Un secolo di voci, musica e storie che hanno fatto grande la radio, tra passato e attualità, davanti e dietro il microfono. A cura di Pio Russo
Benvenuti a “Century Radio”, la rubrica dedicata ai cento anni della radio. In questo spazio esploreremo l’affascinante mondo della radiofonia, non solo attraverso ciò che ascoltiamo, ma anche svelando cosa accade quando i microfoni si spengono. radio censura
Pio Russo racconta l’evoluzione e l’involuzione di un mezzo che ha segnato intere generazioni, portando musica, voci e storie nelle case di tutto il mondo. Dal fascino delle prime trasmissioni fino all’era del digitale, in un viaggio tra passato, presente e futuro della radiofonia.
Century Radio: il fenomeno della censura
Una delle figure fondamentali, anche se ultimamente è l’autoregia ad andare per la maggiore, è il fonico. Oltre al compito di curare la regia, far rispettare i tempi, inserire i brani, contattare gli ospiti, fare cenni di ogni tipo allo speaker di turno, deve anche fare attenzione che chi è in onda eviti di dire cose fuori luogo o parolacce. Gli basta abbassare il cursore o inserire un effetto per evitare magari qualche bella denuncia, una sospensione o anche una semplice lavata di capo.
Se oggi però non ci stupisce la messa in onda di un programma come “Lo zoo di 105” o, in generale una certa libertà di espressione, fino a pochi anni fa non era così facile districarsi tra musica e parole. Facciamo un esempio: chi di noi non ha cantato “La Leggenda del Piave” alle scuole elementari? Ebbene, nel 1926, la censura ordina di modificarne alcuni versi perché ritenuti inaccettabili per il regime fascista.
Già dai suoi primi anni, e precisamente a partire dal 1928, l’EIAR (che poi sarebbe diventata Rai, ricordiamolo sempre), riduce al massimo il passaggio di musica straniera, con particolare avversione verso la musica americana. Da citare, alcuni versi di Carlo Ravasio, pubblicati sul Popolo d’Italia (fondato da Mussolini) il 30 marzo dal seguente tono: «È nefando e ingiurioso per la tradizione e per la stirpe riporre in soffitta violini e mandolini per dare fiato a sassofoni e percuotere timpani secondo barbare melodie che vivono soltanto per le effemeridi della moda. È stupido, ridicolo e antifascista andare in sollucchero per le danze ombellicali di una mulatta o accorrere come babbei ad ogni americanata che ci venga da oltreoceano».
Nell’anno successivo, l’Arma dei Carabinieri, emana alcune circolari con una dettagliata lista di canzoni da censurare, tra cui alcuni inni nazionali come “La Marsigliese”. Anche uno dei più famosi inni fascisti “Faccetta nera” fu soggetta alla censura: i troppi apprezzamenti della “Bella Abissina”, faceva pensare ad una sorta di incoraggiamento verso l’integrazione delle razze. Venne contrapposta anche una canzone intitolata “Faccetta bianca”, ma tale fu ii successo di “Faccetta Nera”, che il regime fu costretto ad inserirla tra i propri inni. L’anno successivo, assume toni grotteschi, quando in radio, e altrove, artisti del calibro di Louis Armstrong e Benny Goodman vengono presentati come Luigi Braccioforte e Beniamino Buonomo.
Sempre nel 1936, quando le 17.30 erano già considerate come seconda serata, ci fu un riavvicinamento verso la musica straniera, in particolare il jazz, tanto che l’EIAR si dota di un proprio quartetto, messo in onda ogni sera alle 20.40. L’idillio però finisce nel 1938, quando il jazz venne bollato ancora come “musica negroide”, venendo bandita. Si torna ad una censura molto severa, ed una delle canzoni più attenzionate in radio è “Un’ora solo ti vorrei” che sembrava rivolgersi in maniera ironica verso il Duce.
Allo scoppio della guerra canzoni demoralizzanti per il popolo e le truppe, e quelle contro gli ideali fascisti furono messe al bando. Eclatante è il caso di “Silenzioso show”, meglio conosciuta come “Abbassa la radio” accusata di essere un invito ad ascoltare Radio Londra (di cui parleremo presto). Il Trio Lescano fu bandito dall’EIAR perchè le tre sorelle, oltre ad avere origini ebree, furono accusate di lanciare messaggi contro il regime.
Dopo la guerra, vennero oscurate le canzoni che facevano espliciti riferimenti alla politica, al sesso e alla chiesa.
Nel 1955, “La pansè” cantata da Renato Carosone, non veniva trasmessa in radio per i contenuti ritenuti ammiccanti, così come Mimmo Modugno dovette sostituire il verso “un attimo d’amore” dalla sua “Vecchio frack”. Ancora Modugno e Carosone banditi dalle radio per “Resta cu’mme” che avrebbe offeso la morale cattolica, molto attenta al valore della verginità messa in dubbio in alcuni versi, e per “Tu vuò fa’ l’americano” per la pubblicità alle sigarette Camel.
Luigi Tenco è stato più volte vittima di ostracismo radiofonico, “Dio è morto” di Francesco Guccini, portata al successo dai Nomadi era ritenuta addirittura pericolosa. Lelio Luttazzi, durante la classifica radiofonica, non poteva neanche pronunciare il titolo. E che dire di Lucio Dalla? La sua “4 marzo 1943”, cantata al Festival di Sanremo, aveva come titolo, in origine, “Gesù Bambino”.
Alcune curiosità: caso molto strano, fu quello di Fabrizio De Andrè, spesso bandito dalla radio Rai, andava regolarmente in onda sulla Radio Vaticana: gli Abba subirono la censura radiofonica, non per il loro testi, ma per le minigonne vertiginose delle due componenti femminili del gruppo. Eppure all’epoca non esisteva la radiovisione.
È davvero strano parlare di censura ai giorni nostri, eppure in un tempo neanche tanto lontano erano bandite anche le trasmissioni di intrattenimento o di musica leggera nei giorni delle festività religiose, o alla vigilia di queste ultime. Paradossalmente oggi vengono infranti molti limiti, mentre prima erano i divieti ad essere esagerati. Come in tutte le cose, basterebbe un po’ di misura
Pio Russo
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