martedì 14 Gennaio 2025

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“Sanremo Story”, il Festival e l’influenza della politica

Sanremo Story: la rubrica che ripercorre le tappe fondamentali del Festival della canzone italiana, attraverso aneddoti e approfondimenti. A cura di Nico Donvito

Per molti il Festival di Sanremo è quell’evento televisivo che catalizza davanti allo schermo per una settimana all’anno, uno spettacolo colorato, uno psicodramma tragicomico collettivo, un carrozzone fiorito stracolmo di cantanti, presentatori e vallette. Negli anni, ne abbiamo lette e sentite parecchie di definizioni, tutte profondamente vere, ma nessuna realmente corretta. Sanremo politica

Per dare una risposta allo slogan “Perché Sanremo è Sanremo”, è necessario riscoprire la storia di questo grande contenitore che nel tempo si è evoluto, ma senza perdere il proprio spirito. La verità è che il Festival è un vero e proprio fenomeno di costume, la favola musicale più bella di sempre, lo specchio canterino del nostro Paese. Con la sua liturgia, la kermesse non è mai riuscita a mettere d’accordo ammiratori e detrattori, forse in questo alberga la vera fonte del suo duraturo consenso. La rubrica “Sanremo Story” si pone l’obiettivo di raccontare tutto questo e molto altro ancora.

“Sanremo Story”, il Festival e l’influenza della politica

Oltre al mondo cattolico, anche la politica ha sempre guardato al Festival con estrema attenzione, sin dal lontano 1957, quando l’onorevole Bruno Spampanato presentò un esposto al Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni per chiedere conto del comportamento di Claudio Villa che, dopo aver steccato, fu ritenuto responsabile di aver replicato con un tono un po’ troppo polemico.

Si trattò della prima interrogazione parlamentare interamente dedicata alla rassegna canora, apripista di una lunga serie. Due anni dopo, stando a quanto dichiarato nel 1997 da Arrigo Molinari, ex commissario della cittadina ligure, accadde qualcosa di ancora più assurdo. Secondo quanto rivelato in quell’occasione, sarebbe stato ordinato l’intervento della polizia durante la tanto discussa esibizione di Jula de Palma nel 1959, considerata unilateralmente la pietra dello scandalo sanremese. Dietro l’ordine, non ci sarebbe stata la solita questione legata all’interpretazione troppo sensuale della cantante, ma si celava una vera e propria opera di sabotaggio e spionaggio.

In una lettera rivolta a Paolo Limiti, che lesse queste dichiarazioni nel corso della sua trasmissione, Molinari affermò: «Dopo il grande successo ottenuto da “Nel blu dipinto di blu” di Domenico Modugno, il Festival aveva ingelosito le località turistiche della Costa Azzurra e di Montecarlo. Tutta la diplomazia internazionale si era mossa, con riservatezza e con canali apparentemente non ufficiali, per bloccare la manifestazione canora».

Ulteriori pressioni sarebbero poi state effettuate anche da Confindustria, che non vedeva di buon occhio la rassegna, accusata di provocare un calo della produttività incentivando l’assenteismo nei giorni successivi alla messa in onda televisiva. Molinari infine aggiunse: «Dal Ministero dell’Interno arrivò alla questura di Imperia l’ordine perentorio di intervenire, strappando il microfono dalle mani della cantante, sospendendo la manifestazione con la scusa di tutelare la morale pubblica. Accettai l’ingrato compito, convinto che se avessi detto di no avrebbero affidato l’incarico a qualcun altro. Durantel’esibizione, però, bloccai gli agenti facendo credere loro che ci fosse stato un contrordine, così tutto si svolse regolarmente. Amavo troppo Sanremo, per questo decisi di salvarlo». Ai limiti dell’assurdo, una storia dai contorni simili alla trama di un libro di Dan Brown. Stando a quanto emerso dalle dichiarazioni di Molinari, dunque, l’irruzione fu da lui stesso impedita per l’amore nutrito nei confronti della manifestazione.

La politica debuttò in gara al Festival nel 1975, con il deputato democristiano Francesco Turnaturi in veste di autore di “Io credo (Ci son cose più grandi di te)”, eseguita da Nico dei Gabbiani. Un episodio singolare coinvolse nel 1992 Pierangelo Bertoli, in concorso con “Italia d’oro”. Il cantautore emiliano accusò Baudo di averlo boicottato, interrompendo addirittura gli applausi dopo l’esecuzione del suo brano. «Da quando si è diffusa la notizia, peraltro falsa, della mia candidatura alle elezioni per Rifondazione, la mia canzone è stata tacciata come comunista, tanto è vero che molte radio hanno deciso di non passarla prima dei risultati delle votazioni. In realtà è solo un brano contro il Governo e contro le cose che non funzionano nel nostro Paese» dichiarò seccato l’artista.

Nel 1999, all’alba del nuovo millennio, Sanremo fu nuovamente portato in Parlamento: il senatore Vito Cusimano avanzò diversi dubbi sugli onerosi cachet dei protagonisti del Festival, lamentando «un vergognoso sperpero di denaro pubblico per scritturare personaggi noti». Nel 2002 tenne banco per tutta la settimana la questione Benigni, la cui presenza venne osteggiata da Giuliano Ferrara, che minacciò di lanciare uova marce sul palco dell’Ariston nel caso in cui il comico toscano si fosse presentato.

Due anni dopo le polemiche riguardarono Tony Renis, “colpevole” in questo caso di una longeva amicizia con Silvio Berlusconi. Sempre nella stessa annata, al Dopofestival di Bruno Vespa andrò in scena lo show dei politici canterini con protagonista indiscusso un inedito Umberto Bossi che, ricordiamo, aveva alle spalle un passato da militante della canzone. Il Senatùr, aveva partecipato nel 1964 al Festival di Castrocaro con lo pseudonimo di Donato, nome tipicamente lombardo… tra l’altro. Durante il Dopofestival, in una delle sue ultime apparizioni prima dell’ictus, il leader leghista si cimentò in un memorabile duetto insieme a Mino Reitano, sulle note di Italia/Padania.

Dalla Prima alla Seconda Repubblica, il Festival si è sempre occupato direttamente o indirettamente di politica. L’apice si è toccato con l’edizione 2020, stracolma di polemiche: dalla chiacchierata ospitata della giornalista Rula Jebreal alle accuse di sovranismo nei confronti di Rita Pavone, passando per alcuni passaggi della canzone di Junior Cally, intitolata No grazie, il cui testo faceva chiaro riferimento a due esponenti politici di primissimo piano, recitando: «Spero si capisca che odio il razzista che pensa al Paese ma è meglio il mojito e pure il liberista di centro sinistra che perde partite e rifonda il partito». A voi l’arduo compito di intuire l’identikit di Matteo Salvini e quello di Matteo Renzi…