L’analisi dell’ultimo passaggio sanremese della cantante
Essere rappresentativi del proprio tempo è una delle aspirazioni fondamentali per ogni artista che ha il desiderio di diffondere la propria arte. Lo è stato indubbiamente anche per una Giusy Ferreri che, sulla propria voce, ha fondato, in quasi quindici anni di carriera, un repertorio fortemente legato alla logica del tempo. Spesso retrò, altre volte estremamente contemporanea e futurista, la voce dell’interprete di brani cult come ‘Non ti scordar mai di me’ e ‘Amore e capoeira’ è spesso risultata un veicolo perfetto per raccontare mode, gusti e periodi musicali pur rimanendo sempre riconoscibile e fedele a sé stessa. La Miele che, invece, Giusy Ferreri ha scelto di presentare al Festival di Sanremo 2022 vuole, forse, provare ad astrarsi per la prima volta dal tempo proponendosi come nuova.
Ambientazioni retrò nei suoni orchestrali così nostalgici ma scrittura contemporanea, fresca e orecchiabile. Sono questi gli elementi portanti di ‘Miele’ anche grazie ad un team collaudato di autori che dell’attualità hanno fatto il proprio mestiere. Le penne di Federica Abbate, Takagi, Ketra e Davide Petrella hanno spesso saputo indossare le vesti della spendibilità nella dimensione del presente eppure qui hanno scelto essi stessi di provare a guardarsi da fuori. Lo stesso ha fatto Giusy Ferreri facendo della sua ‘Miele’ una canzone senza tempo. Non per forza nell’accezione dell’eternità che il pubblico potrà decidere se riservarle o meno. Piuttosto nell’idea che si tratti di un brano scollegato da una precisa temporalità a cui ricondurne la genesi ed il gusto.
Su di un arpeggio di chitarra a cui si accompagna l’intera orchestrazione la voce dell’interprete ricorda di “dove tu mi hai voluto bene, dove io ti ho voluto bene” tratteggiando i contorni di un amore che “non se ne va: vola via ma poi torna da te”. Ed è proprio l’amore a sposare quell’idea di senza tempo che dipinge lo spirito dell’intera canzone. Non è un caso che del sentimento si voglia tratteggiare i contorni di un qualcosa condannato a non finire. Anche quando pare giunto alla sua naturale conclusione “spero ti porti da me”.
In quest’ambientazione retrò nelle sonorità e nel cantato Giusy Ferreri s’inserisce con la sua abituale potenza timbrica facendo di ‘Miele’ una nuova prova del suo talento nel confrontarsi con idee musicali diverse eppure sempre funzionali. Il tormentone che spesso la sua voce ha avuto la fortuna di far proprio qui viene rielaborato per dar forma ad una canzone più delicata ma non meno martellante. Un canto che, seppur retrò, si fa canticchiare con facilità. Proprio come uno di quei motivetti anni ’50 che le donne del sud fischiettavano tra i balconi ed il bucato. L’ennesima testimonianza di come una voce potente e riconoscibile possa indossare abiti diversi rimanendo, comunque, sempre al centro del proprio cortometraggio.
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Ilario Luisetto
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