Analisi futurista del processo tecnologico e sulle sue possibili conseguenze, tra streaming e realtà
Da diverso tempo il tema dell’intelligenza artificiale divide l’opinione pubblica: c’è chi sostiene che sia utile a migliorare la nostra società e chi teme che possa manipolarla. Prendendo spunto dai saggi del professore universitario israeliano Yuval Noah Harari (autore della trilogia di bestseller “Sapiens – Da animali a dei”, “21 lezioni per il XXI secolo” e “Homo Deus – Breve storia del futuro”), cerchiamo di comprendere al meglio il possibile rischio di una vera e propria dittatura digitale, una visione futurista che prende spunto dal nostro processo evolutivo, orientato a spingerci ad essere sempre più dipendenti dalla tecnologia.
Le macchine e l’uomo: un tema caldo che necessita la giusta attenzione attraverso un’accurata riflessione sulle regole che gestiscono il possesso dei dati personali, ovvero la risorsa che rappresenta la reale ricchezza del mondo. Pensateci bene, se una determinata azienda arrivasse ad ottenere le informazioni che ci identificano avrebbe il monopolio assoluto su qualsiasi nostra azione, azzerando il valore del potere decisionale di ognuno di noi. Non si tratta dell’ennesima teoria del complotto, ma di un qualcosa che stiamo vivendo già da diverso tempo, prima con l’avvento della pubblicità che ha spalancato le porte alla nuova era del consumismo, poi con la diffusione del web e della comunicazione di massa attraverso i social network. Dalla politica alle multinazionali, chiunque abbia accesso ai nostri gusti preferenziali ottiene la chiave per impossessarsi del nostro totale controllo. Tralasciando la bioingegneria, occupiamoci come sempre di musica e di quello che potrebbe essere il nuovo scenario discografico da qui ai prossimi dieci anni.
Per il momento, l’algoritmo di un computer si limita a consigliarci quale video guardare su YouTube, seleziona in successione il prossimo brano da ascoltare su Spotify, propone nella home page di Google le notizie che potrebbero maggiormente interessarci, se ci fate caso, in maniera poco casuale e sempre più mirata. Un processore analizza le nostre ricerche, i like e le attività che svolgiamo in rete, ci frequenta e impara a conoscerci giorno dopo giorno. Ma cosa accadrebbe se il sistema iniziasse ad assimilare più nozioni possibili, fino ad arrivare a conoscerci più di noi stessi o, peggio ancora, a gestire ogni nostra singola volontà?
Diciamolo, la matematica è una materia che non ha nulla da spartire con la creatività espressa attraverso qualsiasi forma d’arte: nessuna macchina potrà mai comporre una canzone, scrivere un libro o realizzare un film che possano emozionare e toccare le corde dell’animo umano. Un cervello artificiale potrà al massimo limitarsi a clonarne la struttura e riprodurre fedelmente un qualcosa di già esistente, senza alcun briciolo di originalità. L’innesto dell’autotune è solo un piccolo passo verso la nostra spersonalizzazione, intesa sia dal punto di vista umano che artistico, una direzione sulla quale dovremmo riflettere. Senza entrare nel dettaglio di tematiche azzardate come i microchip sottocutanei, nel 2018 gli algoritmi decidono cosa è in tendenza e cosa no, sulla base di criteri non ben specificati.
E’ vero, la scienza fa passi da gigante, in mezzo secolo di storia siamo passati dal vinile allo streaming, bisogna stare al passo coi tempi, ma senza perdere il contatto con la realtà. Prepariamoci ad una società sempre più liquida, dove il confine tra quotidiano e virtuale sarà sempre più labile, in cui le multinazionali come Amazon giocheranno un ruolo sempre più fondamentale. Immaginate un mondo dove ogni dispositivo sarà connesso ad internet: non solo gli smartphone ma anche i televisori o qualsiasi congegno elettronico, con un click potremmo regalare la borsa preferita alla nostra ragazza o autoregalarci una compilation, ma se nel carrello non ci fosse più la possibilità di cercare cosa acquistare? Se i motori di ricerca venissero aboliti?
Ci ritroveremmo a scegliere tra quello che ci viene proposto e, musicalmente parlando, in qualche modo lo stiamo già facendo. In un precedente articolo abbiamo parlato di digital all you can eat, ossia dell’abbuffarci accontentandoci di tutto quello che ci viene proposto, senza perdere il tempo di andare a cercare qualcosa di diverso, che magari ci rappresenti molto di più di un fenomeno come la trap. Non permettiamo che la musica diventi totalmente fluida, torniamo ad acquistare fisicamente i dischi, in quel semplice e nostalgico gesto sono racchiusi il vero potere d’acquisto e la nostra reale espressione decisionale, perché le logiche telematiche potrebbero condizionare sempre più col tempo le scelte dell’uomo, senza neanche rendercene conto.
Nico Donvito
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