venerdì 22 Novembre 2024

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Storia del rock a Sanremo prima dei Maneskin

Da Celentano ai Queen: rivoluzioni, scontri generazionali e chitarre spaccate in diretta tv. E domani?

“Non c’è più il punk per dire quanto sei fuori
Il rock per litigare con i tuoi genitori”

…e invece Amadeus ha spiazzato perfino Lo Stato Sociale, allestendo una delle edizioni di Sanremo più rock di sempre. La vittoria dei Maneskin, le esibizioni di Achille Lauro (e non solo) sotto l’aurea trasgressiva e visionaria del glam-rock, la consacrazione a classici della canzone d’autore dei CCCP, caposcuola del punk italiano, come degli Afterhours, padri del nostro indie-rock, parlano chiaro. Ma come siamo arrivati fino a questo punto? Per scoprirlo, tuffiamoci nel caleidoscopio di canzoni e aneddoti portati in dote dalla nostra kermesse preferita, con un occhio all’evoluzione del rock.

No, non è vita è Rock’n’ Roll

A partire dagli anni ’50 il mondo si scatena con i nuovi ritmi di Elvis, Chuck Berry e Little Richard, mutati dalle tradizioni afroamericane. La “musica dei giovani” viene accusata di tribalismo: le danze sfrenate degli artisti sono, per la stampa, la riedizione di antichi riti vodoo. In effetti, lo spirito della musica infesta le case degli americani e restarne indifferente è un’impresa. Anche la vecchia Europa ne rimane coinvolta e in Riviera fiutano l’occasione (economica).

Si decide di lanciare un filone tutto italiano del genere. Così, nel 1961 si sfrutta la prestigiosa platea del Teatro del Casinò di Sanremo, palco del Festival fino al 1976. Debuttano in gara giovanissimi pronti a dare fuoco e fiamme come Adriano Celentano, Little Tony, Mina e Giorgio Gaber, malvisti dalla platea più agé del teatro del Casinò, come dai coetanei in collegamento radio o tv. I benpensanti invocano l’intervento della politica per fermare gli scandali provocati in serie dai ragazzini terribili, per il quale si conia il termine di “urlatori“.

Il più scatenato di tutti, Adriano Celentano, consacrato a figura di culto da una celebre cameo ne “La dolce vita”, osa dare l’attacco all’orchestra mostrandosi di spalle al pubblico, mentre Mina, che aveva debuttato al Festival l’anno prima, desta scalpore con i suoi gesti e una mimica che sa di sberleffo. I loro brani faranno epoca: “24mila baci” e “Le mille bolle blu”. Giorgio Gaber invece canta «Il mio destino è di morire bruciato / La mia ragazza deve averlo proprio giurato. / Ha inventato un nuovo gioco, mi cosparge di benzina e mi dà fuoco / e io brucio, brucio d’amor». Il pubblico non gradisce e la sua “Benzina e cerini” sarà eliminata. I tempi di Jim Morrison e “Light my fire” sono ancora lontani…

Siamo l’esercito del surf

Nonostante il successo commerciale e mediatico degli urlatori, la musica sta già cambiando. Gli anni d’oro del Rock’n’roll sono già finiti e qualcuno, dalle parti di Liverpool, sta iniziando a mietere consensi con una personale evoluzione del genere. In Italia Mina sveste i panni della vivace ragazzina di “Tintarella di luna” e “Nessuno” per diventare la più elegante e sinuosa delle interpreti mentre il suo alter-ego maschile Celentano si muove anarchicamente tra briose composizioni danzerecce e riflessioni etico-religiose, fino a diventare un precursore delle tematiche ambientali.

L’ultima tendenza giovanile ora è la surf music, che riprende lo stile di Chuck Berry adattandolo alla cultura della California meridionale. Un mix di facile presa, destinato al successo commerciale. Ma se negli USA artisti come i Beach Boys macinano un successo dopo l’altro, in riviera l’onda non si abbatte con la stessa potenza. L’apertura delle frontiere di Sanremo ad artisti stranieri non porterà che a sbiadite imitazioni del genere, dai risvolti più ironici che iconici: i Les Surfs, sei fratelli malgasci dall’apparente età di quattordici anni (in realtà tutti maggiorenni), saranno chiamati a portare in alto la bandiera del genere per ben tre Festival consecutivi. Nel ’66, un membro del gruppo, forse a causa dell’emozione, rifiutò di esibirsi. Esatto, Bugo non è stato il primo a disertare un’esibizione a Sanremo.

A tutto Beat!

Maggior fortuna avrà il laboratorio di Liverpool, ormai uscito dagli umidi seminterrati dei primi concerti per diffondersi rapidamente in tutto il mondo radioconnesso. I Beatles si esibiscono in Italia e nelle classifiche nostrane il beat impera. In tutta la penisola fioriscono centinaia di complessi, alcuni dei quali si affermano sino ad affrancarsi dall’imitazione internazionale: è il caso dell’Equipe 84, dei Dik Dik, dei Camaleonti, oltre ai The Rokes, figli legittimi della British Invasion.

