Fra i mille impegni prende il via la rincorsa al nuovo disco
Torna sul mercato discografico Francesca Michielin, e a distanza di qualche mese da “Nei tuoi occhi” (qui la nostra recensione) si riaffaccia alla scena con “Bonsoir“. Il brano ha offerto alla cantante bassanese ha avuto l’occasione di programmare il tour primaverile nei teatri. Si aggiunge, quindi, anche la musica a questo 2022 dall’agenda affollatissima, che ha visto la cantautrice attivarsi sul campo editoriale (qui) e televisivo (sarà conduttrice della quattordicesima edizione di X Factor).
Nonostante l’impossibilità di una promozione live adeguata a causa degli impegni negli studi Sky, “Bonsoir” è un tassello da non sottovalutare, ma da considerare come singolo apripista del disco venturo, il quinto in studio della classe 1995.
Analisi della canzone |
Paragonata in maniera massiccia a “Vulcano“, pezzo che ha poi effettivamente dato il via alle danze di “2640” (di cui qui la nostra recensione), “Bonsoir” si presenta all’ascolto come un brano ritmato ma eterogeneo, che conferisce al timbro profondo della Michielin le possibilità di sbizzarrirsi con cambi improvvisi di tonalità.
Godibile ma impegnativa, la canzone si snoda lungo il tappeto di Dardust che, dal canto suo, caratterizza la base di momenti ben distinti, iniziando con un andare lento ed intimo fino a salire al bridge e poi al ritornello. Questo, infatti, è il degno fulcro di un lavoro completo e ben fatto, e “compie” definitivamente il pezzo, facendolo esplodere con un drop elettronico e festoso.
Se, come si è intuito, lo scheletro musicale del brano è degno di sentiti apprezzamenti, qualche perplessità in più coinvolge il testo, che pur rimanendo in pieno stile Francesca Michielin spiazza su qualche piccolo passaggio che può risultare davvero troppo, troppo retorico e fotografico. “L’àncora diventa ancòra“, “Il ghiaccio a terra di una pescheria” disorganizzano in maniera troppo brusca il flusso tematico del testo, che malgrado i suddetti passaggi si articola in modo disorganico ma valido, anche mediante la valorizzazione vocale di certe parole che si evidenziano distintamente.
L’amore è qui interpretato in più sfumature: da quella più concreta e schietta (“mi fai venire le paranoie quando mi guardi“) si passa a quella poetica ed evocativa dell’inciso, in cui è effettivamente innegabile che “le strade che mi parlano di te” ricordino anche solo in minima parte “il bar dell’indiano profuma di te“, particolare verso di “Vulcano“.
Tipico e ardito, il primo concio di Francesca Michielin non sarà una di quelle hit dirompenti e virali, ma potrebbe preparare al meglio un nuovo capitolo artistico imprevedibile ma fortemente identitario, uno di quelli che i teatri li occupa in ogni posto. Senza contare che, al netto dei fans, è un biglietto da visita stimolante e ambizioso per chi, non aggiornato tempestivamente sulla musica odierna, incontrerà la sua conduzione sul piccolo schermo.
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