venerdì 22 Novembre 2024

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Charlotte Ferradini: “Arcobaleno? L’inizio del mio percorso artistico” – INTERVISTA

A tu per tu con la giovane artista milanese, al suo esordio discografico con il singolo “Arcobaleno”

Le strade di Charlotte Ferradini e della musica si sono inevitabilmente incrociate e hanno dato vita ad “Arcobaleno”, singolo di debutto pubblicato lo scorso febbraio dalla Ondesonore Records di Francesco Altobelli, con la co-produzione di Valentino Forte. Il brano è stato composto interamente dalla giovane cantautrice lombarda, poi arrangiato insieme al padre Marco Ferradini e Valerio Gaffurini, presso il Cromo Studio di Brescia. In occasione di questo interessante debutto discografico, abbiamo incontrato la giovane artista per approfondire la sua conoscenza.

Ciao Charlotte, partiamo dal tuo nuovo singolo “Arcobaleno”, com’è nato e cosa rappresenta per te?

«E’ nato di notte: ero a letto ed ero piena di musica nelle orecchie perché ero appena stata ad un concerto e non riuscivo a prendere sonno dal tanto che ero elettrizzata. Nel dormiveglia iniziano a girarmi in testa le prime parole della canzone “Blu, prima eri blu”, così mi alzo e vado al piano:in meno di mezz’ora è nata tutta la canzone. Spesso i miei brani nascono da delle immagini, sono un tipo molto visivo e amo la pittura e i colori e sono affascinata dalle sinestesie. Dal punto di vista personale “Arcobaleno” è uno sfogo ma anche una riflessione in musica delle dinamiche relazionali. Dal punto di vista artistico segna l’inizio, l’inizio di un percorso tutto mio che spero mi porterà lontano».

A livello di tematiche, cosa hai voluto raccontare?

«Ho voluto teorizzare una realtà che conosciamo tutti e sperimentiamo in continuazione, talvolta senza rendercene nemmeno conto. Parlo dell’ “inquinamento emozionale”. E’ una parafrasi che ho inventato io e che cito anche nel testo della canzone. Sono convinta, infatti, che tutti noi veicoliamo dell’energia nell’ambiente che può essere positiva o negativa. Ecco perché dovremmo fare attenzione a non sfogare sugli altri le nostre frustrazioni e proprio da questa riflessione nasce l’idea del leitmotiv del perdono: abbiamo tutti qualcosa da perdonarci».

Dal punto di vista musicale, invece, quali sonorità hai scelto di abbracciare per esprimere al meglio il significato del testo?

«Quando sono entrata in studio con il provino piano e voce e due giorni per realizzare il prodotto finito, non avevo idea di come avrebbe suonato. Mi sono lasciata andare all’istinto, ho seguito quello che le parole, la melodia e l’armonia mi suggerivano ed è nato il sound che avete sentito. Anche grazie all’aiuto di mio padre, che era in studio con me e che mi ha regalato la sua voce nei cori e alle orecchie esperte di Valerio Gaffurini del Cromo Studio di Brescia».

Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip diretto da Namas?

«Con Namas, il regista che ho voluto fortemente per la realizzazione di questo videoclip, abbiamo pensato di raccontare la verità di un cantautore e dei suoi momenti in studio. Ecco perché non ci sono effetti speciali né location esotiche, ma solo io con la mia voce, le luci, un pianoforte e quello che può scaturirne… la musica».

Facciamo un salto indietro nel tempo, quando hai scoperto di non poter fare a meno della musica?

«L’ho scoperto subito dopo la laurea in Interpretariato e Comunicazione, tra l’altro a pieni voti. Nonostante la grande soddisfazione per un risultato significativo, il giorno dopo aver terminato l’università mi sono chiesta: ma io cosa voglio fare veramente da grande? E ho capito che in fondo volevo creare e comunicare con gli altri, con tutti gli altri. Ero stata una bravissima alunna fino a lì, ma sotto sotto sentivo il bisogno di fuoriuscire dai binari programmati per dare sfogo alla mia anima ribelle».

Quali ascolti hanno accompagnato e ispirato la tua crescita?

«Ho sempre ascoltato di tutto ma, sicuramente anche grazie a papà, ho conosciuto molto precocemente i grandi maestri della scuola cantautorale italiana come Lucio Dalla, Luigi Tenco, Sergio Endrigo, Battisti,  Fossati, Baglioni, Venditti. Poi da giovane impazzivo per Grignani, Cocciante, Giorgia, Mimì, Ferro e Massimo Ranieri per quanto riguarda l’Italia, mentre all’estero ho amato follemente i Beatles, i Queen, Whitney Houston e Eva Cassidy. Poi ho un mito che si chiama Elton e di cognome fa John, lo conoscete?!».

Essere figlia d’arte ti ha portato più ostacoli o vantaggi?

«Eh, è una bella domanda. Come in tutte le cose ci sono i pro e i contro. Sicuramente io sono felice di essere figlia di mio papà che è anche un bravissimo artista ma per me è soprattutto un bravissimo genitore. Detto questo, a volte mi sento investita di una responsabilità che non è mia ma che le persone automaticamente ti accollano… ecco forse questo peso soprattutto quando sei molto giovane può diventare un problema. In fondo, però, sono molto grata di essere nata in una famiglia artistica perché la libertà di pensiero e la passione per l’arte che ho ereditato non le baratterei con nessun altra cosa al mondo».

Ti senti rappresentata dall’attuale settore discografico e da ciò che si sente oggi in giro?

«Rispondo con un’altra domanda: come ci si può sentire rappresentati da un settore dove non si investe più una lira su un artista emergente e dove gli introiti, anche quando hai un grande successo, sono ridotti all’osso? E’ difficile fare musica al giorno d’oggi e sta diventando un’attività sempre più elitaria. Pochi si possono permettere di farlo e, ahimè, non sono sempre i più ispirati».

Personalmente, credi di aver raggiunto una ben definita identità artistica o ne sei ancora alla ricerca?

«Io vivo la musica come un’espressione di me stessa e di quello che ho vissuto e sto vivendo. Sono una persona molto curiosa e inquieta e aspiro ad una continua evoluzione ecco perché credo che la mia musica seguirà i miei giri, i miei viaggi interiori, il mio percorso personale… per cui non credo di ambire ad un’identità artistica definita, ma ad una musica che mi rappresenti per quella che sono in quel determinato momento e che sia fortemente personale. Questo sì, ho sempre amato i progetti artistici ben riconoscibili».

Per concludere, in che direzione andrà la tua musica?

«Come dicevo prima, la mia musica andrà nella direzione della mia vita. A volte un incontro può cambiarti la vita e quindi anche “la musica che gira intorno”. Sicuramente il prossimo passo sarà un secondo singolo e poi pubblicherò il mio primo album».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.