venerdì 22 Novembre 2024

ULTIMI ARTICOLI

SUGGERITI

Perturbazione: “Le storie che ci raccontiamo” è un disco “nostro”

9 album pubblicati, 28 anni di carriera e una costante ricerca della novità e della contaminazione: è ciò che sono i Perturbazione, un gruppo ai più noto per la loro partecipazione al Festival di Sanremo 2014 con “L’unica”, brano che scalò le classifiche di vendita e delle radio, ma che per gli amanti del pop contaminato dal cantautorato e non solo (quello vero, non quello commerciale fino al midollo) sono da anni un punto di riferimento importante della scena italiana. Ecco cosa ci hanno raccontato riguardo al loro ultimo album “Le storie che ci raccontiamo” e non solo (qui potete ascoltare l’intervista live):

Siete da poco tornati sulla scena discografica con un nuovo album intitolato “Le storie che ci raccontiamo” come definiresti questo disco?

<<Molto identitario e molto nostro in due sensi: è profondamente nostro anche se il gruppo arriva da una trasformazione visto che da una formazione a sei siamo arrivati ad essere in quattro ma è nostro anche nel senso che è un disco sulla ricerca sull’identità che sta nelle storie che ci raccontiamo che sono sempre tra chi siamo veramente e chi raccontiamo di essere: ognuno sceglie di illuminare quella zona d’ombra del proprio io a proprio modo. Credo che sia sempre stata una ricerca quella che passa attraverso le storie e la narrazione dell’umanità che oggi passa moltissimo attraverso il modo di comunicare immediato e a flusso continuo tipico dei social. Quel tipo di comunicazione non è vista in modo negativo ma come la ricerca dell’identità di ciascuno. Forse è un’epoca di grande gabbie ideologiche che si sono andate sfasciandosi rendendo sicuramente le persone più individualiste ma anche a ricercare se stessi ed è questo che abbiamo cercato di raccontare nel disco>>.

Il primo singolo rilasciato in rotazione radiofonica è la traccia che apre il disco, “Dipende da te”, in cui un sound spensierato si contrappone ad un testo per nulla banale in cui si dice “c’è un mondo capovolto sotto i piedi”. Come è nata la scelta che fosse questo il primo singolo di questo disco e qual è il messaggio di questo brano?

<<A noi piace sempre molto quando c’è un contrasto tra le atmosfere musicali e il testo nelle canzoni. Questo succede anche nel cinema dove una scena drammatica può essere accompagnata da una colonna sonora che ne fa venire fuori, invece, aspetti paradossali. Riguardo ai testi ci piace molto di poterli scoprire mano a mano come è stato proprio anche con “Dipende da te” che ci siamo cuciti addosso: era fondamentale ricordare a noi stessi che non sempre sei tu a decidere come vanno le cose. Noi arrivavamo da un periodo molto positivo con il Festival di Sanremo del 2014: dopo un picco c’è sempre un abisso da esplorare ed è quello il posto più bello perché custodisce molti posti da esplorare dove si possono imparare tante cose su se stessi. Quindi, l’intento del pezzo è proprio quello di ricordare a noi stessi in primis che non sei tu a decidere come andrà il prossimo disco, il prossimo singolo, la tua posizione nella società, la politica del tuo Paese, il riscaldamento globale… tutte questioni nelle quali tu non puoi incidere direttamente se non con l’atteggiamento con il quale le affronti>>.

Ecco, nel corso della vostra carriera avete sempre proposto dei brani che raccontassero il presente, la società in cui viviamo e i problemi del nostro tempo mi viene in mente ad esempio “L’Italia vista da un bar” che faceva parte del vostro penultimo disco e che avete presentato a Sanremo nel 2014 insieme a “L’unica”. Da dove parte l’ispirazione di brani così attuali e che sembrano essere dipinti quasi da un pittore esterno alla scena?

