A tu per tu con il cantautore ligure in uscita dal 5 novembre con il suo nuovo album live “Leonesse”
Si intitola “Leonesse” il primo disco dal vivo di Emanuele Dabbono, registrato in occasione del concerto a La Claque di Genova lo scorso 21 aprile. Prodotto insieme a Raffaele Abbate per l’etichetta OrangeHomeRecords, il progetto contiene alcuni dei brani più rappresentativi del repertorio dell’artista ligure, noto per aver co-scritto alcuni degli singoli di maggior successo di Tiziano Ferro (“Incanto”, “Lento/Veloce”, “Valore assoluto“ e “Il conforto“ che sarà interpretata da Giorgia nel suo nuovo disco di cover “Pop Heart”). Quattordici i brani in scaletta: “Piano”, “Le onde”, “E tu non ti ricordi”, “Capo di buona speranza”, “Siberia”, “Scritto sulla pelle”, “Treno per il sud”, “Pacifico”, “Le cose che sbaglio”, “Mio padre”, “Alla fine”, “Mostar”, “Corpi” e “Ci troveranno qui”.
Ciao Emanuele, partiamo da “Leonesse”, il tuo nuovo album live che comprende quattordici brani completamente riarrangiati, tanto per cominciare ti chiedo: perché un album dal vivo e non in studio?
«Perché io nasco live, sono vivo e vegeto, le mie canzoni riescono meglio dal vivo in maniera spontanea, con la mia band non proviamo mai e ogni nostro concerto risulta diverso, catturando l’intensità di un determinato momento. Alla persone piace venire a vedere questo tipo di spettacoli perché comprendono di avere un ruolo fondamentale, siamo in otto e loro rappresentano il nono elemento sul palco, fanno parte delle canzoni quanto noi. Si tratta di veri e propri happening, dove si sa quando si comincia ma non quando si finisce e, soprattutto, non si sa in che direzione si sta andando. Da un concerto non mi aspetto le stesse cose che ci sono in un disco, ma una sorta di reazione chimica umana che rende ogni singolo pezzo diverso, quasi inedito».
Anche se la tua carriera è cominciata ufficialmente nel ’97 con la partecipazione al Festival di Castrocaro, quest’anno ricorre il decennale della tua partecipazione alla prima storica edizione di X Factor, il tuo personale bilancio di questo percorso?
«Beh, è super positivo (ride, ndr), anche se il successo l’ho ottenuto praticamente solo tre anni fa, dopo diciassette anni di bocconi amari, di chitarre vendute per arrivare a fine mese e di tante porte in faccia. Poi, di colpo, San Tiziano Ferro da Latina sceglie una mia canzone e da lì cambia tutto, arrivano altri brani che mi concedono la libertà di realizzare il resto e poter finalmente portare la mia musica all’attenzione di più persone, fregandomene delle mode e dei feturing con i rapper di grido del momento. Non vorrei sembrare quello che snobba le cose degli altri, anzi, trovo che ci siano in giro pezzi bellissimi, mi limito soltanto a fare ciò che sento e che mi piace, senza preoccuparmi di nient’altro».
Ripensando all’Emanuele degli esordi, in cosa ti senti cambiato e in cosa credi di essere rimasto uguale?
«Mi sento al 90% lo stesso ingenuo e naif ragazzo di sempre, penso di essere cambiato solo nell’aver acquisito maggiore consapevolezza, considera che questo in realtà è il mio settimo album. Prima di “Totem” realizzavo i dischi in maniera diversa, sempre con la stessa passione ma mi sentivo un po’ un Don Chisciotte che lottava contro i mulini a vento, perché le mie canzoni trattavano temi sociali, in maniera apparentemente snob, mi riferisco a pezzi meno noti come “Ho ucciso Caino” o “Disertore”. Sai chi mi ha fatto cambiare idea?».
Spara!
