Francesco Gabbani: “Sanremo? Un posto felice” – INTERVISTA
A tu per tu con Francesco Gabbani, in vista della sua partecipazione a Sanremo 2025 con “Viva la vita”. La nostra intervista al cantautore che torna al Festival per la quarta volta
Torna in Riviera per la quarta volta Francesco Gabbani, lo fa con la consapevolezza di ben due vittorie consecutive alle spalle, tra le Nuove Proposte nel 2016 con “Amen” e tra i big nel 2017 con “Occidentali’s karma”. L’ultimo Sanremo l’ha vissuto nel 2020 con “Viceversa” e cinque anni dopo torna con “Viva la vita”, una canzone che tira fuori tutto il suo mondo introspettivo-emotivo.
Il 21 febbraio 2025, una settimana dopo il Festival, Francesco darà alle stampe “Dalla tua parte”, il suo sesto album in studio, per poi riprendere il suo tour con le date in programma già da marzo. A proposito di Sanremo e di “Viva la vita”, ecco cosa ci ha raccontato.
Francesco Gabbani presenta “Viva la vita”, l’intervista
“Viva la vita” è il titolo del brano che hai scelto di presentare per questo tuo quarto Festival. Che sapore hanno per te questo pezzo e questo ritorno?
«Beh, hanno tutti e due un bel sapore, nel senso che è stata proprio la canzone stessa, una volta composta, che mi ha fatto pensare al Festival. Me la sono trovata davanti e ho detto: “caspita, sento che questa canzone possa giustificare un mio eventuale ritorno”. Così l’ho presentata e sono contento ovviamente che sia piaciuta a Carlo Conti, essendo lui una sorta di mio padrino artistico, dato che ha creduto in me in tempi non sospetti. Non era affatto scontato, perché si tratta di qualcosa di diverso da “Amen” e da “Occidentali’s karma” che avevano riscontrato il suo gusto. Quindi sono molto felice, perché al Festival mi legano ricordi bellissimi e Sanremo lo considero un posto felice».
Torni con un brano intimo dal ritornello corale, con un bel crescendo soprattutto sul finale, molto emotivo. Ci sento in qualche modo un legame di affinità con “Spazio tempo”. Dico un’eresia?
«Sicuramente hanno una qualche parentela, intanto perché intanto sono definibili come ballad, un contesto diciamo di per sé più emozionale rispetto a un uptempo. E poi condividono a livello tematico un provare a leggere e scavare nei meandri di quello che è il significato della nostra esistenza. “Spazio tempo” lo fa in un modo probabilmente più filosofico, mente “Viva la vita” lo fa in un modo, se vogliamo, più vicino alla cultura del sentire. Nel senso che il suggerimento che da la canzone, in primis a me stesso, spero che arrivi alle persone, perché ha a che fare con la serenità dell’accettazione, del fatto che certe cose non le abbiamo mai sapute, non le sappiamo e forse non le sapremo mai. Davanti alle grandi domande della nostra esistenza, non possiamo far altro che vivere nel modo che a noi risulta più congeniale, a volte prendendo le cose per come ci arrivano e per quello che sono».
Il tuo approccio al Festival è sempre stato autentico, semplice e destrutturato. Questa volta credo che lo sarà ancora di più, perché non ci saranno balletti, non ci saranno altri mammiferi con te sul palco, non ci sarà nemmeno il fischiettio che, in qualche modo, può distrarre. Ci sarete: tu, l’orchestra è una bella canzone. No distrazioni, quindi?
«Sì, è proprio così. Ho intenzione di partecipare nel modo il più possibile genuino, mettendo al centro l’energia e il significato di questa canzone, perché credo che ben rappresenti il modo in cui ho capito di volermi rapportare alla vita. Viviamo in un contesto culturale nella quale si spinge molto sull’apparire e sulla costruzione, cercando la stravaganza a tutti i costi. Credo, invece, ci sia bisogno di semplicità, di un uso più massiccio della semplicità».
Per concludere, ti va di condividere con noi un ricordo che hai del Festival? Non delle tue partecipazioni, ma di quando da bambino sognavi guardando Sanremo…
«Il mio primo ricordo del Festival è molto intenso, risale al 1987, io avevo 4 anni e mezzo. Credo sia stata la prima volta in cui ho avuto la percezione di aver capito cos’era Sanremo e di averlo vissuto perché ero innamorato di una canzone di Sergio Caputo, che si intitolava “Il Garibaldi innamorato”. Conservo questo ricordo di me e mio nonno, in salotto, mentre guardavamo quel Festival. In quel preciso momento, dentro di me, ho piantato il semino della speranza che, prima o poi, sarei entrato in quell’acquario che stavamo osservando. E la cosa più emozionante è che, tutte le volte che sono andato a Sanremo, poco prima di salire sul palco, l’ultimo pensiero è andato a questo ricordo. È un po’ come se pensassi: ora esco e di là dalla telecamera ci siamo io e mio nonno che guardiamo il Festival dal salotto».