A tu per tu con la cantautrice toscana, fuori con il suo nuovo album di inediti intitolato “La differenza“
A due anni di distanza dalla pubblicazione del precedente “Amore gigante”, per Gianna Nannini è tempo di rompere il silenzio e di tornare a graffiare con il proprio inconfondibile timbro vocale. “La differenza” è il titolo del nuovo album di inediti, disponibile negli store digitali e nei negozi tradizionali a partire dal 15 novembre. Anticipato dall’omonimo singolo (qui la nostra recensione), il disco comprende dieci tracce inedite, registrate rigorosamente in presa diretta in modo da evidenziare e rafforzare la purezza dell’analogico. In un’epoca parecchio digitalizzata come quella attuale, l’ascolto di questo lavoro risuona come una boccata d’aria fresca, come una bella gita fuori porta in campagna, per riscoprire profumi e sapori dimenticati da tempo. Coraggio e gentilezza, rock e melodia, questi i sentimenti e gli stati d’animo che rinvigoriscono, canzone dopo canzone, quest’opera di puro artigianato, frutto del desiderio di riscoprire, riscoprirsi e di ritornare all’origine e all’essenza delle cose.
Registrato a Nashville, nel Tennessee, prodotto insieme a Tom Bukovac e Michele Canova, questo disco racchiude al suo interno sia ambizione che autenticità, elementi che contraddistinguono da sempre il percorso musicale della cantautrice toscana, fresca vincitrice del Premio Tenco 2019. A partire dalla metà del 2020, l’artista tornerà ad esibirsi dal vivo con una lunga tournée europea, che avrà luogo in Italia il 30 maggio allo Stadio Artemio Franchi di Firenze, per una tappa che ha tutta l’aria di diventare un vero e proprio concerto-evento.
Ne “La differenza” i testi riacquistano la loro centrale importanza, il suono accompagna e scandisce lo scorrere del discorso, parole improvvisate ma ben ponderate. Diversi i pezzi co-firmati insieme a Gino Pacifico (“La differenza”, “Romantico e bestiale”, “Gloucester road”, “L’aria sta finendo”, “Canzoni buttate”, “Per oggi non si muore”, “Assenza”, “A chi non ha risposte” e “Liberiamo”), mentre l’unico feat. dell’album è affidato alla voce e alla penna di Coez (“Motivo”). Esaltare le differenze, con questo spirito Gianna Nannini realizza uno dei suoi lavori più ispirati e genuini, perché mette in risalto la propria attitudine live, dal palco direttamente alla sala d’incisione. Che bello sarebbe se questo stesso atteggiamento venisse riscoperto, recepito e adottato anche da altri suoi colleghi, la buona musica ne trarrebbe sicuramente vantaggio.
Ciao Gianna, partiamo dal tuo nuovo disco “La differenza”. In un’epoca prevalentemente digitale come quella attuale, come nasce il desiderio di riassaporare l’essenza e la purezza dell’analogico?
«Mah, noi siamo analogici perché la voce è analogica. Si vive con il corpo umano, l’orecchio stringe tutto in una scatola, io non ci stavo dentro, volevo espandere questa emozione. Attualmente in America c’è una tendenza, soprattutto tra i giovani, a realizzare dischi solo in vinile, una riscoperta della musica suonata, suonandola insieme, in presa diretta, una consuetudine tipica delle band anni ’60 che, oggi come oggi, non si usa più fare. La tecnologia ci ha portato ad essere molto individuali, aspetto che non ho ritrovato a Nashville. Grazie a Dave Stewart che mi ha messo in contatto con questa realtà, ho riscoperto lo spirito alto del fare musica tutto il giorno. Tom Bukovac ha radunato questi musicisti per me, per le canzoni che avevo scritto. Quando registri così si nota una grande differenza, piuttosto che mettere dei plugin con il computer, si sente nell’orecchio, è un documento».
Un’altra caratteristica è quella di riuscire a riconoscere al primo ascolto un determinato strumento, oggi come oggi non è nemmeno più così facile. Pensi che registrando in questo modo, un disco possa realmente rimanere nel tempo? Perché alla fine il suono di un pianoforte o di una chitarra sarà lo stesso anche tra quarant’anni…
«E’ come aprire un mondo alla semplicità, perché il suono di un pianoforte è sempre attuale, in più mette in risalto il proprio mezzo vocale. Adele fa dei dischi piano voce molto belli, al loro interno c’è tanta roba. E’ quel modo di fare musica in maniera semplice che, secondo me, fà la differenza. Lavorando con questo ingegnere inglese, alla fine, sono bastati due microfoni, per mettere in risalto la voce naturale. E’ la manipolazione che rende tutto più difficile e, come dici tu, fà in modo che quello che hai tra le mani possa non durare nel tempo. Per restare negli anni è necessario che la musica sia registrata in un certo modo, con tutte le qualità per entrare nel mondo digitale, perché poi và a finire in tv, nei pc e negli smartphone, ma ci deve andare con tutti i crismi».
In una società sempre più votata all’apparenza e poco alla sostanza, cosa fà davvero la differenza?
«Io questa apparenza, sinceramente, non la vedo tanto. Viaggiando molto, recentemente soprattutto negli Stati Uniti e in Spagna, trovo meno questo senso di finzione, riconosco più un desiderio di essere ed esprimere ciò che si è veramente, attraverso quello che si dice o come ci si veste, per stare bene con se stessi. Alla fine, quello che conta è cercare la propria identità, riuscire a tirarla fuori è quella cosa che farà sempre la differenza».
Ma la musica può farla ancora questa differenza?
«Per me in questo momento la musica ha molto da dire, anche in Italia, con l’avvento dei rapper c’è stato un passaggio molto forte sulla natura dei testi, penso si sia trovato un modo per riabilitare la parola. Il freestyle e l’improvvisazione erano forme contadine, che ora sono state riscoperte, l’ottava rima è un po’ il rap che si faceva a braccio, la stessa cosa da cui proveniamo noi toscani, sentire i giovani che lo stanno riproponendo a loro modo non può che farmi piacere, lo apprezzo molto».
© foto di Daniele Barraco
Nico Donvito
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