A tu per tu con il cantautore napoletano, in uscita con il suo nuovo lavoro di inediti intitolato “Noi due“
E’ un Gigi D’Alessio in splendida forma quello che abbiamo incontrato in occasione della presentazione di “Noi due“, la sua nuova fatica discografica disponibile nei negozi e nei digital store a partire dal 18 ottobre per Sony Music. Anticipato dai singoli “Quanto amore si dà” e “Domani vedrai“, l’album è composto da undici brani inediti, tra cui spiccano collaborazioni e duetti inaspettati (Fiorella Mannoia, Giusy Ferreri, Guè Pequeno, Emis Killa e Luchè), più la rivisitazione di “Non dirgli mai” realizzata con la London Symphony Orchestra, a vent’anni dal debutto sul palco di Sanremo 2000, esperienza che lo ha consacrato a livello nazional popolare.
Ciao Gigi, partiamo da “Noi due”. A proposito del titolo del disco hai dichiarato di non avere una doppia personalità, di non avere due facce, con la tua musica sei sempre stato sincero e coerente. Al tempo stesso, questo album mette in mostra due anime, quali?
«All’interno di questo lavoro ci sono: l’anima napoletana, perché ritengo sia una fortuna nascere a Napoli, soprattutto perché la napoletanità e la tipica melodia di cui tutto il mondo dispone, per me rappresentano un grande tesoro da cui attingere; ovviamente poi c’è l’anima più pop, quella più “italiana”. Sono questi i due aspetti che ho voluto unire in questo disco, partendo sempre dalle canzoni, che ho voluto vestire e cucire su misura. Il risultato che ne è venuto fuori è un disco di undici tracce, ognuna arrangiata in maniera diversa».
Quindi, se ti chiedessi a quale tuo album precedente si avvicina di più e a quale si allontana maggiormente?
«Guarda, onestamente non saprei. Quando si lancia un nuovo lavoro si dice sempre “questo è l’album della maturità”, ogni disco descrive tutto quello che ho vissuto nel momento della lavorazione ed è normale che “Ogni scarrafone è bello a mamma soja”, come cantava il grande Pino Daniele. Per me questo è il mio primo album, il mio primo giorno di vita».
Tante e diverse le collaborazioni, come convivono all’interno dello stesso lavoro?
«Ho voluto far entrare loro nel mio mondo, io non sarei credibile se mi mettessi a fare il loro genere. Trovo sia bella questa commistione, cercare di realizzare collaborazioni diverse, come accade in questo album, da Fiorella Mannoia a Giusy Ferreri, passando per alcune leve della nuova generazione come Gue Pequenò, Emis Killa e Luchè».
“L’ammore” è il titolo dello splendido duetto realizzato come Fiorella Mannoia, com’è nato?
«Da una sua dichiarazione, una volta lessi una sua intervista che diceva: “ho sempre cantato i grandi cantautori, ma se mi ponesse una canzone Gigi D’Alessio la canterei”. Allora l’ho presa come una sorta di sfida, quando gliel’ho fatta sentire si è commossa, così le ho chiesto di cantarla insieme ed è nata “L’ammore”».
Se da una parte il pubblico non ti ha fatto mai mancare il proprio sostegno, ricordiamo che hai venduto ben 26 milioni di copie nel mondo (in media un milione di dischi all’anno), dall’altra parte c’è stata una sorta di diffidenza nei tuoi confronti. Far sentire la voce di Fiorella che canta insieme a te questo pezzo meraviglioso, è un bel sassolino che ti sei tolto dalla scarpa?
«C’è sempre stato pregiudizio nei miei confronti, inutile che ce la raccontiamo diversamente, sin dal mio esordio a Sanremo con “Non dirgli mai”, ricordo che il direttore artistico voleva che cambiassi l’unica frase in napoletano presente, mentre adesso mi chiedono: “Gigi, perché non canti di più in napoletano?”. Piano piano qualcosa è cambiato, grazie anche ad artisti giovani come Liberato, Geolier e lo stesso Luchè, sono riusciti a dare più forza alla nostra lingua napoletana. La musica è bella perché accontenta i gusti di tutti, credo che questa sia un preclusione tipica italiana, ho avuto la fortuna di girare undici volte il mondo e, vi assicuro, all’estero non la pensano così, c’è molta più apertura».
Rispetto ai tuoi esordi, quali sono le principali differenze che noti nel modo di concepire la musica?
«E’ cambiato il modo di comporre, basta iscriversi ad un sito online, pagare un abbonamento per avere a disposizione una serie di suoni già preconfezionati. Oggi le canzoni si compongono, un po’ come andare all’Ikea e comprare una cucina. Quello che ho voluto fare in questo disco è l’esatto opposto, partire dalla struttura delle canzoni mettendogli addosso l’abito più giusto, utilizzando anche sonorità più moderne, perché trovo sia giusto. C’è tanto lavoro dietro, nella musica non ci si può improvvisare, in ogni mio disco ci sono tutti gli anni di studio in conservatorio, perché non è che mi sono alzato una mattina e mi sono messo a suonare, nella mia vita ho fatto molti sacrifici».
Tra le tracce del disco compare una nuova versione di “Non dirgli mai” con la London Symphony Orchestra, vent’anni dopo il debutto sul palco dell’Ariston di Sanremo. Quanto sei legato al Festival? Ci torneresti?
«Sanremo rimane la manifestazione più importante per quanto riguarda la musica italiana, perché ci sono nato, sono diventato “italiano” grazie a Sanremo. Molti colleghi snobbano la gara, per me il Festival va bene in qualsiasi forma, sia come cantante che come autore e uno come superospite nel 2007. Per ora ho i miei progetti, ad oggi non ho in mente di candidarmi per il prossimo anno, non c’è nella mia testa questo tipo di pensiero, ho tre puntate su Rai Uno che condividerò con Vanessa Incontrada, avrò modo di far conoscere il mio disco, un tour già programmato e diversi altri impegni, per adesso non è un obiettivo vicino nel tempo. Certo, Sanremo quando chiama… e poi l’anno prossimo il Festival compie settant’anni, almeno un mazzo di fiori glielo devo mandare!».
Nico Donvito
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