A tu per tu con la cantautrice toscana, fuori con il suo nuovo album di inediti intitolato “La differenza“
Registrato a Nashville, nel Tennessee, prodotto insieme a Tom Bukovac e Michele Canova, questo disco racchiude al suo interno sia ambizione che autenticità, elementi che contraddistinguono da sempre il percorso musicale della cantautrice toscana, fresca vincitrice del Premio Tenco 2019. A partire dalla metà del 2020, l’artista tornerà ad esibirsi dal vivo con una lunga tournée europea, che avrà luogo in Italia il 30 maggio allo Stadio Artemio Franchi di Firenze, per una tappa che ha tutta l’aria di diventare un vero e proprio concerto-evento.
Ciao Gianna, partiamo dal tuo nuovo disco “La differenza”. In un’epoca prevalentemente digitale come quella attuale, come nasce il desiderio di riassaporare l’essenza e la purezza dell’analogico?
«Mah, noi siamo analogici perché la voce è analogica. Si vive con il corpo umano, l’orecchio stringe tutto in una scatola, io non ci stavo dentro, volevo espandere questa emozione. Attualmente in America c’è una tendenza, soprattutto tra i giovani, a realizzare dischi solo in vinile, una riscoperta della musica suonata, suonandola insieme, in presa diretta, una consuetudine tipica delle band anni ’60 che, oggi come oggi, non si usa più fare. La tecnologia ci ha portato ad essere molto individuali, aspetto che non ho ritrovato a Nashville. Grazie a Dave Stewart che mi ha messo in contatto con questa realtà, ho riscoperto lo spirito alto del fare musica tutto il giorno. Tom Bukovac ha radunato questi musicisti per me, per le canzoni che avevo scritto. Quando registri così si nota una grande differenza, piuttosto che mettere dei plugin con il computer, si sente nell’orecchio, è un documento».
Un’altra caratteristica è quella di riuscire a riconoscere al primo ascolto un determinato strumento, oggi come oggi non è nemmeno più così facile. Pensi che registrando in questo modo, un disco possa realmente rimanere nel tempo? Perché alla fine il suono di un pianoforte o di una chitarra sarà lo stesso anche tra quarant’anni…
«E’ come aprire un mondo alla semplicità, perché il suono di un pianoforte è sempre attuale, in più mette in risalto il proprio mezzo vocale. Adele fa dei dischi piano voce molto belli, al loro interno c’è tanta roba. E’ quel modo di fare musica in maniera semplice che, secondo me, fà la differenza. Lavorando con questo ingegnere inglese, alla fine, sono bastati due microfoni, per mettere in risalto la voce naturale. E’ la manipolazione che rende tutto più difficile e, come dici tu, fà in modo che quello che hai tra le mani possa non durare nel tempo. Per restare negli anni è necessario che la musica sia registrata in un certo modo, con tutte le qualità per entrare nel mondo digitale, perché poi và a finire in tv, nei pc e negli smartphone, ma ci deve andare con tutti i crismi».
In una società sempre più votata all’apparenza e poco alla sostanza, cosa fà davvero la differenza?
Ma la musica può farla ancora questa differenza?
«Per me in questo momento la musica ha molto da dire, anche in Italia, con l’avvento dei rapper c’è stato un passaggio molto forte sulla natura dei testi, penso si sia trovato un modo per riabilitare la parola. Il freestyle e l’improvvisazione erano forme contadine, che ora sono state riscoperte, l’ottava rima è un po’ il rap che si faceva a braccio, la stessa cosa da cui proveniamo noi toscani, sentire i giovani che lo stanno riproponendo a loro modo non può che farmi piacere, lo apprezzo molto».
© foto di Daniele Barraco


Nico Donvito


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