A tu per tu con il talentuoso cantautore lucano, fuori con il singolo “Paris” che anticipa il suo primo EP
Tra gli artisti più interessanti della nuova scena cantautorale italiana risalta il nome di Michelangelo Paolino, alias Michelangelo Vood, fresco vincitore della settima edizione del concorso per autori “Genova per voi”. Dopo aver lanciato sul mercato i singoli “Ruggine“ e “Van Gogh“, per il talentuoso cantautore classe ’91 è tempo di “Paris”, inedito che consolida la sua scrittura e uno stile sempre più a fuoco, figlio di una vivace e bollente passione per la musica, a dir poco contagiosa. Il brano, disponibile su tutte le piattaforme digitali dallo scorso 25 ottobre, anticipa la pubblicazione del suo EP d’esordio, che uscirà nei primi mesi del 2020. In attesa di questo progetto di debutto, abbiamo raggiunto telefonicamente il giovane artista lucano per approfondire la sua conoscenza.
Ciao Michelangelo, benvenuto su RecensiamoMusica. Partiamo dal tuo nuovo singolo “Paris”, quando e come è nato questo pezzo?
«Questo brano è nato circa un annetto fa, ripensando ad un viaggio che avevo fatto qualche tempo prima. A volte per capire dove andare bisogna pensare da dove si è venuti, così mi è venuto in mente un viaggio a Parigi che avevo fatto nel 2015, col senno di poi mi sono reso conto che si è trattato di un crocevia importante del mio percorso, fondamentalmente senza volerlo. Nelle canzoni tendo sempre a scavare dentro di me, mi nutro spesso di ricordi».
In che modo Parigi ha influenzato le tue scelte regalandoti questa nuova consapevolezza?
«Mi trovavo in un momento particolare della mia vita, dovevo prendere delle decisioni importanti, tra cui l’argomento della mia tesi di laurea e che cosa avrei voluto fare successivamente. In quell’occasione mia sorella mi portò al cimitero di Père-Lachaise, dove tra gli altri è sepolto Jim Morrison, proprio in quel momento decisi di approfondire la sua storia e di incentrare la tesi su di lui. Da lì è andato tutto bene, poi mi sono trasferito a Milano e la musica ha cominciato a diventare sempre più una parte integrante della mia esistenza. Quel viaggio è stato cruciale».
Cosa aggiungono le immagini del videoclip diretto da Piersilvio Bisogno e Luca Murru?
«Innanzitutto devo rivolgere i miei complimenti a questi due ragazzi, è la prima volta che lavoriamo assieme, sono stati super perché sono riusciti ad entrare subito nel mio mood. Hanno ascoltato la canzone e si lo sono lasciati ispirare, abbiamo studiato insieme un concept che ripercorresse i luoghi citati nel testo, che esprimesse una sorta di vagare disperato in giro per la città. E’ stato bello tornare a Parigi, da quel viaggio del 2015 non ci avevo messo più piede».
Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?
«E’ una domanda difficile, provo a spiegartelo in parole semplici (sorride, ndr). La prima volta che ho capito che la musica sarebbe stata tutto per me è quando da bambino mi hanno regalato il registratorino a nastro della Fisher Price. Ricordo che stavo guardando in tv “Ken il guerriero” e compresi che schiacciando il pulsante rosso si cancellava il contenuto della cassetta per registrarci qualcosa di nuovo sopra. Negli anni cominciai a coltivare questa passione, a capire che la musica era la cosa che mi dava più soddisfazione, prima ancora di studiarla e di praticarla con la mia band, è stato un amore innocente. Fai conto che la mia prima canzone l’ho scritta a tredici anni, con un inglese che ti lascio solo immaginare, fino ad arrivare ad oggi. Comunque, tutto questo pippotto per dirti che la musica è la mia unica religione».
Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?
«Considera che io scrivo solo di notte, forse perché di giorno non ho molto tempo oppure perché c’è una sorta di richiamo ancestrale. Mi capita di mettermi lì con la chitarra, a volte non viene fuori nulla di bello, mentre in altri casi arriva improvvisamente qualcosa, ti si materializza in testa un’idea, una frase, un concetto e la mano và da sola, devi solo assecondarla e fare il modo di trarne più cose possibili, ottimizzare perché è un momento che non sai quanto può durare. Questa almeno è la fase legata all’ispirazione, poi a mente lucida il giorno dopo, riascolto, metto in ordine e cerco di donare al brano una forma».
