venerdì 22 Novembre 2024

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Giovanni Truppi tra poesia, civiltà e anima – Recensione concerto

Il racconto dello spettacolo milanese andato in scena nell’incantevole cornice del Castello Sforzesco

Positività è il leitmotiv del concerto di Giovanni Truppi andato in scena lo scorso 21 luglio nel corso della settima edizione della rassegna Estate Sforzesca, un contenitore di eventi volto ad intrattenere il pubblico milanese per tutta la bella stagione, in programma dal 7 giugno al 25 agosto. Il cantautore napoletano (qui la nostra recente intervista) ha dato prova della propria versatile attitudine artistica, destreggiandosi tra canto, pianoforte e chitarra, davanti ad un pubblico di oltre cinquecento persone più un numero non precisato, ma considerevole, di zanzare. Quello andato in scena nel Cortile delle Armi del Castello Sforzesco è stato un concerto ricco e ben strutturato, egregiamente introdotto dall’apertura affidata all’elegante Ylenia Lucisano, altra artista dotata di estremo talento.

Fresco vincitore del premio MEI “PIMI 2019” come Miglior Artista Indipendente dell’Anno, Giovanni Truppi porta sul palco il suo animo introspettivo ed eclettico, in modo pacato e garbato, esponendo in maniera critica, a volte anche in chiave ironica, la propria visione del mondo che lo circonda, senza mai puntare il dito, con il tatto e la saggezza tipiche di un buon osservatore. La scaletta si apre con “L’unica oltre l’amore”, per poi proseguire con “Borghesia”, “Conoscersi in una situazione di difficoltà”, “Quando ridi”, “I miei primi sei mesi da rockstar”, “Le elezioni politiche del 2018”, “Adamo”“‘Mia”, tracce contenute all’interno del suo ultimo disco “Poesia e civiltà” pubblicato lo scorso 22 marzo, per poi proseguire a ritroso nel tempo con canzoni tratte dai suoi precedenti lavori, come “Il mondo è come te lo metti in testa”, “La domenica”, “Stai andando bene Giovanni”, “Lettera a Papa Francesco I”, “Ti voglio bene Sabino”, “Superman”. “Amici nello spazio”“Pirati”.

Nella parte finale dello spettacolo, spazio ad altri pezzi del suo ultimo album come “Ragazzi”, “Ancient society” e “Due segreti”, per poi concludere in bellezza con tre brani che, nel giro di poco tempo, sono diventati degli autentici capisaldi del suo repertorio, vale a dire “Nessuno”, “Tutto l’universo”“Scomparire”. Non si ferma in superficie Giovanni Truppi, scava in profondità nella sensibilità dell’ascoltatore senza turbarlo, angosciarlo o lasciarlo in balia di sensazioni dolorose, riuscendo nel difficile compito di emozionare in maniera positiva. Parole di peso ma non pesanti, in grado di avvicinare e accomunare sia il parere della critica che del pubblico visibilmente colpito e nobilitato da una narrazione unica nel suo genere. Se proprio dobbiamo associarlo a qualcuno, mi ha evocato e suggerito l’energia del primissimo Edoardo Bennato, pur non ricordando né lui né nessun artista in particolare.

Ad accompagnarlo sul palco cinque musicisti di tutto rispetto: Paolo Mongardi alla batteria, Duilio Galeotto al pianoforte, Giovanni Pallotti al basso, Daniele Fiaschi alla chitarra e Nicoletta Nardi ai cori e alle tastiere. Il “Poesia e civiltà Tour” è uno spettacolo da vedere e da consigliare agli amici, quelli veri, quelli a cui vuoi bene davvero, perché rappresenta un interrail di stati d’animo diversi, a tratti contrastanti, che ti avvolgono e ti coccolano, come sfogliare un album di famiglia fatto di brani che ripercorrono fotogrammi di vita vissuta. Un vero concerto fatto di musica suonata, di belle canzoni e nient’altro, perché non contano un c***o le immagini, i video, le coreografie, i ballerini e il circo equestre che spesso fanno da contorno ad un live. Senz’altro stiamo parlando di un artista che dal vivo rende molto di più che in studio, proprio perché concede largo spazio alla comunicazione, incentrando tutto sul contenuto, come qualsivoglia abile oratore musicale che si è fatto le ossa nei locali e nei club della scena underground.

Il merito di Giovanni Truppi è quello di essere riuscito a restituire un po’ di freschezza al vecchio cantautorato, senza stravolgerlo rifugiandosi in una poetica surreale e meno a contatto con la realtà, quella che i ben informati oggi definiscono “indie”. La sua musica non è classificabile, etichettabile e, soprattutto, collocabile nel cestino delle offerte del supermercato, perché non ha nulla a che fare con il concetto consumistico dell’usa e getta, chi si concede del tempo per ascoltarlo dal vivo non rimane deluso, anzi ne resta irrimediabilmente affascinato, zanzare comprese. La sua teatralità e la sua mimica mi hanno toccato nel profondo, a tratti commosso, a tratti fatto riflettere, a tratti frenato, a tratti spronato, catapultandomi in una dimensione di totale pace e serenità, un senso di benessere difficile da descrivere a parole… e, quando questo accade, vuol dire che la musica ha compiuto ancora una volta il suo prodigioso dovere.

© foto di Antonio Agostinelli

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.