A tu per tu con con il giovane cantautore romano, in uscita con il suo terzo progetto discografico
Sereno, rilassato e consapevole nel sentirsi incasinato: così abbiamo ritrovato Niccolò Moriconi, alias Ultimo, alla vigilia del lancio di “Colpa delle favole”, album che segue la straordinaria scia di successi segnata da “Pianeti“ e “Peter Pan“. Tredici brani inediti tra cui spiccano i due singoli apripista “I tuoi particolari“, classificatasi al secondo posto della 69esima edizione del Festival di Sanremo, e “Fateme cantà“, più il nuovo estratto “Rondini al guinzaglio“, in rotazione radiofonica a partire dal 5 aprile, in concomitanza con la data di rilascio del progetto. Scopriamo insieme al giovane artista alcuni dettagli di questo lavoro maturo e disincantato, manifesto intimo e universale della sua poetica sospesa a metà tra concretezza e fantasia.
Ciao Niccolò, da quale intuizione è nato questo tuo terzo progetto discografico?
«Mi reputo una persona che si illude facilmente, che crede molto alle cose e che si immerge nei sogni più di quanto faccia con la realtà. ”Colpa delle favole” nasce da questo concetto perchè, come dico spesso, sono troppo fragile per poter dare la colpa a me stesso, per cui devo trovare per forza un colpevole».
Cosa hai voluto portare con te all’interno di questo viaggio e, se c’è, cosa hai voluto lasciare fuori?
«Ognuno interpreta le canzoni in base al proprio vissuto, dipende da quando uno le ascolta. Questo è un disco con più possibilità di scelta, si passa da pezzi come “Aperitivo grezzo” o “Ipocondria” in cui si si può svagare di più, a brani ritmati e trascinanti come la stessa “Colpa delle favole”. Personalmente trovo naturale scrivere ballad come “Amati sempre” o “La stazione dei ricordi”, ma comprendo che realizzare un album con in scaletta solo brani di questo tipo può risultare pesante, in più mi piace spaziare tra cose diverse. Non ho voluto lasciare niente fuori, ho solo cercato di essere più versatile».
Ascoltando il disco ho come l’impressione che Ultimo e Niccolò abbiano un po’ “scazzato”. Come descriveresti il loro rapporto oggi?
«Quello che dici è vero, in questi ultimi tempi hanno un po’ “scazzato” ma continuano ad essere la stessa cosa, sia quando salgo che quando scendo dal palco. Sai, suono da diversi anni ormai, ma il successo è arrivato tutto insieme, all’improvviso, è stata una crescita velocissima, per cui non ho avuto il tempo di abituarmi gradualmente, a differenza di come accade solitamente per altri artisti. Questo mi ha un po’ destabilizzato, perché sono passato nel giro di poco tempo da una determinata realtà a un’altra completamente diversa, di conseguenza mi reputo fortunato e cerco di sorridere a tutto ciò che arriva».
In meno di tre anni la tua vita è completamente cambiata, viviamo in un’epoca in cui tutto va davvero troppo veloce, è come se dopo diverse porte in faccia ti si sia spalancato improvvisamente un portone gigantesco. Hai mai avvertito la sensazione di aver bruciato in qualche modo le tappe o il timore che qualcosa possa sfuggirti di mano?
«Assolutamente sì, sono molto sincere: non è sempre facile, a volte mi sembra di non avere mai abbastanza occhi per controllare quello che ho intorno. Secondo me bisognerebbe cercare di essere tutti un pochino più incoscienti, comunque si affronti la vita si tratta sempre di un approccio soggettivo, non esiste un’obiettività nel modo di vivere. Ci sono tanti mestieri nel mondo, ogni lavoro ha i suoi pro e i suoi contro, nella vita ci sono sicuramente situazioni peggiori da poter affrontare. Per carattere cerco sempre un’evasione, non so bene da chi o da cosa, in tal senso “Rondini al guinzaglio” rappresenta una richiesta di aiuto, la voglia di andare altrove, senza sapere neanche dove di preciso».
“Piccola stella” è la prima canzone che hai scritto quando avevi 14 anni, come mai hai scelto di inserirla proprio in questo tuo terzo album?
