A tu per tu con il cantautore milanese, in uscita con l’album “Amore dillo senza ridere ma non troppo seriamente“
Tempo di nuova musica per Francesco Tricarico, meglio conosciuto semplicemente come Tricarico, artista che abbiamo avuto modo di apprezzare più volte nel corso degli ultimi vent’anni, grazie alle numerose belle canzoni composte e rilasciate. “Amore dillo senza ridere ma non troppo seriamente” è il titolo del suo ottavo capitolo discografico, un lavoro che rimette al centro le relazioni umane e che esce in un momento storico in cui sono state messe a dura prova.
Ciao Francesco, bentrovato. Partiamo dal tuo nuovo progetto: un titolo impegnativo, il più lungo e il più difficile da ricordare che hai fatto finora. Come sei solito scegliere i nomi dei tuoi dischi e come hai selezionato questo in particolare?
«Vado un po’ a sensazioni, ad istinto, do retta a quello che sento in un determinato momento nelle mie corde, ascolto ciò che reputo più giusto, in pieno rispetto del lavoro svolto. “Amore dillo senza ridere ma non troppo seriamente” sì, è apparentemente un titolo lungo, ma non lunghissimo (ride, ndr), l’ho scelto perchè mi fa pensare a qualcosa di bello. Credo che questo disco corra sulla linea della serietà e del sorriso, in tutte le canzoni avverto questa sorta di duplicità, come se l’una non possa esserci senza l’altra, seppur in dosi diverse e in modi differenti. Forse questo titolo racchiude un po’ tutte queste canzoni così eterogenee dal punto di vista tematico, un lavoro che mi piace immaginare come un ponte di passaggio, che mi porti da qualcosa di vissuto a qualcosa di non ancora conosciuto».
Questo è il tuo ottavo disco, quello con la gestazione più lunga, che arriva a cinque anni di distanza dal precedente. Come si è sviluppato il processo creativo di questo progetto?
«E’ un album che ha due anni di attesa, le canzoni in fase di produzione sono state lavorate fino all’ultimo, ma nei contenuti erano già pronte da tempo. La genesi è stata molto ricca di vita, di esperienze, di riflessioni, di incontri. Forse è stato il disco più difficile da realizzare, più semplice per alcuni aspetti, ma anche complicato nella sua costruzione. Da quando è stato immaginato a quando è uscito. ha avuto un percorso molto bello e complesso».
Quali abilità pensi di aver affinato nel corso di questo lasso di tempo, rispetto al tuo precedente disco “Da chi non te lo aspetti”?
«Penso di aver affinato una certa immediatezza nello scrivere canzoni, un qualche equilibrio tra le parole, la musica e le emozioni che voglio raccontare. Quasi un automatismo, che nasce da tanto studio, dal Conservatorio e da tutti questi anni di musica. Il mio obiettivo è sempre quello di cercare essere molto naturale nel dire le cose, questo penso che sia per me un grande traguardo e un grande risultato. Con il tempo e con la dedizione, sono riuscito a mantenere una bella spontaneità di linguaggio, a prendermene cura, a non dare mai nulla per scontato».
In un momento storico in cui la musica si skippa e tutto ruota alla velocità della luce, secondo te, la gente ha ancora voglia di andare alla ricerca dei significati, leggeri o profondi che siano, racchiusi all’interno delle canzoni?
«Questo non lo so, dipende dalle necessità di ciascuno di noi. Sicuramente c’è ancora qualcuno che va alla ricerca, che legge o si ascolta un disco con la stessa attenzione. Essendo esseri umani, la curiosità è alla base della nostra natura, anche se l’abitudine ci ha allontanati dai nostri istinti primordiali. Oggi ascoltare è diventata una scelta, forse in passato era una normalità. E’ un problema il fatto che sia diventato tutto così frenetico, che quindici secondi determinino così tanto in termini di soglia dell’attenzione. Questo è un rischio, perchè tre minuti possono diventare un’eternità.
E’ un po’ come il protagonista del mio ultimo singolo “La bella estate“, che frequenta tante donne ma, alla fine, non ne ama nessuna. Di conseguenza, anche ascoltare quattro canzoni in un minuto è come non averne ascoltata nessuna, ma sono certo che durerà poco questa situazione. Ci siamo ritrovati tra le mani una grande scoperta, siamo curiosi, ma presto ci stancheremo, perlomeno me lo auguro (sorride, ndr). Negli anni ’50 tutti fumavano meccanicamente le sigarette, perchè rappresentavano una novità. Ecco, l’uso compulsivo degli smartphone non è poi tanto diverso. Alla fine torneremo a capire che la vita non è dentro un oggetto, un elettrodomestico, ma fuori. Torneremo a sorprenderci come un tempo».
In questi ultimi anni il tuo nome è circolato spesso tra i rumors sanremesi, cosa c’è di vero e qual è il tuo pensiero sul Festival oggi?
«Sì, è vero, ho proposto “Mi manchi negli occhi” per le ultime due edizioni del Festival, poi però non l’ho seguito, quindi non saprei esprimere un pensiero contestualizzato ad oggi. Sanremo è l’unica vera grande manifestazione rimasta, essendo nazional popolare ha sempre ricevuto molta attenzione. Negli anni ha portato alla ribalta canzoni splendide che fanno parte dei nostri ricordi e della nostra cultura. Se ci fai caso c’è sempre una canzone del Festival che accompagna un periodo, questo è bello».
Per concludere, nel corso della tua carriera hai scritto canzoni meravigliose, da “Io sono Francesco” a “Solo per te”, passando per “Vita tranquilla” e molte altre ancora. C’è un brano del passato che, secondo te, avrebbe meritato più visibilità e un pezzo di questo nuovo album a cui auguri particolare fortuna?
«Sai, per me tutte le canzoni hanno avuto fortuna, anche quelle che apparentemente hanno mosso cose differenti. “Il bosco delle fragole” non era “Vita tranquilla”, parliamo di pezzi diversi, anche “Tre colori” aveva un altro contenuto. Ogni brano ha una storia diversa, a volte alcuni pezzi sono più condivisi e suscitano maggiore interesse, ma ciascuno è fortunato a modo suo, a prescindere che l’apprezzino in dieci o in milioni. L’augurio è che la mia musica possa sempre piacere a più persone, ma voglio bene a tutte le mie canzoni, comprese quelle di questo album. Non ce n’è una alla quale riservi più speranze, mi piacciono tutte. Se devo dirtene una, in questo momento mi viene in mente “La luna storta”, domani te ne direi un’altra».
Nico Donvito
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