A tu per tu con l’artista classe ’87, in uscita con il suo disco di debutto intitolato “I giorni del rinoceronte“
Si intitola “I giorni del rinoceronte” il primo tassello discografico di Marco Foscari, meglio conosciuto semplicemente come Foscari. L’album, edito da etichetta LaChimera Dischi (edizioni Terre Sommerse), contiene al suo interno nove brani inediti, tra cui spiccano: “Particelle”, “Stabile non è”, “Trasparente “, “Giorno”, “Incline al canto”, “Stendhal”, “Elliot”, “La tempesta” e “Te lo confesso”. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Marco, “I giorni del rinoceronte” è il titolo del tuo album d’esordio, cosa racconta?
«Ho messo insieme nove canzoni che raccontano di ricostruzione. Sono canzoni scritte molto lentamente nell’arco di 5 anni. É stato come mettere un punto al vissuto. Come per ricordarmi della strada da fare per ricostruirsi».
A livello musicale, invece, quali sonorità abbraccia?
«È sicuramente un album pop. Ha però anche qualche contaminazione con il rock. Ho voluto fare un disco di musica leggera che affrontasse temi non propri del pop».
Chi ha lavorato con te a questo progetto?
«Molte persone. Da Antonio Rossi (Rosso Petrolio) come produttore musicale, ai bravissimi musicisti che hanno arrangiato con me le canzoni (Luca Zannini, Nicholas Rutigliano, Davide Sparpaglia), ai fonici Fabio Fraschini e Francesco Longo e gli ulteriori musicisti che hanno suonato nei live (Vittorio Pagano e Fabrizio Toccaceli). Fino alla promozione di Costello’s e l’edizione di Cristiano Furnari di Terresommerse. E poi il management di Flavia Guarino».
C’è un filo conduttore che lega le nove presenti in scaletta?
«Il filo conduttore è il tempo. Quello cronologico e quello interno percepito, relativo».
Quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«Quando a 6 anni aprii incuriosito la custodia della chitarra di mio padre. Mi innamorai a prima vista. Da quel giorno di nascosto una volta al giorno andavo ad aprirla e suonavo le corde a vuoto senza avere la minima idea di come funzionasse».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato la tua crescita?
«Sono cresciuto con il rock classico. In casa mia si ascoltavano i Pink Floyd, i genesis, i Doors. E Lucio Battisti. Tanto Battisti. Poi nell’adolescenza mi sono avvicinato ai mostri sacri della canzone d’autore italiana. Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori, Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Francesco Guccini. Poi ho scoperto l’indie. Quello vero però. Quello dei Verdena, Marlene Kuntz, Afterhours per intenderci».
Con quale spirito ti affacci al mercato e come valuti l’attuale scenario discografico?
«Penso sia un mercato in espansione esponenziale, ma quindi anche un po’ saturo forse. Penso che il miglior modo per stare sul mercato sia essere se stessi, fare un tipo di musicale solo tua. Non essere la copia di nessuno».
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi professionali e/o sogni nel cassetto?
«Con molta lentezza sto scrivendo delle canzoni nuove. Nessuno mi corre dietro e non ho necessità di pubblicare per cavalcare l’onda delle produzioni attuali. Ho il sogno di fare un altro disco però».
Per concludere, dove e a chi desideri arrivare con la tua musica?
«Il dove è sicuramente, sarà banale dirlo, nel cuore e nella testa di chi ascolta. A chi? Beh a chi ha voglia di mettersi comodo e ascoltare qualche storia».
Nico Donvito
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