?
«Ogni brano ha una sfumatura ed un’ispirazione diversa da ogni altra. Alcuni rimangono, ad esempio, scritti unicamente per il pianoforte, su altri, invece, scelgo di aggiungere l’orchestra. L’approccio creativo e di scrittura cambia molto anche in base al tipo d’ispirazione che ho per quel brano».
Hai attraversato tutto il mondo con la tua musica esibendoti in alcuni dei luoghi più belli del Pianeta. Qual è la location che ti è rimasta maggiormente impressa?
«Il mio lago di Como, il mio luogo natale, rimane la mia prima fonte d’ispirazione e la location a cui sono più legato. In questo disco ci sono, poi, tanti altri luoghi: il Charyn Canyon del Kazakistan piuttosto che Venezia o il Polo Nord. Sono tanti luoghi diversi e ciascuno di questi mi hanno dato un’immagine, qualcosa di speciale».
Sei uno degli esempi della musica italiana che conquista il mondo. Come è vista e vissuta la nostra musica all’estero? Che cosa viene realmente apprezzato della musica italiana al di fuori del nostro Paese?
«Ho studiato all’estero e ho sempre cercato di fare molte cose al di fuori dell’Italia. L’artista italiano, d’altronde, viene sempre recepito con quell’aurea di classe e di fascino. Ho sempre cercato di portare avanti il mio progetto valorizzando sempre il nostro Paese unendo al mio racconto musicale anche quello della bellezza dei nostri luoghi. All’estero ci sono tante culture diverse ma il fatto di proporre una musica strumentale mi permette di comunicare liberamente con tutto il mondo: c’è un dialogo continuo con ogni angolo del pianeta terrestre».
In un disco strumentale le parole vengono sostituite dalle immagini. Quale immagine useresti per raccontare questo tuo progetto?
«C’è il colore blu che caratterizza la copertina del disco e che richiama il colore dell’acqua e del cielo: un colore che mi piaceva dare a questo disco. L’immagine è quella dell’onda, un simbolo che mi rappresenta da sempre come artista».
Ilario Luisetto
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