“Dalla A alla Z”: S come Ivana Spagna

Dal debutto ai grandi successi: la vita e la musica dei protagonisti della scena, uno per lettera. Oggi proseguiamo dalla S come Ivana Spagna. A cura di Francesco Costa
La musica è fatta di storie, di viaggi che attraversano generazioni e influenzano il panorama culturale del proprio tempo. “Dalla A alla Z” è la rubrica che ripercorre le carriere degli artisti più iconici della scena italiana e internazionale, raccontando le loro origini, i primi passi, le sfide e i successi che li hanno consacrati. Oggi proseguiamo dalla S, S come Ivana Spagna.
Un percorso che parte dagli esordi e arriva fino ai giorni nostri, tra aneddoti, evoluzioni stilistiche e curiosità che hanno segnato il loro cammino artistico. A cura di Francesco Costa, questa rubrica si propone di esplorare in profondità il talento, la determinazione e l’unicità di ogni singolo artista, analizzando l’impatto che ciascuno ha avuto sulla musica e sul pubblico.
“Dalla A alla Z”: S come Ivana Spagna
Restiamo in Veneto, dopo Rettore, con l’artista della puntata di oggi. Decisa e risoluta come un’ammaestratrice di tigri, ma anche fragile e «imperdonabilmente peccatrice di troppa ingenuità». Non si aspetta mai nulla, dà il massimo e non si lascia deviare dall’intemperanza dei sogni. In questa giostra che è la vita, da quando papà Teodoro la portava ai concorsi con la Bianchina di terza mano fino ai vertici delle classifiche di tutto il mondo, si fa traghettare. Il suo nome inizia con la lettera S, S come Ivana Spagna.
L’atmosfera ovattata, le luci dorate che arrivano dall’alto e il Coro delle Voci Bianche del Teatro Regio di Torino che rende tutto più fiabesco. Non sale su quel palco dal 2008, quando si esibisce con Loredana Bertè sulle note di “Musica e parole” – duetto talmente riuscito che le spinge a incidere insieme anche l’ep “Lola & Angiolina Project” – ma l’emozione è quella delle prime volte. È la serata delle cover del Festival di Sanremo del 2024 e il pubblico è rapito dalla sua voce, che nonostante la tensione, è dritta e lucente come una spada e si unisce armoniosamente a quella di Clara che la invita a cantare “Il cerchio della vita”, pezzo magistrale con cui, dopo aver reso memorabili le nottate dei boomer in discoteca, segna anche la generazione dei millenials cresciuti odiando Scar e amando Simba.
E la mente torna a trent’anni prima, a quel 1994 in cui il destino suona al telefono di Spagna, incarnato nelle vesti di sir Elton John che la sceglie per adattare in italiano la canzone manifesto del film cult “Il re leone”. Soltanto lui riesce a convincerla a cantare nella sua lingua in quello che – escludendo i deludenti inizi dei primi anni ‘70 con pezzi come “È finita la primavera” e “Ari ari” – è un esordio. Il successo è così impattante da spingerla ad abbandonare per un lungo periodo la dance e l’inglese, a favore del pop melodico italiano. È il 1995 quando gareggia per la prima volta a Sanremo e arriva terza con una ballad che svela le sue potenti capacità vocali e diventa presto un classico, “Gente come noi”. Quello di Ivana è uno dei rari casi che vede un artista debuttare come concorrente della kermesse, dopo essersi già esibito come ospite internazionale, fortuna che a lei, tocca nell’89.
La prima parentesi festivaliera vera e propria ce l’ha a quarantuno anni, ma per lei l’età non è più un cruccio, è diventata un vanto. Il suo ultimo album, uscito nel 2019 e introdotto dal reaggeton spagnoleggiante di “Cartagena” – genere che approfondisce già nel 2000 con “Mi amor”, singolo estratto dal disco “Domani” dopo la sanremese “Con il tuo nome” – si chiama infatti come il suo anno di nascita, “1954”. «Il tempo è il mio bicchiere colmo mentre invece il tuo è sempre mezzo vuoto», canta nella ballad pop rock “Nonostante tutto” in cui ammette che il tempo non guarda in faccia a nessuno e la chiave per affrontarlo è non rimanere fermi, è questo che fa negli anni duri della gavetta. Per più di un decennio, Spagna canta con il gruppo Opera Madre (a cui prende parte anche il fratello Giorgio) nelle balere e presta la voce a band famose, ma non si dà per vinta.
È proprio grazie a tutte queste esperienze che, quando esplode la popolarità, ha la maturità necessaria per gestirla. «Una cantante italiana che si chiama Spagna e che canta in inglese non avrà mai successo». A dirlo sono i lungimiranti discografici che non credono in lei e che si saranno certamente strappati i capelli, non dalla gioia ma dal nervoso, quando arriva “Come un raggio di sole” – immagine che torna spesso nelle sue canzoni come in “Colpa del sole”, “Al sole” e “Voglio sdraiarmi al sole” – quel 1986 che le cambia la vita. Ha già più di trent’anni e la metà dei dieci anni più iconici del secolo è stata superata, ma a lei bastano poche settimane e una hit dance che vende qualcosa come due milioni di copie per diventare all’istante la regina indiscussa degli anni ’80: “Easy lady”.