Lo scorso settembre ti sei aggiudicato “Genova per noi”, prestigioso concorso per autori. Cosa ha rappresentato per te questa esperienza e a chi senti di dedicare questo importante traguardo?
«E’ un concorso a cui ho partecipato per caso, non lo conoscevo, ma ho potuto toccare con mano il suo prestigio. Ho letto una di quelle sponsorizzate che ti appaiono sui social network, inizialmente non ho dato molto peso alla cosa perché caratterialmente non amo troppo le competizioni, ma dopo aver conosciuto uno degli organizzatori ho cambiato idea, tanto non mi costava nulla. Col senno di poi lo ringrazierò per sempre, perché è un’esperienza che mi ha arricchito molto, insieme agli altri ragazzi abbiamo condiviso cinque giorni di musica con dei tutor di altissimo livello, tra cui Emanuele Dabbono, Mario Cianchi e Federica Abbate.
La vittoria è stata del tutto inaspettata, dedico questa vittoria a mia nonna che è venuta a mancare poco tempo fa, una settimana prima dello svolgimento della manifestazione. Quando hanno annunciato il mio nome è stato emozionante, in genere non mi scompongo mai, ma ho avvertito in maniera forte la sensazione che quel titolo non fosse arrivato in maniera del tutto casuale, mi sono detto: “grazie nonna”».
Tra le tue canzoni già edite, devo ammettere la mia predilizione nei confronti di “Ruggine”, mi racconti com’è nata?
«E’ nata in una notte in cui ebbi una crisi di pianto fortissima, era già un anno e mezzo che vivevo a Milano, ma non stavo per niente bene, probabilmente perché non mi piaceva quello che stavo facendo. Considera che la musica l’avevo completamente abbandonata, la chitarra l’avevo lasciata ad impolverarsi nell’armadio. Quella sera, non so perché, la tirai fuori e cominciai a strimpellare qualcosa, improvvisamente il caos dentro di me si è placato. E’ come se per diverso tempo avessi lasciato decidere agli altri cosa avrei fatto della mia vita, con quel gesto mi sono riappropriato dei miei sogni, ho capito che per me l’antidoto allo sconforto era la musica, mi sono sentito anche un fesso ad averla accantonata per un paio di anni. Qualche sera dopo ho ripreso ciò che avevo scritto e sui fogli c’era “Ruggine”, ecco com’è nata».
“Paris” anticipa l’uscita del tuo primo EP, che tipo di progetto dobbiamo aspettarci?
«Sarà un progetto molto suonato, più come “Paris” e meno come “Ruggine”, mi piacerebbe mantenere un certo groove analogico, pur cercando di dare risalto alle melodie e ai testi, che seguiranno il fil rouge dei pezzi già editi, far emergere il mio stile di scrittura per me è fondamentale. Sono tutte canzoni molto intense, nate in momenti difficili, perché tendo a comporre quando sto male, quando sento di avere qualcosa da mettere a posto, quando sento del disequilibrio dentro di me, mentre quando sono felice me la godo (ride, ndr), l’ultimo pensiero è mettermi a scrivere. A livello di tematiche sarà molto presente l’amore, oltre alle immagini prese dai miei ricordi».
Per concludere, dove e a chi ti piacerebbe attraverso la tua musica?
«Dove… non ho un luogo fisico, ma un luogo dell’anima, nel senso che mi piacerebbe arrivare a poter vivere di musica, lasciare che questa forma d’arte sia la mia unica preoccupazione, fare in modo che sia un abbraccio totale su ogni mia giornata. A chi… non te lo saprei proprio dire, chiunque possiede una passione grande proprio come la mia, avverte una sorta di bisogno nel trasferire agli altri i propri sentimenti, aprire un canale per trasmettere qualcosa. Non ti nascondo che la soddisfazione più grande è trovare qualcuno che si rispecchia in ciò che hai scritto, non mi interessa diventare milionario e ottenere quattrocento dischi di diamante, a me interessa arrivare attraverso la mia musica, nient’altro che questo».
Nico Donvito
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