A tu per tu con il cantautore milanese, in occasione della sua partecipazione a “Buon compleanno Mimì“
Una carriera lunga oltre trent’anni, tra cui annoveriamo due partecipazioni al Festival di Sanremo (nel 1990 con “Noi che non diciamo mai mai” e nel 1991 con “Sorelle d’Italia”), questo e molto altro ancora è il percorso di Dario Gay, artista che vanta prestigiose collaborazioni con Rita Pavone, Enrico Ruggeri e Milva. In occasione della sua ospitata nel corso della settima edizione di “Buon compleanno Mimì“, abbiamo scambiato quattro piacevoli chiacchiere con il cantautore milanese.
Ciao Dario, quali sono le caratteristiche di Mia Martini che più ti colpiscono e hanno contribuito al tuo percorso?
«Avendola conosciuta ed essendo stato suo amico, sicuramente posso dirti che le caratteristiche sono molteplici. La sua duttilità, la sua coloritura, il dramma che aveva nella voce, la capacità di trasmettere la propria sofferenza e il proprio dolore agli altri, oltre che la gioia, ma sempre con una malinconia di fondo».
Dal punto di vista umano, invece, quale ricordo hai di Mimì?
«Molti la dipingono come un personaggio triste e cupo, in realtà io la ricordo come una donna divertente e autoironica, aveva una risata contagiosa, in più era estremamente intelligente, brillante, con un carattere molto forte, era una che non le mandava a dire, era molto diretta nel prendere posizioni. Come persona la ricordo veramente piacevole e gioiosa».
Con quale brano hai scelto di omaggiarla?
«Ho scelto di cantare una canzone non canzone che si chiama “Amori”, musicata da Armando Trovajoli con testo composto della stessa Mimì. Un pezzo che nasce come colonna sonora di un film che doveva restare solo strumentale, di conseguenza la struttura è un po’ anomala. Una sfida che ho accettato, proposta da Vincenzo Adriani, sopravvalutandomi probabilmente (ride, ndr)».
Quale eredità credi abbia lasciato Mia Martini alle generazioni successive?
«Beh, sicuramente la disciplina, per arrivare a certi livelli ci vuole sicuramente un rigore, un grande lavoro, un notevole sacrificio, indubbiamente lei ha sacrificato tanto per la musica. Poi, sai, l’eredità bisogna saperla anche prendere e farne tesoro, perché ha lasciato davvero un grande patrimonio di arte e di bellezza».
Stai lavorando a nuovi progetti?
«Discograficamente mi definirei un po’ discontinuo (sorride, ndr), nel senso che negli ultimi dieci anni ho dovuto dare precedenza alla mia vita privata per ragioni importanti, nonostante questo sono riuscito a pubblicare degli album e a fare concerti. In questo momento sono pronto a ripartire di nuovo, ci sono in ballo diversi progetti, tra cui uno teatrale e due musicali, sto lavorando tanto in studio».
Per concludere, qual è l’aspetto che più ti manca di Mimì?
«Mi mancano le lunghe telefonate che ci facevamo, ci sentivamo molto al telefono, magari ci vedevamo meno perché abitavamo lontani. Lei mi raccontava spesso i sogni che faceva di notte, perché era molto attenta al significato e all’interpretazione. In più mi manca aver potuto cantare con lei, perché ho realizzato un disco di duetti dopo che ci ha lasciato, lei è stata la grande assente di quel progetto».
Nico Donvito
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