«In “Pianeti” ho cercato di inserire canzoni con maggiore consapevolezza a livello testuale, mentre “Peter Pan” è un disco più astratto e molto meno concreto. “Colpa delle favole” era il progetto giusto perché mostra varie sfaccettature e una certa versatilità musicale, c’è spazio davvero per tutto, dal pezzo parlato a quello cantato, da quello più movimentato a quello più lento».
Quali ascolti musicali hai maturato e conservato nel tempo?
«Ho sempre ascoltato molto il cantautorato italiano, da Vasco Rossi ad Antonello Venditti, passando per Francesco De Gregori, Renato Zero e Claudio Baglioni. Ultimamente trovo molto interessante Calcutta, sempre per un discorso di coerenza, lo reputo sincero, senza veli, mi piace ascoltarlo perché mi emoziona».
C’è qualcosa che tornando indietro faresti diversamente?
«Tornando indietro ovviamente cambierei un po’ di cose, non credo alle persone che dicono che rifarebbero tutto uguale. Sicuramente cercherei di essere meno “bastian contrario”, di oppormi meno alle cose, di essere un pochino meno ribelle, di avercela meno con tutti senza neanche un motivo».
A cosa si deve la scelta, oggi come oggi in controtendenza, di non fare un instore tour?
«Non fare firmacopie è una scelta che va contro l’interesse economico, ma credo sia poco rispettoso, sia nei confronti del pubblico stesso che delle persone che hanno lavorato al progetto, far comprare un disco solo per incontrare l’artista e scattare una foto. Dal mio punto di vista trovo sia giusto incontrare le persone nei live, anche se fondamentalmente a me converrebbe fare gli instore: è una decisione che abbiamo preso di comune accordo con la mia etichetta discografica, ho sempre ritenuto più interessante il centro del contorno, per me la priorità resta la musica».
A proposito di live, a breve ritornerai ad esibirti dal vivo nei palasport in attesa del grande evento dello Stadio Olimpico in programma il prossimo 4 luglio. Cosa dobbiamo aspettarci da questi spettacoli e con quale spirito affronti una tappa così importante?
«Cantare nella propria città raddoppia di per sé l’emozione, in più esibirsi in uno stadio è un qualcosa che non avrei mai potuto immaginare alla mia età. Rispetto ai palazzetti ci saranno sicuramente degli ospiti, stiamo ancora cercando di capire chi e come coinvolgere, per il resto le canzoni saranno pressapoco le stesse, la scaletta la stiamo ancora definendo, ma alla fine ho fatto tre album, quindi posso cambiare l’ordine di esibizione, ma le canzoni saranno quelle. Faremo il possibile per creare un evento e renderlo unico, proprio come richiede un contesto del genere».
“Pianeti”, “Peter Pan” e “Colpa delle favole”: conclusa questa trilogia, in che direzione andrà la tua musica?
«Innanzitutto cercherò di fermarmi un attimo, perché ho bisogno di ricaricare le batterie. In quel momento di pausa cercherò di capire quale strada intraprendere, l’obiettivo è quello di cercare di fare meno, utilizzare la musica come uno strumento minimale, anche dal punto di vista della terminologia, mi viene in mente l’esempio di “Toffee” di Vasco, una canzone che mi fa piangere anche se nel ritornello ripete sempre la stessa parola, che nemmeno conoscevo prima di ascoltarla. Vorrei cercare di entrare un po’ in quell’ottica, esprimere un concetto ripetendolo magari più volte, dire qualcosa in meno ma in maniera più incisiva. L’arte nasce dalle cose di tutti i giorni, per poi diventare quel che ognuno vuole, un vestito che può essere adattato a nostra misura».
Per concludere citando Vasco: ognuno ha il suo, ma tu l’hai trovato un senso in questa vita?
«Onestamente no, Vasco dice anche che domani arriverà, quello è il senso e io la penso esattamente come lui. E’ una canzone basata sulla filosofia, perché un senso reale non esiste, se lo cerchi non lo trovi, il segreto è vivere come vogliamo pensando che possa arrivare un giorno, prima o poi. A volte inseguire i nostri sogni è la sola cosa che conta, ancora più del loro stesso raggiungimento».
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Nico Donvito
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