A tu per tu con il cantautore e musicista romano, in uscita con il nuovo singolo “e …John”
Cinquantatré anni di carriera e non sentirli, con questo spirito Amedeo Minghi torna a farsi sentire con l’inedito “e …John”, a circa un anno di distanza dal precedente singolo “Tutto il tempo”. Edito da Clodio Music, il brano racconta e rivaluta la storia d’amore tra John Lennon e Yoko Ono, una delle coppie più famose e influenti del XX secolo. Ad accompagnare l’uscita del pezzo il videoclip diretto da Michele Vitiello, realizzato con la consulenza di Niccolò Carosi, che esprime attraverso le immagini gli ideali portati avanti dai due coniugi, quali la pace e l’amore. In occasione di questa pubblicazione, abbiamo raggiunto telefonicamente il cantautore per ripercorrere insieme a lui le tappe fondamentali del suo percorso musicale, approfondendo la sua conoscenza sia come uomo che come artista.
Ti hanno dato spesso dell’austero, colui che vuole essere chiamato Maestro, ma dopo oltre cinquant’anni di carriera: chi è oggi Amedeo Minghi?
«Non vorrei tornare su questa vicenda del Maestro, perché sono cose che non stanno né in cielo né in terra, l’ho scritto anche nella mia autobiografia, a Roma siamo tutti maestri (ride, ndr), è un modo di dire, un intercalare con cui si definiscono le persone. Il primo ad affibiarmi questo “titolo” è stato Baudo in una trasmissione televisiva, poi si è sparsa questa storiella che non è assolutamente vera, nel lavoro è ovvio che ho un certo tipo di rigore, la musica è una cosa seria, ma nella vita di tutti i giorni sono semplicemente Amedeo. Per rispondere alla tua domanda, chi è che si conosce così bene da potersi descrivere? E’ complicato, ho lasciato sempre parlare le mie canzoni, il pubblico mi capisce più di quanto riesca a fare io, la trasparenza è fondamentale per me, soprattutto in questo ultimo periodo. E’ un momento delicato della mia vita, mi sono ritrovato improvvisamente da solo, sto ancora elaborando quanto accaduto, ci sono una serie di scelte che devo prendere e che sto rimandando da tempo».
Dalla tua parte hai l’affetto incondizionato del pubblico che, negli anni, ti ha sempre dimostrato la propria vicinanza, decennio dopo decennio. Come sei riuscito a non lasciarti mai influenzare da alcuna tendenza, a mantenere alta l’attenzione sul tuo stile, sull’istinto e sull’ispirazione?
«Con l’avvento di internet il pubblico sta riscoprendo diverse mie cose passate che non ebbero allora esiti positivi e che stanno avendo riscontro oggi, a trenta o quaranta anni di distanza dalla loro pubblicazione. Come ho fatto a sopravvivere a tutto questo? Intanto sono solito ascoltare pochissima musica, quando viaggio la penso e la compongo nella mia testa, di conseguenza non mi faccio influenzare da quello che c’è intorno, dalle mode, dal progresso e dai tempi che cambiano. Mi viene in mente un esempio: una volta c’era il treno che per andare da Roma e Milano ci metteva otto ore, oggi con l’alta velocità ci si impiega anche due ore e mezza, sono cambiati i mezzi ma quel treno và sempre a Milano (sorride, ndr), così anche nella musica, tutto è più svelto ma il fine è quello di arrivare a quanta più gente possibile».
Di questo ne sei un esperto, come dimostra il tuo nuovo singolo “E…John”. Di storie d’amore ne hai raccontate tante, sia comuni che celebri, mi viene in mente ad esempio quella tra Anita e Giuseppe Garibaldi, questa volta canti il rapporto fra John Lennon e Yoko Ono. Cosa ti ha ispirato questo brano?
«Lo scorso 20 marzo sarebbero stati cinquant’anni dal giorno del loro matrimonio, ho voluto riportare l’attenzione su questa coppia che all’epoca è stata tanto criticata e condannata, agli occhi dell’opinione pubblica Yoko Ono era la causa dello scioglimento dei Beatles, in realtà Lennon era già mentalmente fuori dal gruppo, non credeva più in quel progetto, era già con la testa altrove. Lei è stata la musa che ha ispirato le sue successive produzioni da solista, che lo ha aiutato a trovare la sua vera dimensione, senza Yoko Ono non avremmo mai avuto capolavori come “Woman” o “Imagine”. E’ stata una storia d’amore bellissima e autentica, così ho voluto celebrarla con la mia musica, anche perché il tempo ha dimostrato l’importanza e la coerenza del loro vincolo».
