A tu per tu con la cantautrice napoletana, in uscita con il suo nuovo album intitolato “N4BS“
Tempo di nuova musica per Donatella Scarpato, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Donix, al suo esordio solista con il disco “N4BS”. Dopo essersi fatta notare come vocalist del collettivo La Pankina Krew e dopo aver affiancato ‘O Zulù sia in studio che in tournée, l’artista partenopea è pronta a lanciare il suo personale biglietto da visita discografico.
Ciao Donatella, benvenuta. Partiamo dal disco “N4BS”, a cosa si deve la scelta del particolare titolo?
«”N4BS” è l’acronimo di Not for Boys: tradotto, Non per ragazzini. Ragazzini non è inteso in senso anagrafico ma è inteso “non per chi ha una visione del femminile immatura, maschilista e misogina”. Il disco è in opposizione alla visione patriarcale della donna».
Chi ha collaborato con te alla realizzazione di questo lavoro? Chi senti di dover ringraziare?
«Il disco è nato ed è stato lavorato tutto all’Ammontone Studio. Il mio compagno di viaggio è stato Oluwong, producer di tutte le tracce fatta eccezione per Siriana prodotta da Andrea Fox. Oluwong ha curato anche tutte le registrazioni e i mix dell’album. Ci sono solo due featuring e non è un caso; ho scelto due artisti con cui ho condiviso tanti palchi e con cui ho un legame anche personale. Il primo è Ivanò, già mio socio nel gruppo La Pankina Krew, per il brano Faccio per me e il secondo, nella traccia La La La, è ‘O Zulù (99 Posse) che ho affiancato per 2 tour e con cui ho collaborato nel suo ultimo disco. Devo ringraziare tutti loro ma in particolare Oluwong che ha creduto in me e nella mia visone».
Tanti i temi affrontati al punto da non renderlo un vero e proprio concept album, ma c’è un qualche filo conduttore che secondo te unisce le tredici tracce presenti?
«Non penso che un concept album si basi sulla monotematicità dei testi. N4BS è un album in cui ho mostrato la me autentica, in sostanza è stata una ricerca dentro me stessa, evitando l’autocensura. Una sorta di autoanalisi. Essendo una donna ne è conseguito un discorso sul femminile. Ho raccontato d’amore, desiderio, analisi sociale, sofferenze, gioie, ma dal punto di vista di una donna reale e non attraverso quell’immaginario che le stesse donne stanno facendo proprio ma che deriva da una visione patriarcale del ruolo e del sentire femminile. Sulla copertina sono nuda come metafora dell’avere messo l’anima a nudo e ho una corona di serpenti che è un riferimento non casuale a Medusa, poiché la sua storia fa parte di una serie di storie che sono servite a segnare il passaggio dalla società matriarcale a quella patriarcale.
Per me Medusa è una delle prime martiri che possono simboleggiare la violenza sulle donne. Era una dea trina che, violentata da Poseidone nel tempio di Atena, venne trasformata in mostro. Atena trasformò lei-vittima di violenza in mostro invece di punire Poseidone. Un po’ la mentalità che vige ancora oggi tipo: “Sì, ma aveva la minigonna, se l’è cercata”. Insomma il filo conduttore sono io donna e cantautrice e la mia opposizione alla visione che la società machista ha della donna. Una sorta di manifesto che urla al mondo che noi donne possiamo tutto, forti della nostra indipendenza».
Dal punto di vista musicale, invece, che tipo di sonorità hai voluto abbracciare? .
«Il disco è un concentrato di tutto il mio background da cantautrice e dei miei ascolti. Sia dal punto di vista dei testi che del sound ho voluto far emergere la mia identità. Mi sono esposta al pubblico con il collettivo hip hop de La pankina krew. Ho frequentato e lavorato nei party house e techno. Quindi ho cercato di miscelare r’n’b’-soul-hip hop/pop-electro-dance per creare qualcosa che fosse originale e che mi rappresentasse realmente».
Facciamo un breve salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«La passione per la musica e il canto ce l’ho da che ho ricordi. Credo sia qualcosa di innato. Poi sicuramente l’ho coltivata grazie anche a mia cugina che faceva già la cantante e mi ha messo sin da piccolissima con il microfono in mano. Alcuni bimbi giocavano con le costruzioni e i pupazzi, io giocavo a fare la cantante con il microfono e l’impianto di amplificazione. La prima canzone credo di averla scritta a 8 anni».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato la tua crescita?
«Mi definisco una schizofrenica della musica. Ho iniziato a cantare presto, come ti dicevo, e sono partita dai classici del cantautorato italiano e napoletano. Alle medie ho studiato flauto traverso e la musica classica e nello stesso periodo c’è stato il primo incontro con la cultura hip-hop e la musica rap, soul e r’n’b. Con gli anni poi mi sono appassionata all’elettronica e al rock. Insomma mi piace tutta la musica, non importa il genere, basta che mi emozioni e che mi lasci un segno».
A cosa si deve la scelta del tuo nome d’arte?
«È nato per caso. Io mi chiamo Donatella, mi hanno sempre chiamata con l’abbreviativo Doni. Poi durante una serata con gli amici di sempre stavamo scherzando tra noi dandoci nomignoli. Un amico esclamò Donix, laddove la X sta per incognita per via del mio carattere criptico/enigmatico e da allora hanno iniziato a chiamarmi così. Mi piaceva ed ho iniziato a usarlo come nome d’arte».
Per concludere, a chi si rivolge la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?
«La mia musica si rivolge a tutti. A chi vuole ascoltare. E spero che in futuro possa effettivamente arrivare a tutti».
Nico Donvito
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