giovedì 21 Novembre 2024

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Louis Armstrong, Pippo Baudo e la querelle a Sanremo 1968: la vera storia della vicenda

Dall’incredibile ingaggio alla presunta querelle con Pippo Baudo: tutti i segreti del suo approdo in Riviera

Gli spot ci sono già, gli spoiler del palco anche, le radio sono in fermento e i social sono pronti a far schizzare gli hashtag alle stelle: Sanremo 2021 è nell’aria. Ci apprestiamo ad attraversare quei giorni in cui tutti sono autorizzati a parlare del Festival della Canzone, spesso a sparlarne. In tivù i contenitori pomeridiani scaldano i motori con ospitate a tema, banali convenevoli e fucili caricati a frottole del tipo «anche Vasco è arrivato ultimo», «Toto Cutugno l’eterno secondo», «i grandi artisti hanno sempre snobbato Sanremo». La storia del Festival, fonte sacra dell’epica nazionalpopolare, merita di più.

Una delle voci più curiose che fanno capolino tra gli episodi legati all’evento è il curioso siparietto che avrebbe coinvolto Pippo Baudo e, addirittura, Louis Armstrong. Secondo la vulgata il presentatore (al suo primo Festival nel 1968), avrebbe usato le maniere forti per allontanare il geniale musicista americano dal palco, dopo un’esibizione troppo lunga. È andata davvero così? E soprattutto, cosa ci faceva Satchmo a Sanremo?

Partiamo dal contesto. Louis Armstrong è nato e ha vissuto nella mitica New Orleans di inizio novecento. La sua infanzia difficile, in un ambiente segnato dal razzismo, segue il ritmo del ragtime e in seguito del jazz, la “musica dei neri” che in Europa si diffonde come “la musica degli americani“. Armstrong si afferma come uno dei migliori trombettisti jazz e negli anni della grande depressione è uno dei pochi musicisti a vivere della sua arte, anche grazie all’intuizione del suo manager di introdurlo nel mondo della canzone. Grazie all’indiscusso talento e alla strabordante personalità diventa una vera icona mondiale, sebbene a partire dagli anni ’50 il suo stile sarà tacciato di anacronismo dai sostenitori delle nuove correnti  jazz. Sanremo ’68 non è il suo primo contatto con l’Italia: già nel ’35, mentre le alte cariche dello stato fascista si preparavano alla guerra d’Etiopia (conflitto «che avrebbe portato alla civilizzazione dei popoli primitivi nel segno della superiorità della razza bianca») il trombettista afroamericano mandò in visibilio il teatro Chiarella di Torino, gerarchi compresi, al punto da replicare lo show la sera successiva.

Armstrong, che poco tempo dopo sarebbe stato ascoltato dai suoi ammiratori italiani sotto lo pseudonimo di Luigi Braccioforte, traduzione letterale del suo nome, per sfuggire alla censura, sarebbe tornato in Italia anche nel ’49 e nel ’52, duettando in quest’ultima occasione con i grandi trombettisti Nini Rosso e Nunzio Rotondo.

16 anni dopo, ormai anziano ma ancora pieno di energie figura tra artisti in gara al XVIII Festival della canzone italiana. Uno dei 229 brani arrivati alla commissione selezionatrice, “Mi va di cantare“, si fregia infatti della sua voce roca e inimitabile. Come prevedibile, è ammesso alla gara, e ad affiancarlo nella seconda versione del brano è Lara Saint Paul, giovane interprete italo-eritrea. Se l’ingaggio del trombettista è stato possibile, si deve proprio alla cantante e a suo marito, il produttore ed organizzatore di concerti Pier Quinto Cariaggi. La coppia era in contatto con lo scintillante mondo dello shobiz statunitense: lui organizzava le tournée italiane di artisti del calibro di Frank Sinatra e Liza Minnelli, lei era legata a Satchmo da una forte amicizia e da una reciproca stima artistica, tanto da far scrivere al grande musicista «ho conosciuto tante cantanti di talento, ma Lara è la più grande» in una lettera in cui la raccomandava ad Ella Fitzgerald.

Louis Armstrong non è l’unico grande jazzista arrivato in Riviera grazie alla mediazione di Cariaggi: con lui c’è anche Lionel Hampton, virtuoso del vibrafono, non in gara ma nel cast fisso dell’edizione, chiamato a riprendere i motivi dei brani in concorso con il suo strumento al termine dell’esecuzione, per favorirne la memorizzazione. Curiosamente i due saranno, lo stesso anno, i prestigiosi testimoni di nozze della coppia. Il trombettista, per l’occasione, fece recapitare in Italia un’eccentrica fuoriserie rosa come dono nuziale.

Anche nei giorni del Festival vennero fuori le bizzarrie del genio di New Orleans. Non è un segreto che non avesse compreso a fondo il meccanismo della competizione. Ultimo a cantare nella seconda serata, Armstrong è accolto da una standing ovation preventiva da parte di pubblico e musicisti. Ad accompagnarlo c’è l’Orchestra Jazz di Hengel Lualdi. Termina l’esibizione con l’iconico urlo «ciao!» ed il pubblico è in visibilio. Il giovane Pippo Baudo, allora al suo primo Festival, prende per mano l’artista per fargli avere un ultimo grande applauso.

I tempi della diretta sono serratissimi: preso dalla scaletta, il conduttore siciliano si lancia in un riepilogo della serata culminato con l’annuncio dell’ingresso di Hampton. Armstrong però è ancora lì, ritenuto eccessivo il cachet di 32 milioni di Lire per esibirsi con la sola “Mi va di cantare“, avrebbe voluto, generosamente, continuare il suo show. Niente da fare, con modi spiccioli e un velo d’imbarazzo, Baudo gli fa cenno di uscire di scena. Questa volta viene ascoltato dall’artista, che però avrà modo di rifarsi al termine della serata successiva (la finalissima).

La sua seconda esibizione sarà una piccola jam-session (con un accenno a “When the saints go marchin’in”) e a fine serata, dopo la proclamazione di Sergio Endrigo e Roberto Carlos con “Canzone per te” viene richiamato dal sindaco di Sanremo per un premio speciale.

Durante la permanenza in Italia, Satchmo fu protagonista di un’ulteriore esibizione televisiva in compagnia di Lara Saint Paul e, assieme a Lionel Hampton, fu invitato in Vaticano da Paolo VI. Pare che la sua verve, anche in quest’occasione, abbia oltrepassato ogni formalità.

Il 45 giri tratto dall’esperienza sanremese sarà una delle sue ultime incisioni. Alla soglia dei settant’anni, in seguito a problemi cardiaci, è costretto ad annullare i suoi concerti e a centellinare le attività artistiche. L’istrionico trombettista si spegnerà nel 1971, lasciandoci un’eredità musicale di importanza storica e, per quanto concerne quest’episodio della sua vita, una lezione di umiltà e gentilezza. A Sanremo ’68, da mito vivente, ha calcato lo stesso palco di artisti di fama internazionale (da Shirley Bassey e Dionne Worwick a Domenico Modugno) come di nuove leve al debutto (regalò a una sedicenne Giuni Russo un pezzo della sua tromba), gareggiando con loro per un posto in finale e per un piazzamento in classifica. È la lezione di Satchmo: tanti superospiti avrebbero da imparare…