A tu per tu con il musicista torinese, in uscita dal 30 ottobre con il nuovo album intitolato “Facile“
Tempo di nuova musica per Davide Dileo, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Boosta, tastierista e storico membro dei Subsonica, nonché musicista a tutto tondo. “Facile” è il titolo del suo nuovo progetto discografico, rilasciato per Warner Music Italy lo scorso 30 ottobre, un album strumentale ispirato ed evocativo, un tappeto ideale per poter ospitare pensieri e riflessioni profonde.
Ciao Davide, benvenuto. Partiamo dal tuo nuovo album “Facile”, un titolo che richiama l’essenza di un lavoro fruibile, in qualche modo rassicurante, che parte da melodie e geometrie al pianoforte, per poi aprirsi ad incursioni elettroniche. Come si è sviluppato l’intero processo creativo?
«Più che di un processo si è trattata di una vera e propria esigenza, il bisogno di proporre un certo tipo di musica che ho sempre coltivato. Il dramma di questa pandemia ha permesso che questo venisse alla luce oggi, probabilmente un disco come questo sarebbe arrivato comunque tra qualche anno, quando i Subsonica si sarebbero fermati di nuovo. Avendo messo in stand-by l’astronave madre, ciascuno di noi si è concesso il proprio spazio, io avevo necessità di propormi in questo modo perchè, allo stato attuale delle cose, questa è la mia cifra stilistica musicale. E’ un disco molto onesto, che vuole essere uno strumento per i silenzi della gente, una colonna sonora, perchè la musica è un collante e un calmante sociale».
Hai definito la musica un collante e un calmante sociale, ma qual è il suo stato di salute in questo momento? Appartieni anche tu alla scuola di chi sostiene che non si sia fatto abbastanza per tutelare gli operatori dello spettacolo?
«Artisticamente parlando, credo che la musica stia benissimo, perchè è una forma di comunicazione talmente binaria che funzionerà sempre e per sempre. Sono assolutamente d’accordo sul fatto che non si sia fatto abbastanza per la tutela dei lavoratori, al netto del fatto che una pandemia è un evento unico e inimmaginabile, dunque le difficoltà ci sono, ma c’è anche grandissimo senso di responsabilità da parte di noi addetti del settore, mentre c’è pochissimo senso di comprensione da parte delle istituzioni e del Governo. Io, personalmente, da cittadino votante non ho fiducia nella classe dirigente che amministra oggi il Paese e, in modo particolare, il settore di cui faccio parte. Questo ti lascia in mano ad una serie di insicurezze e fragilità, che vengono ancora di più amplificate. Ricoprissi io un ruolo istituzionale, probabilmente farei anche peggio, ma questo non vuol dire che si stia facendo bene».
Cosa speri che questa situazione di estrema difficoltà possa insegnarci?
«Mi auguro che ci possa insegnare a scegliere meglio chi ci governa, personalmente sono stanchissimo perché continua ad arrivarmi un senso di inadeguatezza profonda. Vorrei sapere di essere in buone mani, condizione in cui adesso non mi ci rifletto. A livello generale, non credo rimarrà l’empatia, perchè ce l’ha già insegnato il primo lockdown. Tutti amici, tutti fratelli, tutti a far la pizza via Skype, poi appena si è riacceso il semaforo, avremmo ammazzato il prossimo se non ripartiva subito dopo il verde. Diciamo pure che l’empatia è un dono temporaneo, però, mi piacerebbe che questa situazione ci lasciasse una capacità di giudizio più lucida e meno umorale».
Per concludere, a proposito di insegnamenti, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica in questi anni di attività?
«La musica mi ha insegnato e tutt’ora mi ricorda di rendere omaggio al privilegio, so di essere molto fortunato ad avere la possibilità di poter vivere della mia passione, perchè sognavo di fare il musicista da piccolo e mi ritrovo a farlo da grande. Questo mi spinge continuamente a cercare di avere cura di questo privilegio, cercando di fare musica nel modo migliore possibile».
© foto di Davide D’Ambra
Nico Donvito
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