<<Ci guardiamo molto attorno e che abbiamo imparato a fare soprattutto maturando perché quando si è adolescenti si molto concentrati su se stessi e si crede che tutta l’ispirazione la si debba trovare dento te stesso. Ovviamente sono i proprio chiaroscuri a dare il via alla scrittura, ed è giusto che sia così, ma poi nel pop ci si accorge che, come ci ha insegnato David Bowie, ci si deve ispirare a tante fonti diverse: questo narratore esterno è quello in cui metti insieme i grandi romanzi russi con la serie TV americana dei nostri giorni o quello che si sente nelle conversazioni mezzi pubblici con quello che si trova nei social. E’ esattamente quello che qui da noi fa Jovanotti che prende tutti questi elementi, anche dichiarati a volte, per creare un nuovo miscuglio che è proprio della cultura pop. Noi ci guardiamo molto attorno perché ci piace filtrare tutto quello che la comunicazione attuale offre per fare un buon montaggio cinematografico dove poche immagini di quel personaggio ti possano restituire un’immagine universale e di molte persone. Siamo cresciuti dentro una borghesia che ci hanno insegnato a disprezzare da una parte ma, dall’altra, ci sostiene moltissimo: i nostri genitori con i loro stipendi ci hanno permesso di comprare le chitarre. Questo cercare di stare dentro ad una classe media sia il fulcro della nostra narrazione: penso ad una canzone come “trentenni” o “legami” o “le storie che ci raccontiamo” che sono tutte canzoni che raccontano storie d’attualità>>.

In questo disco il minimo comune denominatore sembra che siano le melodie fresche, dei suoni moderni presenti però contemporaneamente a dei testi mai banali. Come riuscite a metterli insieme in modo sempre nuove?

<<Le due cose non le vediamo come una contrapposizione. Andare a lavorare con Tommaso Colliva alla produzione è stato importante per ricercare un sound meno provinciale o più internazionale se si preferisce. Serve sempre un produttore per dare un senso ad un brano.

Sono fonti molto diverse quelle da cui partiamo per scrivere un testo ma soprattutto una melodia. Molto spesso suonando un giro armonico è naturale che nella musica pop ci siano subito altri due o tre pezzi che tornano in mente: la cosa interessante non è scimmiottare un brano che di suo si nutre ad altri riferimenti musicali ma andare a contaminare con altre forme musicali. Il pop non coraggioso è quello che ricrea il sound che in quel momento ha successo e va per la maggiore: è un po’ quello che fa Zucchero negli ultimi anni con tutto il rispetto. Il gioco bello è combinare degli elementi che apparentemente non centrano tra loro.

La stessa cosa avviene con i testi: ci piace lavorare con fonti che vanno dalla rubrica del rotocalco femminile con un’opera letteraria come “Il giovane ritorno”>>.

Nel 2014 eravate sul palco del Festival di Sanremo per la prima volta in carriera. Che emozione è salire su quel palco? E da allora avete più pensato di tornarci?

<<Si, ci abbiamo ripensato e anche riprovato quest’anno con un discreto ritorno visto che “Dipende da te” piaceva molto alla commessione ma poi non è andata visto che si è in gara con altri tantissimi artisti che provano ad accedere a quel palco stranissimo che è un’anomalia italiana, un fenomeno di costume ed un grandissimo evento televisivo in cui si capisce di far parte di un ingranaggio. Esserci arrivati a 40 anni suonati ha significato forse stare su quel palco con più consapevole e rilassato che ci ha fatto godere molto il tutto che alla fine è un gioco. Il divertente è vivere quello che viene dopo dove è molto veloce il salire o il scendere: è esattamente come vive la maggior parte delle persone adesso. Tutti lo chiamano precariato, io la definirei semplicemente incertezza perché viviamo in un’epoca in cui bisogna riuscire a vivere quest’incertezza e non solo farne un qualcosa di negativa.

Noi ci torneremmo comunque molto volentieri perché Sanremo è un posto strano, elettrizzante, con un’orchestra formidabile a disposizione e cinque minuti tutti per te e per la tua canzone. Una cosa che si dice poco perché si parla di tutto il resto è che è molto importante il biglietto d’entrata ma anche il biglietto d’uscita cioè con quel canzone si è arrivati su quel palco. Per noi “L’unica” è stata una canzone che ci ha dato enormi soddisfazioni anche per la sua storia e per la fatica che abbiamo fatto ad arrivare a quel sound con un mix di funk e disco, una cosa per nulla scontata per i Perturbazione tant’è che quel pezzo era rimasto fuori dalla prima edizione di “Musica X”. Ci torneremmo davvero volentieri: è una gabbia di matti ma è più divertente starci dentro che stare fuori a rosicare>>.

