A tu per tu con la cantante e produttrice romana, in uscita con il suo EP d’esordio intitolato “Lo squalo“
Musicista, cantante e produttrice, questo e molto altro ancora è AvA, artista romana in uscita con il suo primo EP, intitolato “Lo squalo”, composto da sette tracce inedite. Anticipato dal singolo “Shazam”, il progetto segna l’inizio di un nuovo percorso per la cantautrice, la prima a proporre il moombahton in lingua italiana. Approfondiamo la sua conoscenza.
Ciao Laura, benvenuta. Partiamo da “Lo squalo”, cosa hai voluto raccontare in questo progetto che segna il tuo esordio musicale?
«”Lo Squalo” nasce dalle ceneri del mio progetto passato con le Calypso Chaos: band di sole donne di matrice cantautorale pop elettro acustico. Così mi sono creata l’alterego di AvA che per molti aspetti è l’opposto di Laura. Sentivo l’esigenza di dedicarmi a qualcosa di più forte sia a livello musicale che di contenuti. Per molti anni durante la mia passata esperienza mi sono sentita dire che ero troppo moderata, troppo “vestita”, che non approfittavo del mio aspetto e che insomma avrei dovuto tirare su la cresta».
Questo primo EP è un vero e proprio progetto di presentazione dove le tracce raccontano chi è AvA, qual è il suo manifesto, quali sono le sue cattive abitudini, le malattie e soprattutto l’obbiettivo del Sovranismo Femminile. AvA non ha mezze misure, è un personaggio estremo, diretto, schietto e che non si fa problemi ad usare il proprio corpo come un’arma e anzi rivendica il diritto di farlo!».
A livello musicale, invece, che tipo di sonorità hai deciso di abbracciare?
«Sono la prima artista ad aver introdotto in Italia il genere Moombahton cantato in italiano. Il Moombahton è nato negli Stati Uniti negli anni 2000 ed è un genere musicale che mischia il reggaeton alla house music. Detta così potrebbe suonarvi strano ma sono sicura che se vi dico Major Lazer, Jay Balvin o Sean Paul sapete di che parlo! E’ la versione più spinta e coatta del reggaeton!».
Chi ha lavorato con te in questo progetto?
«Questo disco l’ho prodotto e arrangiato praticamente da sola, dopodiché mi ha aiutato a finalizzarlo prima Alessio Sbarzella (aka Lo Squalo 2) che si è occupato di registrare le voci e del mixaggio e poi Alessandro Canini per il mastering».
“Shazam” è il titolo del singolo che ha anticipato questo lavoro, un brano dove parli di alcuni rapper italiani che “copiano” molti beat da proposte straniere, pratica che magari vent’anni fa poteva passare inosservata, ma oggi come oggi meno. Cosa ti ha ispirato questa analisi?
«Non si tratta di limitarsi a copiare un beat bensì di veri e propri plagi di intere basi. Okay che nel rap come nell’hip hop la citazione o il campionamento è una cifra stilistica tipica del genere ma dalle nostre parti secondo me hanno un po’ frainteso la questione limitandosi a cantare in italiano intere canzoni di altri. E ad ogni modo la cosa passa comunque molto inosservata dato che il target al seguito di questi artisti non ha né l’età né la cultura musicale per accorgersene per cui fanno anche bene a fare quello che fanno se li porta al successo. Io per mia fortuna, non ho bisogno di plagiare nessuno e anzi ci sono diversi artisti emergenti che mi stanno chiedendo di scrivere e produrre per loro».
Quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«Credo di essere nata così perché nel mio ricordo più vecchio in assoluto avevo già una chitarra in mano e non avevo nemmeno cinque anni».
Quali ascolti hanno segnato e influenzato il tuo percorso?
«Diciamo che di base nasco come musicista classica per cui Maria Callas per me è la dea ispiratrice di ogni cosa. Non solo per la musica di per sé quanto proprio come modello di artista e diva. Sono passata per la fase Tori Amos, Bjork e Kate Bush contemporaneamente a quella di Mina, Battisti e De Andrè. In adolescenza ho attraversato il periodo punk e metal esattamente come si fa per l’acne. All’università ascoltavo i Genesis e i Deep Purple passando serenamente a tutta la scena hip hop americana. Ma oggi nelle mie playlist puoi trovare tutti questi artisti messi insieme oltre a moltissimi altri che spaziano dal pop alla dance, dall’indi alla techno. Per quanto riguarda il moombahton invece, è stato Major Lazer che me ne ha fatto innamorare».
Come valuti l’attuale situazione discografica del nostro Paese?
«La musica italiana mi sembra poco coraggiosa. Lo so che la discografia nostrana a livello internazionale pesa pochissimo, ciò nonostante non posso che dispiacermi dei risultati da una quindicina di anni a questa parte. Sembra che preferiscano investire sull’ennesimo clone di Sfera Ebbasta piuttosto che dare spazio a chi ha qualcosa da dire. Sento una forte mancanza di idee e c’è un numero molto elevato di (t)rapper tutti uguali tra loro edirriconoscibili ma pieni di sponsor e pompati al massimo.
Il panorama della musica leggera invece, sembra essersi ridotto a un’industria focalizzata solo sul far lavorare i propri autori piuttosto che sulla scoperta e la diffusione di artisti con la A maiuscola. Fateci caso, quante canzoni di Emma potrebbe cantare la Amoroso e viceversa? Quante canzoni potrebbero scambiarsi Baby K e Giusy Ferreri? Ecco, questo sembra più il momento degli interpreti (e dei loro autori) piuttosto che degli artisti. Siamo arrivati ad una sorta di produzione industriale di massa dove le personalità di spicco si contano sulle dita di una mano».
Sogni nel cassetto e buoni propositi per il prossimo futuro?
«Continuare a sfornare singoli uno dopo l’altro e tornare dal vivo il più presto possibile, mi manca il contatto diretto con i miei fan!».
Per concludere, dove e a chi ti piacerebbe arrivare con la tua musica?
«Al maggior numero di persone possibile che si riconoscano in quello che faccio. Quello per cui combatto e il motivo per cui non mollo nonostante tutto è fare della musica il mio unico mestiere».
Nico Donvito
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