Facciamo un breve excursus nella tua carriera partendo dai tuoi esordi, perché per te il successo non è arrivato subito, a differenza di quanto accade oggi. Te la sei sudata?
«Non solo non è arrivato subito, ma l’ho ricevuto anche a singhiozzi (sorride, ndr), a pause alterne. Inizialmente, come autore ho avuto tantissimi successi, prima di averne uno mio personale, mi riferisco al più grande, quello a cui tengo di più: “L’immenso”. Con quel pezzo nel 1976 sembravano essersi spalancate per me le porte del successo ma, nonostante la risonanza a livello internazionale, non è stato così. Dopo sette anni arriva “1950”, debutto a Sanremo, seppur la classifica finale non premia la canzone, la critica l’apprezza ma, ancora una volta, non c’è un seguito, le proposte successive non vengono accolte con lo stesso interesse. Dobbiamo arrivare al 1989 quando le cose cominciano ad andare per il verso giusto a lungo termine, grazie a “La vita mia”, seguita l’anno successivo da “Vattene amore”, “Nenè” e poi ancora da “I ricordi del cuore”, da lì qualcosa ha cominciato a carburare, il successo è arrivato anche se si è fatto attendere».
Qual è l’elemento che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?
«Il caso, credo sia una componente fondamentale, a volte le canzoni nascono in maniera inaspettata, tipo sul tavolo di una cucina come mi è capitato di scrivere con Adelio Cogliati, davvero quando meno te lo aspetti. Pensa che “1950” l’ho scritta una sera insieme a Gaio Chiocchio in un albergo di Ronciglione, buttando giù le parole su vari pezzetti di carta, la mattina dopo ci siamo ritrovati a raccattare i vari fogli per rimettere insieme il testo. L’imprevisto e il non calcolato sono la parte più interessante di questo lavoro».
Arrivando a “Vattene amore” e alle recenti polemiche di “Ora o mai più”, è vera la leggenda sul fatto che originariamente questo pezzo era stato pensato per Mina e Ornella Vanoni?
«E’ vera in parte, nel senso che la Fonit Cetra mi aveva commissionato un brano perché nei loro progetti c’era l’intenzione di far cantare Ornella Vanoni e Mina insieme. L’ho composto pensando ad entrambe, poi la cosa non è andata in porto e il pezzo è rimasto in un cassetto fino a quando ho ascoltato la meravigliosa voce di Daniela, che ho trovato subito adatta a quel tipo di melodia. Cambiato il testo l’abbiamo proposta a Sanremo, inizialmente interpretata solo da Mietta poi, per ragioni tecniche e organizzative complicate da spiegare, mi hanno chiesto di trasformarla in un duetto, da questo escamotage è nata la coppia indimenticabile che tutti ricordano».
Pensa che il primo ricordo che ho nella vita è questa canzone, voi due che la cantate a Sanremo con la scenografia marina alle vostre spalle, avevo tre anni e mezzo, non ho memoria di nulla in precedenza…
«Mi fa piacere, perché davvero tante persone sono legate a questo pezzo, c’è poco da fare, la gente con “Vattene amore” è cresciuta, si è innamorata, fidanzata e sposata. Quando è scoppiata quella polemica a “Ora o mai più”, tutto il web si è rivoltato contro i membri della giuria che avevano espresso un parere poco elegante, anche i loro stessi fans. E’ stato un po’ come offendere il pubblico che, dopo circa trent’anni, continua a contribuire in maniera significativa al successo e alla popolarità di questa canzone».
In più c’è da dire che è stata scritta insieme ad un signore che si chiama Pasquale Panella, che il celebre “Trottolino amoroso” si rifà ad un aria di Mozart, che ha ottenuto ben dieci dischi di platino… mica pizza e fichi
«Non solo, ha anche un mare di cover sparse in giro per il mondo ed è stata cantata in diverse lingue. Poi, guarda, è una polemica che detto sinceramente non mi ha toccato più di tanto, la settimana dopo sono tornato ospite nella trasmissione più che altro per le mie figlie che si erano abbastanza arrabbiate, personalmente le scuse non mi interessavano nemmeno. Fortunatamente l’affetto del mio pubblico non mi è mai mancato, ma leggere manifestazioni di stima anche da parte di chi non è un mio abituale ascoltatore è stata una bella soddisfazione».