Prima di realizzare questo disco c’è stato anche un cambio di formazione che vi ha visto passare da 6 elementi a 4. Vi sentite ancora in continuità con il vostro passato o pensate che questo cambiamento abbia in qualche modo segnato il vostro percorso?

<<L’ha segnato sicuramente ma c’è comunque continuità con il nostro passato. I complimenti più belli che ci hanno fatto all’uscita del disco erano proprio quelli che ci dicevano come fosse comunque un disco profondamente nostro. Ora c’è un modo di lavoro più lineare e preciso: prima c’era una grande varietà di modi di scrivere e di lavorare con diversi team di lavoro ogni volta, ora abbiamo ruoli più definiti e precisi. Forse è più semplice ma non vuol dire banale. Siamo comunque molto sereni tra noi: sono stati degli anni stupendi insieme anche se nell’ultimo periodo c’era stata qualche tensione. Si va sempre verso luoghi e mondi nuovi ma non sempre tutti ci arrivano ma è naturale>>.

Come abbiamo detto da poco è uscito l’album ma ora quali saranno i progetti futuri?

<<Noi saremo in giro quest’estate per continuare a suonare. Ci sarà Andrea Mirò con noi sul palco con cui è davvero una bella avventura per le sue capacità tecniche di polistrumentista e per le sue qualità di persone. Stiamo programmando anche tanti altri progetti per l’autunno: estrarre altri singoli da questo disco, scrivere ancora ma anche continuare a continuare la nostra musica con altri mondi come il cinema, il teatro, la moda… La musica deve fare questa cosa oggi corteggiando altri mondi per costruire degli eventi insieme come per esempio avviene con il Festival delle Collisioni che mette insieme la musica al cibo e al paesaggio. Noi siamo sempre alla ricerca di nuovi modi di contaminarci perché s’imparano sempre nuove cose e ci si diverte. Ci sono due piccoli progetti molto interessanti fuori dall’Italia: un tour in Europa a settembre e uno a novembre negli Stati Uniti che speriamo di realizzare>>.

perturbazione“Dipende da te” è stata anche incisa insieme a I moderni. Com’è nata questa collaborazione e quest’idea di realizzare un qualcosa insieme?

<<A me piacerebbe molto rifarla insieme dal vivo nella prossima estate. Anche loro sono di Torino e come noi sono alla ricerca di un sound contaminato da folk e elettronica minimale. Siamo molto amici perché ci siamo conosciuti e ci siamo molto piaciuti come persone. Speriamo di poter continuare a lavorare insieme come abbiamo già fatto sia per questo nostro brano che per un brano per il loro prossimo disco che uscirà presto. E’ un rapporto in divenire>>.

Siamo arrivati alle ultime due domande finali con cui siamo soliti chiudere tutte le interviste. Allora se dovessi consigliare una sola canzone di questo disco ad un ascoltatore che non vi ha mai ascoltato quale consiglieresti affinché vi possa conoscere il più possibile?

<<Sicuramente l’ultima di questo disco, “Le storie che ci raccontiamo” che spiega il perché raccontiamo storie>>.

Mentre invece qual è la canzone della storia della musica italiana da cui più ti senti rappresentato come persone oppure come modo di intendere la musica?

<<(ride) Andrei sul classico e quindi sui dischi di Lucio Dalla degli anni ’70 e ’80 con cui sono cresciuto quindi direi “Cara” o “Anna e Marco”>>.

The following two tabs change content below.

Ilario Luisetto

Creatore e direttore di "Recensiamo Musica" dal 2012. Sanremo ed il pop (esclusivamente ed orgogliosamente italiano) sono casa mia. Mia Martini è nel mio cuore sopra ogni altra/o ma sono alla costante ricerca di nuove grandi voci. Nostalgico e sognatore amo tutto quello che nella musica è vero. Meno quello che è costruito anche se perfetto. Meglio essere che apparire.