A tu per tu con il cantautore romano, disponibile dal 18 ottobre con l’album “Milano parla piano“
Tempo di nuova musica per Marco Zitelli, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Wrongonyou, artista classe ’90 che abbiamo avuto modo di conoscere in occasione del lancio di “Rebirth“, il suo album d’esordio pubblicato nel marzo del 2018. Si intitola “Milano parla piano” il suo secondo progetto discografico, il primo scritto e cantato interamente in italiano, anticipato dai singoli “Solo noi due” e “Mi sbaglio da un po” (qui la nostra recensione), due brani che mettono in risalto le sue potenzialità anche attraverso la nostra lingua. Tanti gli autori che hanno collaborato con lui alla stesura delle otto tracce, da Zibba a Dardust, passando per Davide Simonetta, Alessandro Raina, Antonio Filippelli, Gianmarco Manilardi e Daniel Bestonzo. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Marco, benvenuto su RecensiamoMusica. Partiamo da “Milano parla piano”, com’è nato e cosa rappresenta per te?
«Rappresenta sicuramente il momento che sto vivendo, a livello di storie raccontate è molto contemporaneo, l’ho scritto in questo ultimo anno di vita passato a Milano, mi sembrava giusto dare importanza alla città in cui vivo, soprattutto perché ho attinto molto dal quotidiano. Rispetto al mio precedente disco, ci sono più canzoni che parlano di cose che ho vissuto realmente e non di sensazioni. Il lavoro duro è stato cercare di riportare la stessa vocalità anche in italiano, ma sono molto soddisfatto del risultato finale».
E’ stato semplice esprimerti in lingua madre o hai dovuto cambiare metodo di scrittura?
«Per prendere confidenza con la lingua ho iniziato con delle cover in italiano, però non mi venivano bene (sorride, ndr), quindi ho cominciato a scrivere del mio, scoprendo che l’inglese non era altro che uno schermo per tutelarmi, un’armatura che mi sono tolto di dosso. Ho scritto la prima canzone in italiano con Andrea Bonomo, un bravissimo autore, si intitola “Sono io” ma, stranamente, non è inserita in questo disco, ci sarà sicuramente nel prossimo.
Da lì ho cominciato a frequentare altri autori importanti, tra i quali Zibba, Alessandro Raina, Davide Simonetta e Dardust, loro mi hanno insegnato un metodo, ho cercato di attingere il più possibile dal loro talento per capire un po’ come funzionava, perché l’approccio alla scrittura è totalmente diverso, l’inglese non ha tante parole troncate, la vocalità và dietro a come suona la parola, mentre in italiano devi cercare di dare vita a quello che dici».
Con quale spirito ti affacci al mercato e come valuti l’attuale scenario discografico?
«Ci sono tanti cantanti bravi e parecchie cose che mi piacciono, a partire dalla riscoperta del live che fortunatamente ha dato spazio a numerose band e musicisti di esibirsi dal vivo. C’è più voglia di ascoltare musica indipendente, secondo me è un buon momento storico. Per quando mi riguarda, non ho fatto il disco in italiano per arrivare prima “a dama”, l’ho fatto semplicemente perché mi andava, l’ho presa come una sfida e sono contento che i primi due estratti siano piaciuti. C’è una bella scena, un bel fermento».
A novembre partirà il tuo “Atlante tour”, che toccherà diversi club in giro per il Paese. Che tipo di spettacolo stai preparando?
«E’ ancora tutto un work in progress, ci sarà sicuramente qualcosa di visivo, sul palco saremo in tre, un power trio alla vecchia, ma contornati da un sound molto contemporaneo. Vorrei tanto riuscire a portare l’atmosfera del disco anche nei concerti, sarebbe bello. Come sempre per me la voce sarà al primo posto, al secondo la chitarra e poi tutto il resto».
Per concludere, dove e a chi desideri arrivare con la tua musica?
«Sul disco ho scritto che questo progetto è dedicato a chi si vuole bene o almeno ci prova, quindi direi a loro. Non è semplice guardarsi allo specchio e dirsi “ti voglio bene”, è una cosa difficilissima, ma star bene con se stessi aiuta a mantenere buoni rapporti anche con gli altri. E’ un lavoro che personalmente ho fatto anche io, non ti dico che mi voglio bene da morire, diciamo che sono sulla strada giusta».
Nico Donvito
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