«Tiziano Ferro. Un giorno parlando mi ha illuminato suggerendomi di puntare più sulla tenerezza, perché mostrare le proprie fragilità attraverso i sentimenti è sinonimo di grande forza e determinazione. Vengo dal rock, dall’immaginario del “duro, sporco e cattivo”, che è esattamente il contrario di come sono io realmente. Lui mi ha suggerito di mettere me stesso nelle canzoni, di parlare del mio quotidiano e delle cose più semplici del mondo, come io che porto a scuola le mie figlie e mi dimentico di mettere qualcosa nello zaino. Il pubblico deve immedesimarsi in quello che dici, Tiziano mi ha fatto capire che non bisogna vergognarsi di scrivere una canzone d’amore, così è nata “Incanto” e poi tutte le altre, mi sono liberato di una parte dolce che non pensavo di avere. Anche le mie due bambine mi hanno insegnato a descrivere le cose con un linguaggio molto più semplice, loro sono le mie due leonesse».
E’ alle tue due bambine che si ispira il titolo del disco?
«Certamente soprattutto per loro due, poi perché le canzoni che ho scelto sono quelle che mi sono rimaste addosso con il passare del tempo, materne e feroci un po’ come le leonesse, che nella giungla sono le vere dominatrici, delle figure un po’ nell’ombra ma che in realtà hanno un ruolo fondamentale, un po’ come un centrocampista che non fa goal bensì assist. Nel brano “Siberia”, tratto dal mio precedente disco: “Se fossi nato donna sarei stato più intelligente come quelle leonesse che ho visto lottare”, un frase che sintetizza tutto questo concetto».
A proposito sempre di bilanci, cosa hai voluto lasciare fuori e cosa hai voluto portare con te in questo disco?
«Innanzitutto ho voluto lasciare fuori le canzoni che ho fatto da autore, anche se sono tra le più conosciute, ma desideravo far conoscere il meglio di me, far scoprire i brani che non sono arrivati al grande pubblico. La scelta è ricaduta sugli episodi più significativi della mia carriera o quelli più sofferti, penso a “Mio padre”, che considero un po’ la bandiera dell’intero album, perché racconta tutto di me, anche con l’introduzione in cui spiego con il parlato il significato che ha per me questo pezzo».
Al tuo impegno discografico hai contrapposto una prolifica attività da autore, che ti ha consentito di scrivere insieme ad uno dei cantanti italiani più importanti degli ultimi anni: Tiziano Ferro. Dimmi qualcosa di diverso su di lui, una caratteristica che, secondo te, viene fuori meno rispetto ad altre..
«Che è una persona divertentissima, solare e piena di interessi, nell’immaginario collettivo può sembrare estremamente profondo. Lo è, ma è anche molto spassoso, generoso e aperto a mille collaborazioni. E’ meraviglioso lavorare con lui perché non c’è uno schema dettato dalla moda, anzi cerca di essere sempre in controtendenza, proponendo qualcosa di innovativo, non sai mai cosa ti puoi aspettare dal suo prossimo disco e questo è molto stimolante».
Il direttore mi ha chiesto di farti una domanda, per questioni di gradi non posso di certo esimermi. Ci sarai nel prossimo disco di Tiziano attualmente in lavorazione?
«Guarda, “Leonesse” è un disco a cui tengo molto… (ride, ndr), no dai, ti rispondo con grande onestà: ho un contratto con lui e abbiamo scritto un sacco di cose, ma ti dico la verità, il disco esce il prossimo anno e la tracklist non esiste ancora, sta cominciando a provinare dei pezzi, per cui.. mi faccio il segno della croce e tocco ferro, sperando di poter proseguire questo prolifico sodalizio, anche se non mi posso lamentare perché tutti i brani che abbiamo fatto insieme sono stati dei singoli di successo».
Nel nuovo disco di Giorgia, intitolato “Pop Heart”, sarà inserita una nuova versione del brano in duetto con Tiziano. Hai già avuto il piacere di sentirla?
