venerdì 22 Novembre 2024

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Marco Mengoni: “La musica sminuisce la sofferenza e lenisce le ferite” – INTERVISTA

A tu per tu con l’ugola di Ronciglione, in uscita con il suo sesto album in studio intitolato “Materia (Terra)

A tre anni di distanza dall’uscita del precedente Atlantico, Marco Mengoni torna con “Materia (Terra)”, un disco che mette in risalto la sua evoluzione personale e stilistica. Tanti gli autori che hanno collaborato a questo progetto insieme all’artista, da Daniele Magro a Simone Cremonini, passando per Davide Simonetta, Raige, Andrea Pugliese, Raffaele Esposito, Tony Maiello, Riccardo Scirè, Federica Abbate, Francesco Catitti, Davide Petrella, Michele Canova e Lorenzo Vizzini, più due featuring d’eccezione con Gazzelle e Madame, oltre ai producer Mace, Venerus, Ceri, E.D.D., Taketo Gohara, Tino Piontek, B-Croma, Andrea Suriani e FLIM. Il risultato? Nove tracce senza filtri, che mettono in risalto l’anima e la voce di uno dei migliori rappresentati dall’attuale scena musicale nazionale.

Ciao Marco, benvenuto. Partiamo dal tuo nuovo album “Materia (Terra)“, primo capitolo di una trilogia. Come si è sviluppato il processo creativo di questo progetto?

«Sono partito con le idee chiare, ero molto sicuro di quello che volevo realizzare, inteso sia per questo primo disco, ma anche dei successivi due che comporranno la trilogia. Ogni album avrà un sottotitolo diverso in base alle influenze, in “Terra” sono andato a ricercare le mie origini. Personalmente le radici sono la mia famiglia e la mia casa, i luoghi in cui mi rifugio ogni volta che mi perdo alla ricerca di me stesso».

Temi e concetti che si riflettono anche nelle scelte sonore, no?

«Assolutamente sì, sin da piccolo mia mamma ascoltava tantissima musica afro-americana che, inconsciamente e involontariamente, è entrata a far parte di me e della mia vita. Crescendo e acquisendo coscienza, ho cominciato a spaziare e sono diventato praticamente “onnivoro”, anche se il soul, il gospel e il blues mi portano sempre al mio punto di partenza. Tanto di questo lavoro è stato influenzato da questi generi, filtrando e portando tutto quanto nel mio mondo».

Marco Mengoni - Materia (Terra)

Non a caso, all’interno di questo lavoro ci sono moltissime citazioni, dai Beatles ai Daft Punk, ma quali riflessioni e quali stati d’animo ti hanno accompagnato durante la stesura delle canzoni?

«Il lockdown l’ho passato da solo, cercando di vedere il lato positivo di questa esperienza. Ho riflettuto molto sul motore che mi spinge a svegliarmi tutte le mattine e affrontare ogni giornata, ovvero il sentimento, focalizzandomi nello specifico sui rapporti umani. Ultimamente noto qualcosa che mi dispiace un po’, questo continuo fermarsi davanti alle prime difficoltà, ai primi difetti o alle prime paure. Mi auguro che si possa tornare a fidarsi e a concedersi di più, accettando le diversità dell’altro perché, alla fine, di me stesso non mi potrei mai innamorare. Credo molto nella compensazione e nel potenziale di qualsivoglia tipo di rapporto». 

Tra i brani che mi hanno più colpito al primo ascolto, cito “Luce” e “Mi fiderò” con Madame. Ci racconti qualcosa in più su questi due pezzi?

«In “Mi fiderò” abbiamo esplorato il mondo funky, in tal senso Purple Disco Machine ci ha messo la sua quota, essendo un cultore del genere. Madame è un’artista eccezionale, forse una delle voci più soul a livello di profondità e di timbrica. “Luce”, invece, è un pezzo che parla di nascita e di energia, personalmente l’ho dedicato a mia mamma, perché parliamo della figura che ti dona la vita e che ti accompagna sempre durante la tua crescita, cercando di tenerti sempre al sicuro e al caldo. Ho voluto registrare questo pezzo in presa diretta, insieme a quattordici musicisti, una tecnica che amo molto, perché trasmette tanta verità in tutte le sue imperfezioni».

La voce è sempre stato un elemento riconosciuto e riconoscibile del tuo percorso, che ruolo ha in questo disco e in che termini pensi sia cambiato il tuo modo di interpretare in questi anni?

«Oggi mi sento sicuramente più libero, perchè nel passaggio da interprete a cantautore hai la possibilità di scrivere e cucirti addosso delle melodie in perfetta sintonia con le tue corde vocali. In questo disco è importantissima la voce, oltretutto ci sono una serie infinita di cori e di armonie. In alcuni pezzi, addirittura, ci sono all’interno una cinquantina di voci sovrascritte. Man mano che cresci, quello che esprimi diventa sempre più vero, anche pieno di difetti, questo mi piace perchè trovo che sia sinonimo di verità. Credo molto nell’istintività della voce e nell’immediatezza di tutto quello che non è artefatto. Non essendo una macchina, ben vengano gli errori e le sbavature. Teniamoci quello che abbiamo e valorizziamolo, senza perdere troppo tempo per le cose meno importanti».

Per concludere, quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di un disco come “Materia (Terra)“? 

«Fare un disco è difficile, puntualmente mi rendo conto di quanto sia un lavoro a tratti straziante emotivamente, almeno per quanto riguarda me, poi spero ci siano persone che lo fanno con molta più facilità. Ogni volta mi approccio alla realizzazione di un album come se fosse l’ultimo, con l’intento di mettere all’interno tutto me stesso, con tanta passione e tanta introspezione. Insomma, non è una passeggiata, però rappresenta il bello di questo mestiere, anche perchè la musica sminuisce la sofferenza e lenisce le ferite. Spero che queste canzoni facciano partire delle riflessioni e mi auguro che emergano l’onestà, la verità, la semplicità e la sostanza, intesa proprio come materia».

Marco Mengoni Materia Terra

© foto di Alvaro Beamud Cortes

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.