A tu per tu con Francesco Da Vinci, in occasione dell’uscita dell’album “Partenope” che segna il suo esordio discografico
Si intitola “Partenope“ il disco d’esordio di Francesco Da Vinci, fuori dallo scorso 4 ottobre. Figlio e nipote d’arte, porta con sé un’eredità di talento e di grande passione per la musica, un fuoco che divampa durante l’ascolto di tutto l’album, dalla prima all’ultima traccia. Scopriamone di più dalla viva voce del diretto interessato.
Francesco Da Vinci, l’intervista
Partiamo da “Partenope”, l’album che segna il tuo esordio discografico. Essendo una sorta di biglietto da visita della tua carriera, cosa hai voluto inserire all’interno e cosa hai voluto lasciare fuori da questo lavoro?
«L’album racchiude sicuramente quelle che sono le mie caratteristiche principali, la musicalità e l’approccio melodico con la urban music. Ho aspettato forse abbastanza per la pubblicazione del mio primo album, ma ad oggi sono contento che finalmente ci sia una raccolta di brani con dentro tutta la mia identità».
Un titolo che richiama la tua napoletanità, in che modo il luogo che ti ha dato i natali confluisce nella tua musica?
«Sicuramente mi definisco uno “scugnizzo per bene”, cioè nato e cresciuto nella Napoli vera, quella del quartiere, del Vicoletto (luogo da cui provengo) che mi ha insegnato tanto… in primis l’educazione ed il rispetto».
Cosa ti affascina di preciso della leggenda legata alla sirena che dà il titolo al tuo album?
«La figura materna, la mamma di questa terra meravigliosa».
Territorialità a parte, c’è un filo conduttore che lega le tracce in scaletta?
«La scelta della tracklist ha un senso di musicalità, per rendere il tutto gradevole quasi come se fosse la scaletta di un concerto».
“Partenope” è un biglietto da visita che ti rappresenta, dai temi alle sonorità. È per questo motivo che hai scelto di non includere collaborazioni e di rendere unicamente protagoniste la tua penna e la tua voce?
«La scelta di essere solo in un album è legata a tanti fattori, in primis credo che una collaborazione debba nascere dal piacere appunto di due o più personalità che fondono sinergie. Non nascondo che l’idea iniziale era quella di inserirne qualcuna poi riflettendo ho valutato il fatto che ad oggi era meglio uscire da solo».
Sei nipote e figlio d’arte, quindi possiamo immaginare come la musica sia entrata nella tua vita, ma c’è un momento preciso in cui hai capito che sarebbe potuta diventare la tua strada?
«Ogni giorno mi focalizzo dando il massimo per far sì che questa sia la mia strada, ma combatto quotidianamente contro i pregiudizi altrui, il fatto di essere figlio d’arte penalizza, quando dall’altra parte ci sono tante persone che probabilmente non amano i “figli di…” e che magari per loro dovrebbero dedicarsi a fare lavori diversi. Questo è un tasto abbastanza delicato, molto spesso ne soffro. Vorrei essere valutato per ciò che sono, per ciò che faccio, come tutte le altre persone».
Cosa ti ha lasciato, a distanza di tempo, l’esperienza di The Voice?
«Sicuramente tante cose belle, una esperienza unica che mi sono goduto a pieno e la possibilità di mettermi in gioco e di misurarmi con tanti altri talenti. Rimpiango un po’ il post, poiché ci ritrovammo di fronte alla pandemia mondiale».
Quali artisti e quali generi popolano le tue playlist? Tendi a focalizzarti su un genere preciso oppure ti reputi un ascoltatore onnivoro?
«Mi piace ascoltare tutto perché la varietà è la cosa che più mi affascina. Credo che se una canzone è bella e ti trasmette qualcosa, allora non è il genere che fa la differenza».
Per concludere, qual è la lezione più importante che pensi di aver imparato fino ad oggi dalla musica?
«La musica per me è tutto, mi ha insegnato a non dare mai nulla per scontato e soprattutto io per la musica ci vivo e ci soffro allo stesso tempo, dedico ad essa la mia vita e continuerò a farlo».
Nico Donvito
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