La cantante in un’intervista racconta un sistema discografico in rovina ai danni dell’arte
Intervistata da Radio Nazionale Svizzera RSI in occasione della partenza del suo nuovo tour italiano, che quest’estate tornerà a celebrare i suoi più grandi successi (qui tutti i dettagli), Anna Oxa, che da poco ha festeggiato il suo 57° compleanno e i 40 anni di carriera, si è raccontata con estrema libertà non celando le differenze dell’attuale sistema discografico italiano con quella che era la scena musicale ai tempi dei suoi esordi, nel 1978.
“Quando io ho iniziato c’era ancora la musica e, in effetti, se si ascolta bene, in quel periodo, c’erano ancora dei bei brani, delle belle creazioni. Da un certo punto in poi la cosa è finita. Si riusciva anche a creare, insieme a degli altri artisti, dei progetti: c’era la voglia di farli insieme, c’era l’amore per la musica. La musica era qualcosa che ti doveva isolare da tutto il resto, dove tu vivevi te stesso. Adesso non è così: adesso, innanzitutto, c’è una povertà totale di scrittura, c’è una povertà totale di saper vivere la musica con gli altri, insieme, e di farla, adesso c’è l’appartenenza a gruppi. Tutto è diventato, anche se da sempre il mondo ha viaggiato così ma in questa epoca è proprio prevalente, fine al vantaggio/svantaggio (che poi è solo uno svantaggio) di dire <<faccio questa cosa perchè casomai piace o perchè mi frutta questo>>”.
La voce di Quando nasce un amore ha proseguito ricordando come questo concetto sia l’essenza prima del suo ultimo capolavoro musicale, quella L’America non c’è messa in scena un paio di anni fa ad Amici di Maria de Filippi e, a quanto pare, presto destinata a raggiungere la rotazione radiofonica per il lancio di un nuovo attesissimo album d’inediti (l’ultimo, Proxima, risale al 2011): “Quello che c’è oggi non centra niente, assolutamente niente, con il suono, la creatività, il gesto che ti arriva da un qualcosa che è un urgenza che è dentro di te, da una necessità. Questo non c’è. Io sono molto cruda, probabilmente, in ciò che dico ma quando noi guardiamo ai fatti riusciamo forse a capire perchè “L’America non c’è”. Quando finiamo di vivere le illusioni riusciamo, forse, a vedere un altro orizzonte dove inizia la verità: c’è tanta costruzione e la tendenza a vivere tanti modelli che oggi sono diventati totalitari nella nostra società: dobbiamo vivere in un modo, dobbiamo essere in un modo, ci pensiamo in un modo, portiamo avanti certi atteggiamenti e non siamo in grado di disfarcene. Per cui da quando siamo collegati a questa trappola del modello da cui vogliamo copiare finiamo di poter fare arte: per arte intendo l’arte del nostro vivere che poi si traduce nella musica o in tante altre cose, ma anche nelle relazioni”.
Foto di @Oxarte
Ilario Luisetto
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