Sanremo 1966 rappresenterà l’apice della nuova svolta del rock italiano, e tra i tanti gruppi in concorso la spunterà una giovane interprete che presto si affermerà come la regina del genere, Caterina Caselli. La sua “Nessuno mi può giudicare” diventa un inno all’indipendenza giovanile e conquista la seconda piazza alle spalle di una poesia lontana dalle mode, “Dio come ti amo”. I Les Surfs non sono l’unico gruppo internazionale a gareggiare. Tra gli artisti che non accedono alla finale ci sono gli Yairdbirds, pionieri del rock psichedelico: un certo Eric Clapton era da poco uscito dal gruppo, mentre un altro immenso chitarrista come Jimmy Page entrerà in formazione qualche mese dopo la partecipazione. Nonostante le sliding doors, a Sanremo la band si presenterà comunque con uno dei chitarristi più influenti della storia del rock, Jeff Beck. La loro canzone, “Questa volta”, non passerà alla storia.

Vacanze italiane

Terminata l’era del Beat il rock si trasforma, si fa più maturo. I complessi optano per sonorità più melodiche o scelgono la strada della sperimentazione. Nel 1971 arriva la volta del primo vero brano rock in gara. Sono i Nomadi a presentarlo: la band di Augusto Daolio sfida la potenza della melodia orchestrale di casa a Sanremo con “Non dimenticarti di me”.

Nomadi a parte, il meglio del rock italiano preferisce disertare la competizione. Inizia l’epopea del prog, grazie a band che lasceranno il segno nella storia del genere come la PFM e gli Area di Demetrio Stratos. Probabilmente, il grande pubblico non avrebbe compreso gli assoli di batteria di Franz Di Cioccio e le diplofonie del frontman italo-greco. Solo negli anni ottanta il rock torna di casa al Festival. I Decibel, pionieri italiani della new wave e del punk, si presentano in gara con la folgorante “Contessa” e negli anni del playback, furono tra i pochi ad esigere di esibirsi dal vivo. Il leader del gruppo, Enrico Ruggeri, è considerato il primo vincitore del Festival con un brano rock, “Mistero“. Il cantautore milanese sbaraglierà la concorrenza nel 1993, alla sua seconda affermazione.

Come i Decibel, anche i Queen, ospiti d’eccezione nel 1984, ebbero qualche problema con la registrazione audio. Introdotti da Pippo Baudo e Beppe Grillo, conduttori dell’edizione, presentarono il loro nuovo singolo “Radio Gaga”. Freddie Mercury, seccato dal trattamento riservato (ma secondo alcuni per un dissidio interno alla band) si esibì lontano dal microfono, rendendo palese la finzione scenica. Il solo Brian May tornerà nel 2012.

Anno dopo anno sono tante le stelle del rock che giungono in Liguria da superospiti, scatenando orde di fan e destando le preoccupazioni degli organizzatori, in balìa delle bizze dei divi. Non destarono grossi problemi gli ex Beatles Paul McCartney e George Harrison o gruppi come Dire Straits, Duran Duran, Van Halen e Depeche Mode. Il leader dei londinesi Bad Manners (nomen omen) arrivò a mostrare per pochi istanti il fondoschiena, mentre appeso ad una lunga fune, Peter Gabriel si lanciò direttamente tra gli spettatori, non esattamente in visibilio. E non sono mancate, nella storia del Festival, nemmeno le chitarre spaccate. Nel 2001 il leader dei Placebo, visibilmente alterato, scagliò il proprio strumento contro un amplificatore, costringendo la conduttrice dell’edizione, Raffaella Carrà, a scusarsi con il pubblico dell’Ariston, infuriato per l’accaduto.

Rock me Amadeus

Negli anni duemila il rock è tornato a far capolino in gara grazie alle sporadiche partecipazione di realtà provenienti dalla scena indipendente come Subsonica, Afterhours, Marlene Kunz, The Zen Circus. La vittoria dei Maneskin, tuttavia, la prima affermazione di una band rock nella storia del Festival (e sarà il primo complesso di sempre a rappresentarci all’Eurovision Song Contest), sposta sensibilmente il confine che separa, sul palco dell’Ariston, musica leggera e musica di rottura. E far passare tranquillamente Manuel Agnelli e Giovanni Lindo Ferretti tra Dalla e Sergio Endrigo nella serata delle cover, o trasformare il concetto di esibizione sanremese grazie ai cinque “quadri” di Achille Lauro, lo dimostra.

Con le sue scelte, Amadeus è riuscito a far apparire il rock non più come un corpo estraneo prestato alla grande festa popolare, ma come parte integrante del corpus festivaliero. Sanremo 2021 ha certamente segnato una svolta in tal senso, e il futuro ci farà capire se il Festival è davvero pronto a trasformare l’evento in norma o sceglierà di tornare indietro.