A tu per tu con il cantautore siciliano, in uscita con il suo quarto progetto discografico intitolato “Parola“
La memoria del passato e la voglia di scrivere un nuovo futuro, con queste intenzioni Giovanni Caccamo fa il suo ritorno sulle scene. “Parola“ è il titolo del suo nuovo album, prodotto da Ala Bianca e distribuito da Warner Music Italia, disponibile a partire dallo scorso 17 settembre. Un disco ricco di bellezza, autenticità e consapevolezza, impreziosito dalle voci di Willem Dafoe, Patti Smith, Jesse Paris Smith, Liliana Segre, Aleida Guevara, Michele Placido, Beppe Fiorello e Andrea Camilleri.
Ciao Giovanni, bentrovato. Partiamo da “Parola”, un lavoro che esprime la tua essenza, a cominciare proprio dal titolo. A proposito del processo creativo, da quale punti sei partito e a quali conclusioni sei arrivato?
«Tre anni fa mi sono ritrovato, per la quarta volta nella mia vita, di fronte a una pagina bianca perché dovevo iniziare a scrivere il mio nuovo disco. Mi sono tuffato nella luce dell’ispirazione degli altri, grandando film e documentari o leggendo romanzi, fino a che mi sono imbattuto in un’intervista di Andrea Camilleri. Parlava di come stiamo perdendo il peso e l’importanza della parola. Rivolgendosi ai giovani, chiese loro di far ripartire un nuovo umanesimo della parola. Nel mio piccolo ho deciso di seguire questa sua indicazione, creando un disco di canzoni ispirate a un tento si letteratura italiana o straniera, dichiarandone la fonte. Prima di ogni traccia, ho voluto inserire un’introduzione strumentale su cui un ospite d’eccezione legge il testo del monologo da cui è nato il brano.».
Trovo sia molto bello il concetto del rimettere al centro la parola, i pensieri e in qualche modo il dialogo, inteso sia con noi stessi che con gli altri. Su quali tematiche ti sei voluto concentrare e con quale criterio hai selezionato gli ospiti che introducono queste sette tracce?
«Una volta deciso questo concept, ho iniziato a cercare le fonti e fra tutti i testi letti, ne ho selezionati quindici. Così ho scritto altrettante canzoni e ho cercato per ogni traccia una voce che fosse connessa all’autore o al contenuto. Lo considero un vero e proprio dialogo tra prosa e canzone».
In un momento storico in cui il termine “artista” forse viene un po’ troppo abusato, quale significato attribuisci a questa parola?
«L’artista per me è un testimone, personalmente mi definisco un ponte di storie, un tramite tra la terra e il cielo. Penso che la la più grande eredità che Franco Battiato mi abbia lasciato, sia stata una frase bellissima. Un volta mi disse che per essere un uomo e artista libero, il segreto sta nell’imparare a scardinare l’arte dal fine, far sì che il tuo percorso umano coincida sempre con il percorso artistico e che la tua musica sia sempre lo specchio di ciò che sei. Ecco, questa è la cosa più preziosa che lui mi ha lasciato, un insegnamento che racchiude l’essenza dell’arte, nel vero senso della parola».
“Parola” è di fatto il tuo quarto progetto discografico, che segue “Qui per te”, “Non siamo soli” ed “Eterno”. In cosa somiglia e in cosa si differenzia dai tuoi precedenti lavori?
«A livello contenutistico, penso che questo sia un disco a sé. Si tratta del mio primo progetto in cui le tematiche sono molto eterogenee tra loro e in qualche modo differenti dai primi tre dischi. A livello sonoro si avvicina più al primo lavoro, perchè il secondo e il terzo sono stati più dischi acustici, compreso “Eterno” che era molto orchestrale. “Parola” rappresenta il mio ritorno all’elettronica. Per me è stato un viaggio molto affascinante, con Leonardo Milani abbiamo viaggiato nei meandri delle sonorità, cercando di cucire per ogni brano l’abito perfetto. Speriamo di esserci riusciti».
Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di un album come “Parola”?
«Il fatto di non essermi preso, perché è stato sicuramente un lavoro molto faticoso, ci sono stati momenti in cui mi sono sentito sopraffatto dalla missione, dai contenuti. Non sapevo come si sarebbe potuto concludere questo viaggio. Il filo conduttore di questo progetto è stata l’autenticità, mi sono messo al servizio della parola, del significato, cercando di creare un manifesto che raccolga l’eredità ricevuta dalle generazioni passate, ricostruendo un contenuto sotto forma letteraria differente, con estrema umiltà e grande dedizione. Proprio questo mi rende orgoglioso, il fatto di essere arrivato alla fine di questo percorso e sentirmi soddisfatto di ogni singola tappa».
Nico Donvito
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