«Sì, assolutamente sì. Sono felicissimo perchè Giorgia, secondo me, è attualmente la voce italiana più bella, siamo ai livelli di Mina. Mi inorgoglisce questa sua scelta, anche perché nel disco sono presenti autentici capolavori degli ultimi trent’anni, “Il conforto” è stata pubblicata due anni fa, se ci pensi è incredibile ritrovarla insieme ad altre cover di brani che possiamo considerare storici per la musica internazionale».
Altri artisti con i quali ti piacerebbe collaborare?
«La sfilza è davvero lunghissima, per vicinanza e affinità artistica mi piacerebbe lavorare con Niccolò Fabi, come sarebbe bellissimo poter comporre qualcosa di inedito su misura per Giorgia, mi piacerebbe davvero tantissimo».
Come valuti il mercato e il livello generale dell’attuale settore discografico?
«Quanto tempo ho per rispondere? (ride, ndr) E’ difficile, negli ultimi anni c’è stata questa sorta di presa di posizione del rap e poi della trap che, se vogliamo, ha anche prodotto delle cose belle, perché ha riportato l’attenzione sui testi, almeno inizialmente. Ultimamente mi sta preoccupando la deriva che sta prendendo con i ragazzini, la poetica degli shottini, ma sono molto ottimista guarda, perché penso che la canzone non morirà mai, il pop deve soltanto tornare a rialzare l’asticella come un tempo».
Qual è la lezione più grande che hai appreso in tutti questi anni di attività?
«Che bisogna sempre dire la verità, dal punto di vista musicale fingere non ripaga mai, l’insegnamento che ti dicevo prima, cercare di essere sempre se stessi, nella maniera più spontanea e autentica, privilegiando la parte più vera e semplice, fotografando il più possibile la nostra quotidianità».
Che è un po’ quello che hai fatto inizialmente con “Ci troveranno qui”, brano che amo moltissimo. Ci racconti com’è nato esattamente?
«Si, è nato con grande naturalezza, racconta di quello che ho vissuto e da dove provengo. Ho vissuto i miei primi vent’anni a Genova, poi la mia famiglia si è trasferita in quella che io chiamo la west coast ligure (ride, ndr) ossia Varazze. Alla fine ci siamo spostati di una cinquantina di chilometri, ma all’epoca era diverso, senza social o smartphone mi sono ritrovato a perdere tutti i miei amici. Quel pezzo l’ho scritto la sera stessa in cui sono andato via dai posti che hanno segnato la mia infanzia e la mia adolescenza, quello che canto lì dentro è tutto vero, mi fa piacere che sia diventato per molti una sorta di manifesto della provincia italiana, è bello sapere che quella mia emozione per qualcuno ha significato qualcosa».
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi e/o sogni nel cassetto?
«Sogni tanti, tra cui una piccola novità per quanto mi riguarda, ho scritto un soggetto per un cartone animato, sono vent’anni che ci lavoro e, chissà, che in futuro non riesca a realizzarlo. Mi affascina molto questo mondo, mi piacerebbe un giorno cimentarmi nel doppiaggio, anche di un personaggio secondario di un cartoon. Per tornare fedele a ciò che ho realizzato fino ad ora, invece, sarei lieto un giorno di poter calcare il palco dell’Ariston di Sanremo, perché potrei andare a dormire a casa e non avrei problemi di alloggio (ride, ndr). Scherzi a parte, si tratta di una delle manifestazioni più importanti al mondo, ma vorrei andarci solo a precise condizioni, perché nella mia carriera non sono mai sceso a compromessi, in passato ho rifiutato un contratto con una multinazionale proprio perché non amo le imposizioni, volevano farmi fare un disco di cover mentre io ci tenevo a presentarmi con la mia musica subito dopo il talent».
Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?
«Più di uno, innanzitutto di riprendere in mano gli strumenti, di non lasciare le dita soltanto sugli smartphone o sui pc, ma di suonare e studiare il più possibile. Ciò che mi piacerebbe arrivasse ai giovani di oggi è che se ci credono veramente ce la possono davvero fare, anche se sono figli di un operaio e di una casalinga, proprio come nel mio caso».
Nico Donvito
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