«Mi faccio bionda», la rivelazione la illumina a tre giorni dalla realizzazione della copertina del pezzo della svolta. Nasce così l’iconico look con l’imponente chioma da leonessa (sembra assurdo ma non è una parrucca), la giacca da domatrice del circo e i guanti in pelle come marchio di fabbrica. Esplode il fenomeno Spagna, dapprima in Francia e poi in patria e nel resto del mondo. Anche in Brasile e in Australia, tutti cantano quel ritornello martellante: «’Cause I’m a lady, lady, lady, easy lady». La canzone rimane prima in classifica per due mesi e, alla luce della grintosa performance che regala agli spettatori in visibilio per lei a Verona durante il programma Arena Suzuki del 2023, ancora oggi trasmette la stessa energia.
Ma il boom che ottiene quell’anno non è solo un caso isolato, non è solo una meteora e lo dimostra quando esce il suo secondo pezzo: “Call me”. Un’altra hit strepitosa che vende addirittura più di quella precedente. Si parla della cifra record di tre milioni di copie per un pezzo che entra nella top ten anche negli Usa. Tutto il mondo conosce il suo nome e la italo disco raggiunge un’apice inarrivabile. Ma la vita è un’autoscontro fatto di accelerate liberatorie e urti improvvisi, siamo in estate quando muore papà Teodoro.
Proprio in quella drammatica sera del 1987, come se fosse un ultimo regalo, Ivana vince il Festivalbar con il tormentone “Dance dance dance”. «Perdi proprio chi ami di più e non serviranno le lacrime a riportarli a noi quaggiù», canta nella toccante dedica “Davanti agli occhi miei”, contenuta in uno dei suoi dischi più importanti, “Siamo in due”. Tuttavia, prima di passare all’italiano, c’è una significativa lista di successi “Fuori dal normale” in lingua inglese, alla faccia dei discografici. Dopo il primo album che fa il botto, “Dedicated to the Moon”, ne pubblica presto un altro all’insegna dei ritmi scatenati che continuano a darle soddisfazioni. Il disco è sempre un omaggio al genitore scomparso, la sua fonte primaria di energia e infatti si chiama “You are my energy”, tra i singoli estratti c’è la hit “Every girl and boy”.
Raf si chiede preoccupato cosa resterà di questi anni ottanta, sicuramente Spagna che affronta il nuovo periodo negli Stati Uniti. Si lascia contagiare dall’R&B, ma proprio quando c’è da sponsorizzare l’lp “No way out” le manca l’aria. La nostalgia di casa comincia a farsi sentire e abbandona tutto per tornare in Italia. È solo questione di tempo, l’album dai suoni eurodance pubblicato nel ’93 si chiama proprio “Matter of time”, prima che assecondi il richiamo della melodia più popolare. Dopo aver fatto ballare in inglese, ora tocca le corde più profonde dell’anima in italiano.
Sono più nel solco della musica leggera dischi come “Lupi solitari”, anticipato dallo struggente racconto della fine di un’amore di “E io penso a te” con cui partecipa a Sanremo, e “Indivisibili”. Eppure, la sua anima ballerina e internazionale non la abbandona mai e torna a più riprese come nei singoli “Never say you love me” e “Do it with style” dall’album “Woman” del 2002 e nella collaborazione con Ronnie Jones a cui dà vita dieci anni dopo nell’album “Four”. Ancora una volta il numero quattro che porta sfortuna per i cinesi, ma non per lei che nasce a metà dicembre del ’54.
Sarà per questo che, oltre ai pezzi su cui scatenarsi in estate come “Sarà bellissimo” con i Legno dell’anno scorso, incide un intero disco di canzoni natalizie, lei che ricorda le cene di Natale con il cibo portato dai parenti perché in famiglia non c’erano soldi. «Nei nostri cuori, dentro noi, vive un bambino che non cresce mai», racconta in “Un natale che non finirà”. Sempre invernale è anche la sanremese “Noi non possiamo cambiare” del 2006 che parla di sguardi di ghiaccio, dall’album “Diario di bordo”.
Chissà che cosa scriverebbe Ivana Spagna in un diario. Forse dei timidi sogni di ragazzina sussurrati al vento, di questa strada sterrata che troppe volte impaurita ha percorso, degli amori finiti che si ricordano come si ricorda un tramonto. Scriverebbe dei gatti che l’hanno salvata dai pensieri più cupi, dei fantasmi che ogni tanto la vanno a trovare, del timore di rimanere sola, delle lacrime e dei sorrisi. Di questa giostra che va, questa vita che gira insieme a noi e non si ferma mai perché anche quando sembra volgere al termine, «rinascerà in un fiore che fine non ha».