Insomma, “Vattene amore” è stata ed è tuttora un grande successo, ma c’è una canzone meno nota del tuo repertorio che reputi altrettanto valida ma che non ha avuto magari la stessa visibilità e la stessa fortuna?
«Tesoro mio ce ne sono tantissime, all’interno dei miei album ci sono pezzi che le persone amano molto di più rispetto ai singoli che hanno fatto da traino ad un determinato progetto o che sono finiti in classifica. Sono questi i pezzi a cui si devono l’altezza e la durata di una carriera, perché il pubblico viene a vederti a teatro per sentire i propri brani del cuore, non quelli da hit parade. Fortunatamente ho molte tracce che sono ancora più interessanti delle canzoni ritenute popolari e che non riuscirei nemmeno ad elencarti, avendo un repertorio talmente vasto ogni persona ha la sua preferita».
Tra le tante produzioni realizzate negli anni ’90, spiccano le musiche firmate per diverse serie fantasy italiane dirette da Lamberto Bava, tra tutte “Fantaghirò”, ma ricordo anche “Sorellina e il principe del sogno”, “La principessa e il povero”, “Desideria e l’anello del drago”. Cosa ha rappresentato per te la realizzazione delle colonne sonore?
«Tutto è partito dalla telenovela “Edera” dove compariva il brano “I ricordi del cuore”, un successo incredibile che mi ha aperto le porte dello Stadio Olimpico, pensa che ancora oggi rimane il mio disco più venduto. Dopodiché è iniziato il sodalizio con Lamberto Bava ed è arrivata “Fantaghirò”, una serie venduta in centinaia di Paesi, sono davvero fiero di aver costruito la colonna sonora di questa storia, con attori di grande livello e un cast davvero internazionale, con due protagonisti come Alessandra Martines e Kim Rossi Stuart che bucavano lo schermo per la loro bravura e bellezza. Per ogni fantasy ho scritto tantissima musica, mi sono barricato in studio per mesi, è stato un lavoro impegnativo ma anche molto divertente e ricco di soddisfazioni».
Dopo aver parlato di te e del tuo mondo musicale, non posso non chiederti cosa pensi di quello che c’è intorno: come se la sta passando la canzone d’autore?
«La canzone d’autore non se la sta passando bene perché sono i media che non la trattano con la dovuta cura, questi brani necessitano un ascolto attento, al loro interno contengono quasi sempre un messaggio che per alcuni può essere scomodo, è più comodo trasmettere pezzi con pochi contenuti basilari. Se le radio e le televisioni avessero un po’ più di coraggio questo genere di musica farebbe ancora da padrone, senza restare ancorati al passato, perché nei vari karaoke e nelle serate tra amici anche gli stessi giovani riprendono le nostre vecchie canzoni, con quelle nuove non sanno nemmeno da che parte cominciare, ma chi se le ricorda? Troppe parole che non si lasciano nemmeno cantare. La musica di qualità è viva e vegeta, bisogna tornare ad avere pazienza, ad ascoltare le canzoni e lasciarsi trasportare dalla loro magia, dobbiamo un po’ tutti abituarci a questo cambiamento epocale rappresentato dai social, prendere il buono dall’evoluzione tecnologica, senza dimenticare il nostro passato e distogliere l’attenzione sul presente».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver imparato dalla musica?
«La coerenza, essere fedeli alle proprie scelte effettuate sin dal principio, pagandone anche i dovuti scotti. La costanza costa ma è un prezzo che vale la pena pagare per stabilirsi nella memoria e nel cuore del pubblico, non solo dal punto di vista discografico o in cartellone con le varie tournée teatrali, perché le persone sono la linfa vitale di qualsiasi artista. Oggi come oggi abbiamo troppe distrazioni, ma sono convinto che la canzone d’autore resisterà nel tempo, perché fa parte della nostra cultura, non è certo una moda».
Nico Donvito
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